lunedì 28 giugno 2021

Le favole erano finite

Si ripete - come prevedibile - l'andazzo dell'anno scorso: giovani assembrati, durante riti dionisiaci, spremono varianti dai loro turgidi capezzoli, che i media scandalizzati infiascano e danno dipoi a bere, ettolitro dopo ettolitro, a quegli spettatori che desiderano essere lubrificati dagli oli santi delle colpe. «Sono degli irresponsabili», tuonano i responsabili.
«Sono degli scriteriati», strillano i citreriati (neologismo).

«Andate a fare in culo, stronzi», replicano l'indomani i giovani stessi, con un cerchio alla testa poco angelico e molto alcolico.

Continua, inesorabile, la gran voglia di trovare delle cause, delle colpe, ossia di individuare dei colpevoli delle risalite (delle discese agli inferi ardite): è tutto un additare, un cercare pagliuzze con una trave intraversata nel retto, oddio come sto scomodo seduto. 
«Meno male hanno istituito il green pass», esultano i restringitori, i costrittori, i chiusisti, gli isolazionisti, i merdaioli in genere. 
«Mi è arrivato oggi sull'app IO il certificato verde!».
«E ci si pulisca il culo, provi, su (col palmare)».

Il green pass... un lebbroso, un tubercoloso, uno con la scabbia, uno con l'allergia a qualcosa che starnutisce e/o tossisce a ogni refolo di vento, uno scimunito, un Matteo  a caso, uno con la salmonellosi, uno con l'epatite eccetera, potrebbero averlo, il certificato di via libera, se vaccinati o tamponati molecolarmente?

Peccato ch'io non sia un Dioniso, sennò mi sarei davvero divertito a trasformare una buona parte dell'umanità in pipistrelli (1, 2):

«Le favole erano finite e le figlie di Minia continuavano intensamente il lavoro, nel totale disprezzo del dio e della sua festa. Ma ecco improvvisamente dei timpani che nessuno può scorgere rimbombano con le loro voci rauche, accompagnati dal suono della tibia ricurva e dal tintinnio dei bronzi: si sente il profumo della mirra e del croco. E accade una cosa incredibile: i telai cominciano a germogliare e le tele, ad essi appese, prendono l'aspetto di cascate d'edera; alcune diventano delle viti e i fili si mutano in tralci; dall'ordito spuntano pampini. Il colore splendente della porpora si stende sull'uva.
Già il giorno volge al termine e subentra quel momento che non si può definire né giorno né notte ma rappresenta il confine incerto tra la luce e l'ombra. Improvvisamente la casa sembra sussultare, grandi lumi ardono e le stanze rosseggiano di fuochi: si odono gli ululati di belve inesistenti. Le sorelle, in mezzo al fumo, cercano dei nascondigli nei luoghi più disparati della casa per evitare i fuochi e i bagliori; e mentre si rifugiano nelle tenebre, i loro arti si fanno piccoli, tra essi si distende una membrana e le braccia sono avviluppate da un piumaggio leggero. In che modo abbiano perso il loro aspetto, questo il buio non consente di saperlo. Non sono però le penne a permettere loro di alzarsi in volo, ma ali trasparenti le sostengono: se tentano di parlare emettono una vocetta proporzionata al corpo che ora posseggono ed esprimono deboli e striduli lamenti. La loro sede resta la casa, non i boschi: odiano la luce e volano durante la notte. Il loro nome è collegato alla parola "vespro"* che indica l'ora tarda della sera»
Publio Ovidio Nasone, Le metamorfosi, Libro Quarto, 389-415 (edizione BUR, traduzione di Giovanna Faralla Villa).

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* Vespertilio, infatti, si chiama il pipistrello.






1 commento:

quattrocani ha detto...

Quello che penso dei giovani? Jonathan Swift e Erode il Grande erano troppo moderati.