Ieri, su la Repubblica, in
occasione dei novant'anni del fondatore, il noto psicoanalista
Massimo Recalcati ha presentato il volume Racconto
autobiografico di Eugenio
Scalfari.
Sia
lode al Fondatore.
Sempre
sia lodato
Amen.
Fatta
la preghierina, uno poteva uscire dalla funzione, anche senza tanti
ripensamenti su quanto letto, se lo psicoanalista non avesse scritto:
«Accogliere il padre malato nella propria casa [Scalfari trascorse il 1972 “insieme al padre afflitto da un tumore alla prostata”] mostra tutto il senso positivo del debito simbolico. Diversamente dalla “razza padrona” che ha gestito le sorti spesso spregiudicate e criminogene del capitalismo italiano nel segno di una avidità pulsionale sconfinata, il gesto umanissimo di accompagnare alla morte il padre malato ci rivela l'essenza dell'ereditare[*]: portare dentro di sé l'altro da cui proveniamo, custodirlo in noi, non per riprodurlo passivamente, ma per oltrepassarlo.»
Diversamente dalla “razza
padrona”? Cioè, con quel
diversamente, Recalcati
intende Scalfari appartenente alla razza padrona,
pur distinguendolo dagli altri grazie al suo nobile gesto di amor
filiale con il quale accolse in casa il padre morente? Per me sì, e
tuttavia, se Scalfari non fosse compreso nel gotha padronale, a chi si
riferisce Recalcati? Perché non ha precisato con un esempio chi sono
quei padroni rapaci
afflitti da «avidità pulsionale sconfinata»,
i quali, per giunta – secondo quel che Recalcati sottintende –
non hanno accolto in casa il padre morente?
Berlusconi.
Beh,
poteva dirlo allora, non è mica una scoreggia. Tutti gli indizi,
infatti, portano a lui, comprese le caratteristiche di
(s)pregiudicato e
criminogeno.
Ciò nonostante,
Berlusconi al padre ha voluto tanto bene, l'ha portato ad esempio in
numerose circostanze e sempre si è vantato delle sue doti di
procuratore bancario, tanto che gli ha dedicato persino un trofeo
calcistico che, in pochi anni, è diventato un atteso evento di
precampionato.
Mentre Scalfari
cosa ha dedicato al padre? Un editoriale della domenica?
Da segnalare,
infine, questo passaggio conclusivo:
Per Scalfari il «riformismo è una forza ricompositiva che non cede al compromesso, ma che avvicina elementi apparentemente opposti, sordi, finanche ostili. È quello che assume le forme di una vera e propria strategia politica nello sforzo di avvicinare il liberalismo repubblicano di La Malfa con il Partito Comunista di Berlinguer negli anni più bui della nostra vita collettiva che culminarono con l'assassinio di Moro. Se il terrorismo si configurò come una rottura atroce e traumatica del legame sociale, come una separazione violenta della cultura democratica, egli vide nell'avvicinamento tra le forze laiche liberali e quelle comuniste, la possibilità di liberare le energie più sane del capitalismo italiano dall'avventurismo e i comunisti italiani dall'egemonia sovietica. Riformismo per Scalfari ha sempre voluto dire possibilità di ricomporre produttivamente le differenze, di evitare che la separazione risulti solo sterile e traumatica».
Praticamente, per
Massimo Recalcati, Matteo Renzi è stato per Scalfari il regalo più
bello per il suo compleanno, la sintesi hegeliana imperfetta tra La
Malfa e Berlinguer, non essendo Renzi né liberale né comunista,
solo una scheggia nucleare del democristianismo piduista che, dopo
più di trent'anni, fa sentire ancora la sua pericolosità
radioattiva.
In ultimo, ma non
ultimo: che miseria l'analisi psicoanalitica che riduce il
capitalismo a mero fenomeno comportamentale, tra bravi buoni e belli
capitalisti e stronzi brutti e cattivi capitalisti, magari anche con
l'alito cattivo. Il capitalismo con le pulsioni c'entra come
l'acciaio con i miei coglioni - un modo come un altro per dire che
sono tanto teneri.
[*]Quando si supera
una certa soglia, io, all'«essenza dell'ereditare», metterei
volentieri una cospicua tassa di successione.
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