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lunedì 25 novembre 2019

Il gioco delle parti


Sono alcuni giorni che guardo questa immagine e mi vengono in mente tanti pensieri che si affastellano e quindi è giusto che gli dia fuoco. Avanti, bruciamoli.

Ci sono due parti, il Governo (che rappresenta lo Stato italiano) e un'impresa (una multinazionale) privata (è straniera, ma non ha importanza).
L'impresa privata, che aveva rilevato, in concessione dallo Stato l'Ilva, dopo un periodo di prova, ha verificato che la produzione dell'acciaio (una merce base della produzione industriale) in quel di Taranto non garantisce profitto, è cioè il Denaro investito per produrre la Merce acciaio non si trasforma in una quantità maggiore di Denaro.
Visto l'andazzo, l'impresa privata vuole abbandonare il campo, preferendo rescindere il contratto anziché continuare in una produzione dalla quale non trae guadagno.

Se tutto questo fosse lasciato alla logica di mercato, l'Ilva dovrebbe interrompere la produzione ed operai e impiegati restare senza lavoro; per tali ragioni, per evitare la perdita di posti di lavoro, interviene il governo. E parte la trattativa. 

Che cosa si saranno dette le parti? Anche senza leggere le cronache, è facile intuire: 
Governo: «Restate con noi, Signori, non ci lasciate, restate con noi, Signori, avremo la pace sociale (con un po' tosse e cattive digestioni dovute ai veleni in giro)».
Arcelor Mittal: «Sì, potremmo restare, ma...»
Governo: «Voi privatizzate i profitti, noi socializziamo le perdite».
Arcelor Mittal: «Affare fatto: restiamo».

E avanti con questo simpatico giochino della produzione per la produzione.

Vox populi:

«Eh, ma così sarei bravo anch'io a fare il presidente del consiglio».
«Io, invece, sarei più bravo a fare il figlio del capitano d'industria».

Ma pensare di cambiare gioco, no? Cioè a dire: a pensare di cambiare la logica che informa la produzione, si fa peccato?

Vox seminerios phastidious

«Lei è un comunista!»

Grazie.

martedì 28 giugno 2016

Arvedi come balla l'Ilva

Ansia

Arvedi-Delfin-Cdp. Non è un ordine alfabetico.

Arvedi è un cognome; Giovanni Arvedi è infatti un imprenditore siderurgico.

La Delfin, invece, è (mi affido a Wikipedia) una
società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità di Leonardo Del Vecchio [...] Delfin S.à.r.l., con sede a Lussemburgo, amministrata da Romolo Bardin. Leonardo Del Vecchio possiede a suo nome il 25% della Delfin, e alla sua morte passerà alla moglie Nicoletta Zampillo; il restante 75% è diviso equamente tra i sei figli (12,5% a testa), attualmente anche queste partecipazioni sono sotto il diretto controllo di Leonardo Del Vecchio (detiene l'usofrutto fino alla morte).
Il padre Del Vecchio usufruisce del capitale che destinerà alla morte ai suoi Delfini?

Ultima, ma non ultima, Cdp, la rinomata Cassa Depositi e Prestiti, 
una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1% dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,4% da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5% in azioni proprie.
Stringiamo: la «cordata italiana» (attenti al sapone: una è lussemburghese) è costituita da due società private e una pubblica.
Quella pubblica, nella cordata, occupa l'ultima posizione nonostante, come informa la notizia di agenzia, la sua quota di partecipazione si aggirerà intorno al 45%, mentre quella di Delfin fra il 30-35% e infine Arvedi, che starà sotto il 20%; quest'ultima, nonostante ciò, si occuperà della gestione aziendale della futura newco. Arvedi come balla Giovanni.

