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sabato 5 aprile 2014

Buon compleanno fondatore

Ieri, su la Repubblica, in occasione dei novant'anni del fondatore, il noto psicoanalista Massimo Recalcati ha presentato il volume Racconto autobiografico di Eugenio Scalfari.

Sia lode al Fondatore.
Sempre sia lodato
Amen.

Fatta la preghierina, uno poteva uscire dalla funzione, anche senza tanti ripensamenti su quanto letto, se lo psicoanalista non avesse scritto:
«Accogliere il padre malato nella propria casa [Scalfari trascorse il 1972 “insieme al padre afflitto da un tumore alla prostata”] mostra tutto il senso positivo del debito simbolico. Diversamente dalla “razza padrona” che ha gestito le sorti spesso spregiudicate e criminogene del capitalismo italiano nel segno di una avidità pulsionale sconfinata, il gesto umanissimo di accompagnare alla morte il padre malato ci rivela l'essenza dell'ereditare[*]: portare dentro di sé l'altro da cui proveniamo, custodirlo in noi, non per riprodurlo passivamente, ma per oltrepassarlo.»

Diversamente dalla “razza padrona”? Cioè, con quel diversamente, Recalcati intende Scalfari appartenente alla razza padrona, pur distinguendolo dagli altri grazie al suo nobile gesto di amor filiale con il quale accolse in casa il padre morente? Per me sì, e tuttavia, se Scalfari non fosse compreso nel gotha padronale, a chi si riferisce Recalcati? Perché non ha precisato con un esempio chi sono quei padroni rapaci afflitti da «avidità pulsionale sconfinata», i quali, per giunta – secondo quel che Recalcati sottintende – non hanno accolto in casa il padre morente?

Berlusconi.

Beh, poteva dirlo allora, non è mica una scoreggia. Tutti gli indizi, infatti, portano a lui, comprese le caratteristiche di (s)pregiudicato e criminogeno.

Ciò nonostante, Berlusconi al padre ha voluto tanto bene, l'ha portato ad esempio in numerose circostanze e sempre si è vantato delle sue doti di procuratore bancario, tanto che gli ha dedicato persino un trofeo calcistico che, in pochi anni, è diventato un atteso evento di precampionato.

Mentre Scalfari cosa ha dedicato al padre? Un editoriale della domenica?

Da segnalare, infine, questo passaggio conclusivo:
Per Scalfari il «riformismo è una forza ricompositiva che non cede al compromesso, ma che avvicina elementi apparentemente opposti, sordi, finanche ostili. È quello che assume le forme di una vera e propria strategia politica nello sforzo di avvicinare il liberalismo repubblicano di La Malfa con il Partito Comunista di Berlinguer negli anni più bui della nostra vita collettiva che culminarono con l'assassinio di Moro. Se il terrorismo si configurò come una rottura atroce e traumatica del legame sociale, come una separazione violenta della cultura democratica, egli vide nell'avvicinamento tra le forze laiche liberali e quelle comuniste, la possibilità di liberare le energie più sane del capitalismo italiano dall'avventurismo e i comunisti italiani dall'egemonia sovietica. Riformismo per Scalfari ha sempre voluto dire possibilità di ricomporre produttivamente le differenze, di evitare che la separazione risulti solo sterile e traumatica».

Praticamente, per Massimo Recalcati, Matteo Renzi è stato per Scalfari il regalo più bello per il suo compleanno, la sintesi hegeliana imperfetta tra La Malfa e Berlinguer, non essendo Renzi né liberale né comunista, solo una scheggia nucleare del democristianismo piduista che, dopo più di trent'anni, fa sentire ancora la sua pericolosità radioattiva.

In ultimo, ma non ultimo: che miseria l'analisi psicoanalitica che riduce il capitalismo a mero fenomeno comportamentale, tra bravi buoni e belli capitalisti e stronzi brutti e cattivi capitalisti, magari anche con l'alito cattivo. Il capitalismo con le pulsioni c'entra come l'acciaio con i miei coglioni - un modo come un altro per dire che sono tanto teneri.

