Coop, un caldo pomeriggio di maggio. Sono quasi venti giorni che non è più obbligatorio indossare la mascherina nei supermercati ma, ciò nonostante, all'interno dei locali saremo forse un venti per cento a essere a volto scoperto (e dico forse perché ho la tendenza a contare per due ogni uomo e ogni donna che sono senza).
Mentre giro tra gli scaffali, mi sento chiamare da una signora dal becco di pulcinella di mare.
«Oh, maestro Luca, quanto tempo che non la vedo. Come sta?».
Sebbene la voce sia un po' distorta dal filtro effeffepidue, mi sembra di averla già sentita. Infatti.
«Sono la mamma di P. e D. che sono stati suoi alunni, si ricorda? Ho saputo che si è trasferito, non è più alla scuola di S.»
«Ah, sì, signora. Ricordo bene i suoi figli. Erano davvero bravi ragazzi, me li saluti. Sì, ho cambiato scuola. Adesso insegno ai grandi».
«Ah, peccato. I bambini, non solo i miei figli, avevano grande considerazione di lei, tanto che, quando c'era lei, erano sempre contenti di essere a scuola».
<Grazie, mi fa piacere. Mi creda: è dispiaciuto anche a me lasciare la scuola dov'ero. Ma vede, dopo lo scorso anno scolastico, il trasferimento era diventato una cosa necessaria: mi è impossibile continuare a insegnare a bambini e ragazzi a cui s'impongono delle regole assurde, insensate, contro ogni logica anche e persino sanitaria. Siamo rimasti l'unico paese al mondo in cui c'è un governo autoritario che impone di coprire naso e bocca ai propri studenti e io non voglio essere complice di questo abominio».
«Ho capito. Arrivederci».
E se ne va, senza aggiungere altro, sistemandosi, dietro le orecchie, gli elastici del proprio becco posticcio che nasconderà, sicuramente, una smorfia di disprezzo.
Io rivolgo lo sguardo agli scaffali e penso ai suoi figli, adesso grandi ma non maggiorenni, ai quali tutte le mattine ella si raccomanderà, anche con questi caldi, di tenere la mascherina sempre su, su, su...
P.S.
Per chi volesse farsi un'idea della condizioni tragiche in cui versa la scuola italiana, consiglio di ascoltare
questo discorso di Elisabetta Frezza.