domenica 20 gennaio 2013

Dio non è un grande architetto

Cari amici,
Benedetto XVI ha scritto e letto un discorso, Cor Unum. Molte agenzie di stampa ne hanno riportato passi, soprattutto per il “no” che il Papa ha detto alle «filosofie del gender» (grande Judith Butler)
Più interessante, tuttavia, mi sembra riflettere su questo brano, non corto come un tweet, ma lungo come un post:
«In ogni epoca, quando l’uomo non ha cercato tale progetto [il progetto di Dio], è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo. Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria. Oggi si condivide sempre più un sentire comune circa l’inalienabile dignità di ogni essere umano e la reciproca e interdipendente responsabilità verso di esso; e ciò a vantaggio della vera civiltà, la civiltà dell’amore. D’altro canto, purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio. Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un "prometeismo tecnologico". Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno. Nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata. L’insidia più temibile di questa corrente di pensiero è di fatto l’assolutizzazione dell’uomo: l’uomo vuole essere ab-solutus, sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale. Egli pretende di essere indipendente e pensa che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità. «L’uomo contesta la propria natura … Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura» (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012). Si tratta di una radicale negazione della creaturalità e filialità dell’uomo, che finisce in una drammatica solitudine.» 
Per iniziare, concediamo al Papa che il progetto di Dio - di ogni Dio, di ogni religione: dunque più progetti non certo coincidenti, ma lasciamo perdere - non sia anch'esso una «tentazione culturale», bensì l'unico progetto (divino, eh!) valido per tutta l'umanità. Una volta concesso questo (ch'è tanto concedere, ohimè), domandiamo al Papa che tipo di rispetto noi umani dobbiamo a un progettista che, dal presunto Big Bang in poi, ha perso totalmente il controllo della materia (e dell'antimateria), e si limita a fare da spettatore, dis-interessato delle miserie e delle glorie di una specie vivente (animale) diffusa sulla Terra, piccolo pianeta appartenente a un sistema solare periferico, di una periferica galassia dell'universo. Io penso che l'unico rispetto possibile che si debba a Dio sia non portargliene, dato che il suo progetto fa acqua da tutte le parti, pieno com'è di contraddizioni e ridondanze. Meno male Dio ha la scusa di non esistere altrimenti sai quante bestemmie si prenderebbe quotidianamente se ci fosse, altro che preghiere.

Per proseguire, notiamo come il Papa illustra, in estrema sintesi, la storia «degli ultimi secoli», per la precisione degli ultimi due o tre. Ma perché tace sui precedenti quindici (o sedici, se non faccio male il conto) secoli? Perché in quei precedenti secoli le ideologie al potere, al massimo, erano due: impero e papato, estremamente idolatrate e causa, anch'esse, di crisi, disuguaglianza e miseria; di contro, tali ideologie che il Papa non rammenta, loro sì che seguivano lo specifico progetto di tenere l'umanità chiusa a chiave nel carcere dell'arretratezza, della superstizione, dell'oscurantismo, della servitù.
Poi l'avvento graduale della borghesia al potere, la scoperta delle Americhe, il colonialismo, lo sviluppo rapido delle scienze e delle arti hanno gradualmente spodestato dal centro mondo l'autorità papale.
Ma lo Stato Pontificio, mai domo, ha cercato altre soluzioni per sopravvivere, la migliore delle quali è stata stabilire rapporti con le Potestà e i Principati, farsi da essi riconoscere come indispensabile autorità morale, come guida spirituale che tiene buone le masse e le incanta su come si fa ad andare in paradiso.