[*]Quando si supera una certa soglia, io, all'«essenza dell'ereditare», metterei volentieri una cospicua tassa di successione.


martedì 23 luglio 2013

Farsi tagliare le orecchie per non sentirsi urlare

*
Appena ho visto il signore con le orecchie a sventola che va dal barbiere a farsele tagliare, ho avuto, per un attimo, l'impressione che costui potesse essere Enrico Letta, ma non ho saputo spiegarmi il perché.
Poi ho letto l'editoriale di Massimo Recalcati su Repubblica di oggi (ancora a pagamento la versione online***), in cui lo psicoterapeuta accusa di «rimozione della realtà» l'illusione di Enrico Letta (o meglio: del Presidente della Repubblica) di dar vita a un governo di unità e di pacificazione nazionali e l'accostamento tra Letta e il signore con le orecchie tagliate ha trovato una qualche pertinenza.

Scrive Recalcati che, in psicoanalisi, la rimozione della realtà «accade esemplarmente nella psicosi» e, come esempio, riporta una storia narrata dallo stesso Freud, storia che vede una madre «colpita dalla tragedia della perdita prematura di una figlia»; madre che sostituisce la figlia perduta «con un pezzo di legno che avvolge con una coperta che tiene amorevolmente in braccio sussurrandogli tutte quelle parole dolci e affettuose che la figlia morta non potrà più sentire».
Secondo Recalcati: «l'idea della pacificazione [...] assomiglia forse a questa sostituzione delirante soprattutto se tale idea “coincide” «con la riabilitazione di Berlusconi come statista ponderato». 
Questo perché, «come accade alla povera madre delirante raccontata da Freud si vorrebbe trasformare la bimba morta e perduta per sempre in una bimba viva e sorridente. Ma un pezzo di legno non fa una bambina, così come Berlusconi non fa uno statista. La pacificazione rischia allora di essere una pura falsificazione».

E perché dunque identifico Letta col signore con le orecchie a sventola? Perché anch'egli, come una brava madre, tiene amorevolmente in braccio il proprio pargolo sussurrandogli paroline dolci e affettuose, ma chi tiene in collo non è un pezzo di legno, ma un Berlusconi intero che, anche se per il momento sta buono perché si sente rassicurato, fa strepitare in sua vece mille scagnozzi e tre arpie. 
Per questo, l'aver creduto che l'unità e la pacificazione nazionali passassero attraverso il riconoscimento e/o riabilitazione di Berlusconi, lo porterà un giorno - non tanto Letta (nipote di suo zio), ma il Pd - a urlare munchianamente per l'ennesima, forse ultima, cazzata politica.

***Oggi non più: ecco qua.

venerdì 5 aprile 2013

Perché prevale troppo l'io

Questo passaggio, colto al volo stasera nella puntata di 8½:

Lilli Gruber: La politica italiana ha bisogno di psicoanalisi?
Massimo Recalcati: È molto difficile che questo genere antropologico, incarnato da Berlusconi a da Grillo, possa pensare di rivolgersi a uno psicoanalista.
L.G.: Perché?
M.R.: Perché prevale troppo l'Io.

Ci sono stati diversi momenti nella mia vita in cui ho avuto l'io debole, soccombente, sgonfio, come le palle a volte sono sgonfie (lettori uomini sono pregati di).
Per tali ragioni ho sovente cercato di farlo tornare su, l'Io, non altro (quello non è mai sceso), e ci sono riuscito, perché, di fondo, ho sufficiente amor proprio per vedere il bicchiere mezzo pieno o di aspettare le piume di gallina del domani. Magari in quei momenti l'espressione del viso si è fatta un po' più contratta e sono anche uscite lacrime, lacrime che - non so spiegare come - hanno svolto, su di me, sempre una funzione di balsamo e di distensione.
Quel che voglio dire è che, istintivamente, sono sempre riuscito, finora, a tenere a bada l'io, soprattutto a non farlo cadere in balìa di ego ipertrofici che si alimentano degli io soccombenti; sono riuscito, altresì più facilmente, a far sì che il mio io non prevalesse sugli “io” altrui. In breve: non ci tengo, non ho mai tenuto a diventare modello e guida di altri io, così come non adoro nessun io, nemmeno il mio.

