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domenica 16 luglio 2017

Il lascito perduto de la Repubblica

Languidezze bloggeristiche, sfinimenti, mancate ispirazioni: oh dio degli elzeviri domenicali, aiuta tu un indefesso redattore di facezie a ritrovare lo spirito per redarle, appunto, senza farsi vincere dal tedio, dal vuoto pneumatico che estenua la concentrazione, come adesso, appunto, che son qui a pensare come chiudere questo giro di frase e, zac! - mi si chiude un occhio, mentre l'altro è catturato dallo svolazzo di una rondine disturbato dal grecale che rinfresca, benvenuto, il circondario. Ecco l'ho chiusa, l'invocazione, senza neanche specificare una richiesta al dio suddetto.
Ma Pietro Citati è sempre vivo? E Ceronetti come sta? E oggi il mendicante dello Spirito Santo con la barba bianca e l'animo nero, che vuole un posto assiso in Paradiso pur professandosi ancora non credente per finta coerenza (non fu lui che disse che, appunto, «la coerenza è la virtù degli imbecilli»?), l'ha scritto il suo insulso editoriale?

Sì.

Un grande plauso al redattore che ha compilato titolo e sommario: fossi un agente letterario lo metterei subito sotto contratto, giacché uno che riesce a riassumere quanto Scalfari scrive, ha nelle corde sicuramente un capolavoro letterario.

«La vecchiaia è una fase della vita culturale europea e poi anche americana, che non si chiude di botto».

Già. Non tutti sono all'altezza di Mario Monicelli.

E comunque Nietzsche a un certo punto cominciò ad abbracciare i cavalli. 

domenica 7 maggio 2017

Evgenij Smerdjakov

Non ditemelo, lo so da solo che - da un punto di vista politico - sarebbe più proficuo rispolverare, dalle teche Rai, le previsioni dei colonnelli Bernacca e Baroni, ma non è che uno lo legge per farsi un'idea politica, Scalfari, piuttosto clinica, di quando cioè arriverà il momento - arrivata una certa età - di arrivare a farsi di acido lisergico, mescalina e maria giovanna seduti sul quel che resta del nostro sofà poltrone e sofà scucito, mica siamo altoborghesi romani biasciapaternostri e amen.
Scusatemi, ma era maggio e pioveva. Ho letto l'incipit dell'editoriale...
«HO PENSATO e scritto più volte che è necessario sapere in che cosa consiste una sinistra moderna e perfino una sinistra rivoluzionaria. Credo di averlo finalmente capito e comincio questo articolo chiarendo questo punto fondamentale.»
...e mi sono detto: anvedi che davvero Scalfari ha avuto un'illuminazione sulla sinistra.

E invece mi sono trovato a leggere due lunghi capoversi, allineati a sinistra, pronunciati da 
«papa Francesco il 26 aprile scorso parlando alle tre del mattino in un videomessaggio all’incontro internazionale intitolato Il futuro sei tu, a Vancouver. Non si poteva dir meglio sia ai poveri derelitti sia ai potenti, ai ricchi e ai leader politici.»
E qui mi sono emozionato al pensiero che un nonagenario ascolti Radio Vaticana alla tre del mattino, anziché, come tanti coetanei, il rosario delle cinque del pomeriggio, su Radio Maria.

Cosicché non ho potuto rinunciare a proseguire la lettura. E ho fatto bene, giacché, zacchete, altra staffilata di controbalzo:
«Di leader politici ce ne sono pochi, anzi ce n’è uno soltanto ed è Matteo Renzi. Può piacere o non piacere, ma questo aspetto sentimentale dice poco. Per giudicarlo occorre valutare che cosa sta facendo e che cosa si propone per il futuro, per se stesso e per il Partito di cui è tornato ad essere il segretario dopo le “primarie” del 30 aprile.»
Segnatevi quel sibillino «può piacere o non piacere», vi servirà dopo aver letto le predizioni scalfariane su determinati, insulsi, accadimenti di cronaca politica spicciola nostrana e internazionale.