Benedetto XVI sostiene, seguitando, che dopo il crollo dei nazionalismi, dei fascismi, del comunismo e del capitalismo “selvaggio” (giacché quello in giacca e cravatta è ancora in piedi e gode di ottima salute), oggigiorno è l'individualismo l'ideologia imperante;  un'ideologia materialista ed edonista che idolatra la ragione strumentale e che mette al centro il principio di autodeterminazione di ogni vita umana. Un'ideologia che fa credere all'uomo che (a certe condizioni, dico io) è indipendente e autonomo, libero e assolto «da ogni legame e da ogni costituzione naturale»; un uomo che crede oltre la natura, così come essa si presenta, non ci sia niente, che la natura sia tutto e comprenda tutto, compreso lo sviluppo storico dell'idea di Dio nel corso dei secoli, così come lo sviluppo e il progresso tecnico-scientifico. In tutto ciò il Papa intravede «una radicale negazione della creaturalità e filialità dell'uomo», giacché cercare di carpire i segreti della “creazione” fa capire all'uomo che la specie umana non è il e non è al centro dell'universo, non è creatura prediletta tra le tante, né tantomeno figlia di chissà quale architetto che le avrebbe dedicato un progetto particolare, tutto teso a sua maggiore gloria.

Obiezione: il capitalismo non è crollato: è fallito, ed ha ancora davanti a sé una lunga stagione di potere e di sfruttamento del pianeta, uomini e donne compresi. Ma il capitalismo buono, quello che riconosce l'autorità morale e spirituale e religiosa, che bacia la mano al papa e/o lo incontra da pari a pari, che stabilisce relazioni, che concede spazi e finanziamenti pubblici alla Chiesa, questo capitalismo ancora va bene, giacché sfrutta la stampella dell'autorità religiosa per tenere buono e ossequioso quella parte di popolo che è ancora vittima di una suggestione.
L'individualismo che attacca il papa invece, pur essendo ben inserito dentro una logica di sistema, tende a togliere gradualmente alla religione ogni credibilità, e uno dei passi principali per la conquista di una coscienza generale del proprio posto del mondo (primo passo verso un'autentica coscienza di classe) si compie attraverso la “numinosa” scoperta che Dio non c'è, che Dio è un'invenzione dannatamente umana - o se anche ci fosse (quante probabilità ci sono che esista?) non sarà come la religione, qualsiasi religione, ce lo rappresenta e che, soprattutto, la mediazione Dio-clero-credente è, forse, la truffa più colossale della storia dell'umanità (truffa che ancora si perpetua).
Il Papa attacca l'individualismo per ritagliarsi ancora uno spazio di manovra, per sé e per il suo Stato, dentro una società che dei preti non sa che farsene, preti che non tengono più buone le masse dentro il perimetro del sacro. Quello che resta della Chiesa è una finzione, e gli uomini e le donne di buona volontà che ancora vi credono con spirito di amore e carità, che si prestano al volontariato e fanno da copertura allo spettacolo indecente di maschi ultrasessantenni - i quali, vestiti con delle strane vesti, vanno ancora in giro a credere di rappresentare Dio - potrebbero fare tutto ciò che fanno, meritoriamente, senza credere in Dio e nella terra promessa. Voglio sperare che i volontari non credano che la fame e la miseria e la sofferenza siano parte di un inesplicabile progetto divino, ovvero che tali fenomeni siano la manifestazione più genuina con cui Dio offre loro la possibilità di dimostrare quanto sono bravi e generosi e buoni. Ma questo è un altro discorso. Voglio solo dire che la carità è l'alibi che la Chiesa si è ritagliata per continuare a esercitare la sua influenza di potere nella società moderna, soprattutto in Italia. Se i poveri e i diseredati della terra non ci fossero, la Chiesa si troverebbe senza armi, costretta a chiudere bottega. La solidarietà è il business della Chiesa, e i poveri vanno coltivati, così come certe formiche si coltivano funghi per sopravvivere.

Cari amici,
ditemi che non sono cattivo, per la parte finale mi sono ispirato a questo post di Formamentis.

2 commenti:

astime ha detto...

Se mi date il malcontato miliardo all'anno di 8x1000, potrei assicurare un ottimo spezzatino a pranzo a un milione di persone per tutto l'anno.
O pranzo e cena decorosi per seicentomila.
O un buono spesa di mille euro/anno a un milione di incapienti.
Siccome i miliardi che diamo alla Chiesa ogni anno sono tra i certi 6 e i realistici 10, quanti spezzatini ci escono?
Baci a te e a Forma :)

Luca Massaro ha detto...

Fosse per me, te lo accorderei subito il miliardetto di euro, adoro il tuo modo di fare i conti.
Baci a mia volta.