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martedì 28 giugno 2016

Arvedi come balla l'Ilva

Ansia

Arvedi-Delfin-Cdp. Non è un ordine alfabetico.

Arvedi è un cognome; Giovanni Arvedi è infatti un imprenditore siderurgico.

La Delfin, invece, è (mi affido a Wikipedia) una
società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità di Leonardo Del Vecchio [...] Delfin S.à.r.l., con sede a Lussemburgo, amministrata da Romolo Bardin. Leonardo Del Vecchio possiede a suo nome il 25% della Delfin, e alla sua morte passerà alla moglie Nicoletta Zampillo; il restante 75% è diviso equamente tra i sei figli (12,5% a testa), attualmente anche queste partecipazioni sono sotto il diretto controllo di Leonardo Del Vecchio (detiene l'usofrutto fino alla morte).
Il padre Del Vecchio usufruisce del capitale che destinerà alla morte ai suoi Delfini?

Ultima, ma non ultima, Cdp, la rinomata Cassa Depositi e Prestiti, 
una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1% dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,4% da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5% in azioni proprie.
Stringiamo: la «cordata italiana» (attenti al sapone: una è lussemburghese) è costituita da due società private e una pubblica.
Quella pubblica, nella cordata, occupa l'ultima posizione nonostante, come informa la notizia di agenzia, la sua quota di partecipazione si aggirerà intorno al 45%, mentre quella di Delfin fra il 30-35% e infine Arvedi, che starà sotto il 20%; quest'ultima, nonostante ciò, si occuperà della gestione aziendale della futura newco. Arvedi come balla Giovanni.

Infine, una nota di speranza per i risparmiatori italiani: il governo in carica provvederà a trasformare i buoni fruttiferi in buoni acciaiferi. Toccate ferro.

giovedì 2 luglio 2015

Capitale costante vs Capitale variabile

Time

The Guardian
Luca De Biase, da cui ho appreso la notizia, scrive:
Già, ma di chi è la colpa? Un robot che normalmente dovrebbe essere tenuto alla larga dagli umani ha ucciso un collaboratore della Volkswagen che stava lavorando vicino alla macchina. Errore umano? Certamente. Ma errore di quale umano? Gli inquirenti che lo stabiliranno apriranno una nuova strada per il diritto.
Più che per il diritto, io presumo si apra una nuova strada per il rovescio (non solo del medaglione Volkswagen). E cioè: se i robot, un giorno, facessero fuori tutti i lavoratori, sparirebbe il lavoro o sparirebbero gli umani, ovvero agli umani non resterebbe altro destino che quello di essere confinati dentro i baccelli per fornire energia alle macchine, come narra la vicenda di Matrix?
O meglio: senza andare troppo in là con l'immaginazione: data l'insuperabile analisi marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto, il lavoro morto (i robot) ce la farà a sotterrare il lavoro vivo (il lavoratore) e a ottenere, esso solo, quello che è l'unico scopo sotteso al modo di produzione capitalistico, e cioè il valore?
No.

lunedì 27 gennaio 2014

La proprietà privata può essere espropriata

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
via
La politica tornerà a essere cosa seria quando potrà liberamente discutere sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, tanto quanto parla delle soluzioni per accontentare i vari comitati d'affari per i quali si prodiga di non far mancare niente.

Perché se l'espressione della volontà popolare, la rappresentanza legislativa ed esecutiva (più quella giudiziaria che è selezionata, giustamente, in altro modo), scaturite da libere elezioni che, almeno teoricamente per l'Italia, dovrebbero essere ispirate dall'articolo uno della Costituzione e giù a cascata*, non hanno la stessa equipollenza di parola di quella delle facce a culo della multinazionale in oggetto, allora che cazzo vuoi fondare tutta una repubblica sul lavoro, eh?

*Art. 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Art. 41.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Art. 42.
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

sabato 4 gennaio 2014

La ricchezza delle nazioni

Car Concentrate
La ricchezza di una nazione è data da tanti fattori, uno dei quali è determinato dalla capacità di produrre manufatti, merci che poi, giocoforza, devono trovare mercati che li apprezzano come tali.
Senza farla troppo lunga: la Fiat è stata (oddio, parlo al passato) la principale industria italiana di manufatti, di merci affatto speciali: gli autoveicoli (autovetture, autocarri, autostop...). Durante la sua storia, la Fiat ha sempre fatto - giustamente - suo particolare vanto il presentare, di tanto in tanto, nelle varie epoche, nuovi modelli di autoveicoli, i quali - perlomeno quelli più significativi - sono stati (oddio, riparlo al passato) presentati in pompa magna presso le svariate autorità che hanno presieduto o governato il nostro beneamatouncazzo Paese. Li vedevi, gli Agnelli coi loro amministratori delegati, tutti orgogliosi mostrarsi sorridenti davanti ai fotografi e alle telecamere (anche con la Tempra e la Stilo mi pare lo fecero, ma per sicurezza dovrei fare una ricerchina e non ne ho voglia. Ammettiamo che) a dire, più o meno: «Ecco un prodotto made in Italy di cui bisogna, come italiani, andare fieri». Bravi. Grazie.
Avevo detto di farla poco lunga e quindi vengo al punto, che più che un punto è un vaticinio: con l'acquisizione e il controllo di Chrysler, gli Agnelli e il lor Ceo Marameo porteranno i nuovi modelli Cheysler-trattino-qualcosa-tranne-che-Fiat direttamente alla Casa Bianca. Al Quirinale, forse, in seconda battuta. Forse.