Ed ecco, forse, quando l'io smette di essere prevalente: quando stabilisce un rapporto tra pari, tra io equivalenti, capaci di avvertire i pericoli della doppia mediazione e del mimetismo subdolo che conduce all'adorazione o all'odio.




My face in thine eye, thine in mine appears,
And true plain hearts do in the faces rest;
Where can we find two better hemispheres
Without sharp north, without declining west?


Nel tuo occhio il mio volto, il tuo nel mio
si specchia e cuori semplici e fedeli
riposano nei nostri volti: dove
trovare due più limpidi emisferi
senza Nord affilato, Ovest caduco?

 John Donne, The Good-Morrow, (15-18), traduzione di Cristina Campo.

sabato 5 gennaio 2013

Animal capax gaudium

Geoffroy de Boismenu, A short history of sex
I blog hanno perso consistenza e due blogger (un giornalista professionista, Vittorio Zucconi, e uno no, anche se scrive editoriali per testate online, ma bravo, molto bravo, Leonardo Tondelli) scrivono che i blog sono destinati a morire, dato il loro declino in termini di chiusure o inattività (del blog).
Sarà vero? Sarà vero.
Twitter adesso la fa da padrone nello spazio memetico del dire.
Twitter è più immediato, veloce e dà l'illusione, mediante la brevità del dire, che una sentenza, aforisma, massima, battuta (tweet) riesca a definire, a catturare, a sputtanare il mondo là fuori, che si subisce o si osserva. Ogni tweet è un giudizio sommario, a volte anche geniale, sulla realtà.
Anch'io uso twitter, con parsimonia, soprattutto per rimandare ai miei post, compiendo così atti di autocompiacimento (uso meno facebook, se non per rimandare automaticamente quanto condivido su twitter).
Non mi piace la costrizione delle battute, non mi piace la rincorsa alle battute.
Il mezzo non è il messaggio.
I blog destinati a scomparire sono quelli che si prefiggono uno scopo che vada aldilà del mero principio di piacere  (piacere inteso come godimento personalissimo).
I blog servono a dare voce a una concatenazione di pensieri che sarebbero destinati o a non essere espressi, o a esserlo, però sotto forma di quaderni o moleskine o documenti di testo elettronici.
Ma se sono e rimangono luogo di letture piacevoli, di argomentazioni che vanno di palo in frasca, di opinioni che cercano volutamente di sfuggire al canone degli editoriali giornalistici, i blog conservano il loro fascino, la loro attrattiva.
I blog come luogo di pensiero che si fa corpo, di pensiero che si vuole cosa, oggetto, «sostanza godente» (J. Lacan, Le Sèminaire, Livre XVIII).
«Il desiderio, afferma Lacan, “viene dall'Altro nel senso che la sua è una dialettica che per quanto “infinita” implica l'Altro come destinatario fondamentale. Diversamente, afferma sempre Lacan, il godimento “viene dalla Cosa”. Siamo dunque messi di fronte a una opposizione binaria netta: desiderio/Altro, godimento/Cosa. Il godimento, infatti, in contrasto con il desiderio, non manca di nulla. La sua esperienza è piuttosto quella di una abolizione della mancanza». Massimo Recalcati, “Il fondo oscuro del desiderio. Note su Sartre e Lacan”, Aut Aut, n. 315, anno 2003, pag. 113
Capisci a me, direbbe Di Pietro. Io continuo a scrivere perché, me tapino, scrivendo godo. Seghe mentali, ordunque. Ma scrivendo do corpo al godimento e tengo a bada il desiderio (che non è definibile se non al prezzo di una seria auto-analisi che non è il caso di fare ora), quindi faccio finta di non avere l'Altro che mi scandalizza e mi rompe le balle con la sua bella vita realizzata, mentre la mia, la mia, piena di contraddizioni e compromessi, di uggie e ubbie, di vuoti e di pieni, Parmenide aiuto, fammi diventare un eleatico.