Dopoguerra subito, le superpotenze d'allora inscenarono una competizione - fruttuosa - per la conquista dello spazio da parte dell'umanità delle superpotenze.
Iniziarono i sovietici a mandare prima un cane poi un uomo. Poi gli statunitensi mandarono uomini e macchine sulla Luna. E Sojuz. E Shuttle. Poi l'URSS crollò e di superpotenza né resto una. L'America non poté più competere, "giocare" allo spazio con un concorrente, bensì da sola. Così, anche per esigenze di budget, la Nasa e altre le agenzie spaziali, l'Esa e quella Russa (più il Giappone e il Canada) iniziarono una collaborazione per la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Lo spazio, dunque, non è al momento un ring per dimostrare chi ce l'ha più grosso, il missile da mandare in orbita, ma è un luogo di studio, di ricerca condivisa. Lo testimoniano tutti gli astronauti che rientrano dal soggiorno nella Stazione Spaziale. Ultimo Paolo Nespoli che, a proposito delle future missioni spaziali, tra l'altro, ha dichiarato:
«Oramai i tempi sono maturi per fare questi passi. Ma dobbiamo imparare a farli come umanità, sganciandoci dalle nostre differenze nazionali. La ISS ci fa vedere che quando vogliamo riusciamo a lavorare tutti assieme nonostante le differenze».
Orbene, se davvero l'ISS riesce a far "lavorare tutti assieme nonostante le differenze" per un obiettivo comune, umano, di conoscenza condivisa, non sarebbe auspicabile costruire una Stazione Terrestre Internazionale nella quale rinchiudere non gli astronauti, bensì i leader di turno delle principali nazioni, al fine di far capire che il concetto di nazione sta alla Terra, tanto quanto il calesse sta a una navicella spaziale?
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