P.S.
Per i dettagli, consiglio due articoli, presi entrambi da Italia Oggi, uno e due. Dall'uno, mi piace riportare:
D. Cosa avrebbe potuto fare il governo per tutelare una maggiore presenza di Fiat in Italia?
R. Fino ad oggi si sono succeduti governi che hanno concesso alla Fiat tutto ciò che voleva, ma così facendo hanno fatto il male del gruppo. In dieci anni lo Stato ha speso – secondo dati del Sole 24 Ore – circa 1 miliardo e 700 milioni di euro in cassa integrazione per l'azienda torinese. Sarebbe bastato legare queste erogazioni, compresi i veri e propri aiuti di Stato, a dei paletti, così come quelli imposti da Barack Obama negli Stati Uniti a fronte dei prestiti concessi a Chrysler. Invece non si è chiesto niente in cambio. E la cosa peggiore è che questa classe politica, presa solo da discorsi sulla legge elettorale, sembra non accorgersi che l'Italia va sempre più incontro a una drammatica desertificazione industriale.

domenica 17 novembre 2013

Pensavo fosse una Fiat

e invece era un calesse.

Chissà se e quando Fiat proporrà all'attenzione del mercato un modello simile a quello sopra pubblicizzato dalla Bmw, oggi sulle pagine dei principali quotidiani nazionali. Comunque, anche se a Torino-Detroit hanno in cantiere un modello di auto con motore elettrico (e qualcosa avranno in cantiere fosse pure, tramite Chrysler, per il mercato americano), fanno bene ad aspettare: il mercato europeo dell'auto è troppo maturo, come sostiene da anni Marchionne - anche se ho il sospetto che maturo non sia equivalente di saturo, bensì di maturità decisionale nell'acquisto di auto che non siano Fiat.

***

Oggi ho letto un libello di Luciano Gallino: La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi, Torino 2003. Sono trascorsi dieci anni e la speranza di ritrovarla è sempre meno probabile. Si è nascosta così bene. Secondo molti osservatori, l'autore in testa, essa ormai ha preso la via dell'estero:
«Il ciclo di cessioni a imprese estere, privatizzazioni e smembramenti di grandi gruppi [...] ha concorso ad avvicinare l'Italia allo stato di colonia industriale. Magari relativamente prospera, eppur colonia. Nelle colonie, com'è noto, sono i governatori, nell'interesse dei paesi che rappresentano, a stabilire in quale direzione deve procedere, o arrestarsi, l'economia locale. Non i dirigenti o i lavoratori di questa» (Ibidem, pag. 78).
Nel libro si legge del disfacimento dell'Olivetti; del rifiuto politico di partecipare al consorzio Airbus; della disastrata vicenda della chimica industriale italiana (Montacatini, Edison, Montedison); del rifiuto di utilizzare l'invenzione di Marconi  (1896); del ritardato ingresso in Italia della tv a colori rispetto a tutti i paesi industrializzati, ritardo di cui pagarono le conseguenze i produttori nazionali di televisori (dove sono finiti gli Autovox, i Brionvega, i Mivar, i Sinudyne, i Sèleco?); della cessione di aziende high-tech al vertice mondiale nei rispettivi settori di produzione, tipo la Nuova Pignone; dell'incredibile assenza in Italia di un produttore di cellulari e smartphone di un qualche rilievo; della vicenda Fiat, appunto.

Niente di nuovo sotto il sole, ma Gallino ha il merito di averle messe in fila le dismissioni industriali italiane. Dal 2003 possiamo aggiungere all'elenco Telecom, Alitalia - e la situazione dell'Ilva.