Infine, una nota di speranza per i risparmiatori italiani: il governo in carica provvederà a trasformare i buoni fruttiferi in buoni acciaiferi. Toccate ferro.

venerdì 20 dicembre 2013

Glielo darei io il fuoco

BARI (Reuters) - La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio il sequestro di 8,1 miliardi nei confronti di Riva Fire, la holding che controlla la Ilva spa.Lo rende noto una fonte giudiziaria, riferendo che per la corte il denaro serve alla messa in sicurezza dello stabilimento tarantino.

La decisione segue al ricorso presentato dall'azienda contro la decisione del tribunale di Taranto che aveva autorizzato il sequestro preventivo di beni equivalenti a oltre 8 miliardi nell'ambito di un'inchiesta su una serie di reati ambientali perpetrati dalla famiglia Riva nell'acciaieria tarantina.

«Per la corte il denaro serve alla messa in sicurezza dello stabilimento tarantino».

Tento di capire: la sesta (una bella sesta) sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio il sequestro affinché la holding Riva Fire metta in sicurezza lo stabilimento?

In altri termini: i soldi sequestrati dal tribunale di Taranto, in nome del popolo italiano, erano stati sequestrati per cosa se non per riparare i disastri ambientali provocati dai Riva? Cioè: se la sesta (una bella sesta) sezione penale della Corte di Cassazione non avesse annullato ma avesse confermato in via definitiva il sequestro, gli 8,1 miliardi di euro sarebbero stati senz'altro destinati alla messa in sicurezza dell'impianto in nome di tutto il popolo italiano, nella fattispecie le maestranze dell'Ilva e della cittadinanza di Taranto.

Invece, gli 8,1 miliardi di euro tornano nelle casse della holding Riva Fire, e questo è stato stabilito in nome del popolo italiano.

Ora: supponiamo che Riva Fire degli 8,1 miliardi di euro faccia tutto quel che legittimamente vuole fuorché mettere in sicurezza ambientale lo stabilimento.

Come si usano i lanciafiamme?

P.S.
Anche i Riva in Cassazione si sono avvalsi della difesa dell'avvocato Coppi: secondo me a Berlusconi girano ancor di più.


martedì 4 giugno 2013

Viene salvaguardata la proprietà

«Spesso mi fanno questa domanda: Come mai le masse si permettono di farsi sfruttare dai pochi? La risposta è: Lasciandosi persuadere a identificarsi con loro».

E. L. Doctorow, Ragtime, ( New York [?] 1974), Mondadori, Milano 1976 (traduzione di Bruno Fonzi).

Le tecniche di persuasione sono diverse tra Stati democratici e Stati autoritari, anche se - alla base - la propaganda di regime si prefigge lo stesso scopo: convincere la massa degli sfruttati che soltanto un tipo di organizzazione sociale è possibile, quella che divide nettamente i proprietari dei mezzi di produzione (i “legittimi detentori“ del capitale) da coloro i quali, invece, non hanno altro da vendere (per campare) che la propria forza lavoro.

Un esempio di compenetrazione totale della persuasione borghese lo offre il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato (è del Pd, vero?) il quale - circa il commissariamento dell'Ilva - si esprime così:
 «"Non siamo in presenza di un esproprio. I proprietari rimangono gli stessi, finito il periodo di commissariamento, i soci proprietari rimarranno proprietari", ha spiegato il ministro osservando che i Riva detengono una quota del 36-37% della società finanziaria e ne sono i soci di riferimento. Tutti i poteri sono in mano al commissario straordinario, "non è sospeso tuttavia il diritto della proprietà di vendere, viene salvaguardata la proprietà", ha detto ancora il ministro.»
«I soci proprietari rimarranno proprietari» anche qualora la magistratura italiana comprovasse, nei tre gradi di giudizio, le accuse che hanno determinato il commissariamento? E ancora: i proprietari commissariati (alcuni latitanti, altri ai domiciliari) hanno il diritto di vendere il pacchetto azionario che detengono? E a chi? Secondo me dovrebbe farsi avanti lo Stato pagando 0,00001 € ad azione ai Riva per riprendersi, legittimamente, quello che un tempo era suo (e che vendette a prezzo di comodo sotto la spinta ideologica delle “liberalizzazioni”).