Il capitolo più inutile, purtroppo, è l'ultimo: “Quale riforme per una politica industriale”? Sinteticamente, la ragione di ciò è insita nel titolo. Infatti, dopo la disarmante lettura dei precedenti capitoli, lo sconforto e l'amarezza sono tali e tanti che a sentire la parola riforme, le reazioni sono due: una di tipo goebbelsiano («quando sento parlare di riforme metto mano alla pistola»), e una di tipo massariano («quando sento parlare di riforme mi metto una mano sulle palle»). 
Io, da tempo, le mani ce lo ho messe tutte e due.

domenica 16 dicembre 2012

Le armi improprie della cultura

Cesare Lanza
«Nella stagione 2011-2012 è impegnato nella realizzazione di un progetto televisivo di grande valore: il programma Socrate, andato in onda in prima serata su Rai Uno il 7 febbraio 2012. L'idea di fondo di Lanza è stata di riportare in tv attraverso Socrate il tema della meritocrazia. Presentato dal giornalista Tiberio Timperi, affiancato dalla modella e showgirl Sofia Bruscoli, il programma ha potuto contare sulla partecipazione straordinaria dell'attore Giancarlo Giannini. Sono intervenuti, inoltre, sul tema del merito il ministro Corrado Passera, la manager Letizia Moratti, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli e lo scrittore Massimo Fini. Peculiarità della trasmissione sono stati i momenti dedicati al merito nascosto dei Ghostwriter, al carosello, con i grandi registi che ne decretarono il successo, alle testimonianze dei cosiddetti “cervelli in fuga” e di altri giovani che, nonostante le difficoltà, in Italia sono riusciti ad imporsi. Tra gli ospiti il giornalista Vittorio Feltri, l'onorevole Giovanni Bachelet e il direttore della Stampa Mario Calabresi. I cantanti Al Bano, Ornella Vanoni e Loredana Errore hanno ripercorso le tappe più significative della loro carriera, mentre Catherine Spaak, Gigliola Cinquetti e Gianni Bisiach hanno commentato le mitiche pubblicità del Carosello.»

fonte Wikipedia

A parte.
Ho una proposta shock che regalo al presidente Obama, dimodoché con una fava (me) prenda due piccioni.
Nel rispetto della Costituzione americana che consente a ogni cittadino statunitense il possesso legittimo delle armi, legge tanto cara alla lobby degli armaioli, il Presidente potrebbe proporre, con il beneplacito degli stessi produttori, non il divieto della vendita delle armi stesse, ma delle pallottole, ovvero della loro sostituzione con proiettili meno dannosi per la salute umana. Pallottole di gomma, per intendersi, o altro tipo di materiale non offensivo e devastante. Si tratta di una riconversione ecologia del settore industriale delle armi, il quale continuerà a produrre proiettili convenzionali solo per le forze dell'ordine, per l'esercito, e per la resistenza armata di quelle popolazioni che vogliono cambiare dittatore per sostituirlo con uno più al passo coi tempi.

lunedì 9 luglio 2012

Chist'è o paese do sole


Dico una cazzata, tanto una più, una meno.
Secondo me, Marchionne è un agente segreto della Cia.
Crisi o non crisi, infatti, sta facendo peggio di Romiti e sta facendo contenti gli americani.
Di più: sta facendo diventare la Fiat americana: tanti operai licenzia in Italia, quanti ne assume in America. (Quelli del Wall Street Journal non fanno mica inchieste giornalistiche a caso: vogliono vedere se davvero Fiat Group in Italia ristruttura per premiarne, o meno, le azioni al mercato borsistico americano).
Di questo passo, succederà come con l'Olivetti che, per un verso o per un altro, non esiste praticamente più (chi è che compra Olidata?); e invece esisteva ed era grande, globale ben prima e più di Apple, Microsoft, Google ecc.
E la Mondadori? La più grande industria culturale europea che, tra qualche anno, quando Berlusconi non avrà più i suoi privilegi politici, sarà comprata da Amazon.
In breve: la morte della grande industria italiana. Cosa resta? Qualche fabbrica d'armi, e altri miseri gioiellini da vendere alla spicciolata.

giovedì 5 aprile 2012

Arrivederci e grazie


Nonostante il 2010 si sia concluso con un utile netto di 378 milioni di euro e il 2011 con 700 milioni di euro, Fiat Industrial chiude lo stabilimento di Valle Ufita (Avellino), continuando la produzione di autobus in Francia, in Repubblica Ceca e altri siti europei (ma l'Italia no).
"Non torneremo a produrre autobus. Non utilizzeremo più quello stabilimento, lavoriamo con il governo per trovare un altro utilizzo che non sia nostro"
Ora, se ci fosse un governo serio, non necessariamente comunista, penso vada bene anche un governo democratico americano stile Obama, uno andrebbe di fronte a Marchionne col sorriso sulle labbra annunciandogli: «Va bene, Sergino, te chiudi. Ci pensiamo noi a rilevare (leggi: espropriare) lo stabilimento. Si prende tutto, macchinari, operai, tecnici, ingegneri, impiegati, custodi eccetera, e si continua noi a produrre autobus, magari usando un altro nome e un altro simbolo, tipo questo

e si comincia a venderli noi, come Stato italiano, in giro per il mondo. In fondo all'anno, ci basterà avere un utile netto di un paio di euro per darteli di mancia e mandarti a fare in culo, te, e il nuovo consiglio di amministrazione, donne comprese. Salutaci la Cecoslovacchia, la Francia e gli altri ameni siti europei, Svizzera compresa, loco ove risiedi, vista lago Lemano. Arrivederci e grazie.»