lunedì 3 giugno 2013

La fame del magnate

Oggi, in appello, è stato condannato un magnate. Te magna.
Mi ha colpito cosa ha detto il suo avvocato italiano dopo la sentenza:
«Adesso quale imprenditore straniero investirà in Italia? Schmidheiny investì molto sulla sicurezza, spese 75 miliardi dell’epoca e non ne ebbe profitto. Ora è stato condannato 18 anni. È un incentivo?».
Ora, lasciando per un attimo da parte il fatto che è da un po' di anni che gli imprenditori stranieri non investono in Italia (per varie ragioni, sia perché impediti dalla “politica”, vedi i casi Alfa Romeo ed Alitalia; sia perché preferiscono comprare aziende italiane già qualificate in campo internazionale, vedi la Nuova Pignone), quanto è ragionevole ritenere che la suddetta sentenza allontani il capitale straniero dall'Italia? Solo in un caso, ben individuato dal pm Guariniello, il quale ravvisa che, tale sentenza,
«è un punto di riferimento per tutte le cause di disastro ambientale. [Essa] può aprire prospettive anche per l’Ilva di Taranto, per la Francia (dove sono aperte altre cause sugli effetti dell’amianto sulla salute, ndr) e per altri casi simili in Italia e nel Mondo».
In altri termini, i capitalisti (stranieri e non) cominceranno a preoccuparsi (un pochino, certo) solo se un gigante come l'Ilva finirà per essere nazionalizzato, ovvero espropriato per ripagare lavoratori e città di Taranto dei danni provocati dalla più grande acciaieria d'Europa: che il profitto sia reincanalato in un ciclo virtuoso di reale beneficio e progresso della società e non di rimpinzamento di una manica di pezzi di merda ingordi che fuggono all'estero. Ma io sogno.
Riuscirà un potere dello Stato, quale la Magistratura, nel suo esercizio specifico di far rispettare le leggi che lo Stato stesso si è dato, a spaventare davvero il capitale? Abbi dei dubbi, tu.

sabato 25 maggio 2013

Antigone e le rondini

Piove, fa freddo e molti sono dispiaciuti (sono tra questi molti), ma poi penso a quanto possano girare le palle alle rondini.
Più alle rondini o ai Riva?
Mi stupisco - come oggi un pulcino infreddolito di rondine si stupisce del fatto che i genitori gli abbiano portato meno cibo - a leggere che il Tribunale della Repubblica di Taranto ha disposto ieri il sequestro di otto miliardi e cento milioni di euro alla famiglia Riva, proprietaria dell'Ilva. Cioè: io mi stupisco che esistano uomini proprietari di più di otto miliardi di euro (senza che in questi soldi sia considerata l'Ilva, tra l'altro).
Il sequestro - ha spiegato il procuratore Sebastio - riguarda solo in merito ai beni della società Riva Fire. Abbiamo tenuto conto della legge 231 (legge salva Ilva, ndr), e dunque il sequestro non colpisce i beni dell'Ilva. E questo provvedimento non intacca la produzione dello stabilimento. La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica".
A pensarci bene, quanti oggi dei molti che si stupiscono del freddo continuo di fine maggio, si stupiscono altrettanto che una famiglia possegga tutta quella caterva di soldi? Pochi (sono tra questi pochi). 

Coro: «D'altronde, non è previsto alcun limite costituzionale alla ricchezza».
Antigone: «Esistono leggi non scritte che non riservano tutti gli insetti a un'unica famiglia di rondini».
Coro: «Chi mai potrà scriverle?».
Antigone: «Il sangue».

Intanto, i legali della Società per Azioni in oggetto hanno dato mandato ai propri legali d'impugnare la sentenza di sequestro.

Antigone: «Impugnassero stocazzo».
Coro: «Quale?».
Antigone: «Quello di quello stronzo di mio zio».