Letti? No? Fa niente. Divertente è leggersi l'epilogo:
«Qualcuno dei miei lettori ha la sensazione che io sia diventato renziano. È possibile, il tempo corre e cambia i pensieri e soprattutto la natura dei fatti. Posso rispondere con una battuta: se fosse Renzi a pensare come me? Una battuta o un’ipotesi? Si vedrà dai fatti, che sono la vera realtà.»
Qualcuno dei miei lettori ha la sensazione che io sia diventato un figlio di puttana. È possibile, il tempo corre e cambia i pensieri e soprattutto la natura dei fatti. Posso rispondere con una battuta: i padri fondatori farebbero meglio a morire prima di non affondare. Dove? Nella merda dei fatti.

martedì 12 gennaio 2016

Interruzione volontaria di comicità

Scorrendo veloce i titoli delle news, a un certo punto ho letto che la ministra Lorenzin ha mandato nuovamente gli ispettori. In Vaticano. Emorragia del comico.
«E per descrivere Bergoglio, Benigni ha poi detto: "È un rivoluzionario, come lo ha definito Eugenio Scalfari (presente in sala, ndr) che è un rivoluzionario anche lui. Fra rivoluzionari s'intendono».
Che il significato letterale sia andato a puttane - ma chi le paga? - è risaputo. 
Che il significato allegorico sia andato a dormire - con che sonnifero? - è sottinteso.
Che il significato tropologico sia andato a tropici - con quale volo? - è appurato.
Che il significato anagogico, infine, sia andato sotterra - con quale necroforo? - è stabilito.

domenica 1 novembre 2015

Volare basso, spegnere il telefono

Programmi televisivi, ospiti, film, libri, giornalismo, teatro, sport, cucina, televisione, politica, musica, tanta musica, risate, tante risate, lacrime, un po' meno lacrime, l'importante è intrattenere spettatori, spettatori spiaccicati, spacciati, spalmati su divani a subire il mezzo e il messaggio, le figure umane che appaiono dentro il televisore hanno sempre qualcosa da dire, da mostrare, da cantare. Figure umane pagate apposta per riempire le vite altrui di contenuti, di aspirazioni, di doppi vincoli. 
Per non remare contro i criteri logici che governano il mondo, è necessario seguire le indicazioni proposte, gli esempi, i consigli pubblicitari. Ci sono delle attese generali che vanno rispettate altrimenti, insieme ai palinsesti, potrebbero cambiare le figure. E le figure potrebbero trovarsi impreparate, nonostante l'innata attitudine al trasformismo che le caratterizza. 
13. «Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo, deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono nel contempo anche i suoi scopi. È il sole che non tramonta mai sull'impero della passività moderna. Esso ricopre tutta la superficie del mondo e si bagna indefinitamente nella propria gloria.»
Non c'è niente di meglio che camminare senza scopo, a passi lenti, sulle foglie in decomposizione per sentirsi, una volta tanto, meno passivi.

_________
P.S.
Il titolo è un chiaro riferimento all'editoriale scalfariano, del quale vorrei soltanto far notare come, nella prima parte incentrata sulla vicenda Marino, l'uso del passato remoto, relativamente alla cronaca politica delle ultime settimane, teso a suggellare e chiudere, forse storicizzare definitivamente la questione, è alquanto puerile[*], nonostante la senilità dell'autore.


[*] Estratto 
«Il presidente del Pd, Matteo Orfini, nominato da Renzi commissario del Pd romano, tentò per quasi un anno di sostenere Marino della cui onestà e sincerità non dubitava. Poi si rese conto della sua totale inefficienza e, stimolato da Renzi, capì che bisognava arrivare alle dimissioni del sindaco. Tentò di convincerlo ad affrontare il dibattito in aula, ma l'altro si oppose. Poi Marino si dimise ma pochi giorni dopo ritirò le dimissioni. Alla fine il Consiglio comunale si è autosciolto e Marino, turbato e rabbioso, fece le valigie» 

Che sia una forzatura stucchevole lo si denota dalla confusa commistione dei tempi della frase finale. «Il Consiglio comunale si è autosciolto», passato prossimo per un evento avvenuto comunque prima di «e Marino, turbato e rabbioso, fece le valigie». 

domenica 27 settembre 2015

Begli amici

«Qualche amico mi ha chiesto chi sono a mio parere gli uomini più importanti e che maggiormente influenzano la situazione del mondo d'oggi. La mia risposta è: Francesco e Barack Obama. Operano in settori diversi ma le finalità sono affini. Purtroppo non avranno molto tempo a loro disposizione ed è assai improbabile che i loro successori siano alla stessa loro altezza. È addirittura possibile che abbiano finalità diverse dalle loro. La storia del resto non è coerente nel suo procedere, affidata più al caso che al destino; variano le passioni, le emozioni, gli interessi e quindi i valori e gli ideali. Ma i momenti culminanti e chi li rappresenta sia nel bene sia nel male rimangono nella memoria storica e aiutano le anime vigili e responsabili a tener conto del prossimo e della "polis", due parole che indicano la stessa realtà vista da due diverse angolazioni: il prossimo si configura in una convivenza tra liberi ed eguali. Così vorremmo che fosse.»

Mi piacerebbe conoscere gli amici di Scalfari per dire loro: 
- State zitti, fate i cazzi vostri, le domande fatele al vostro cane o, al limite, al macellaio o al barbiere, persone che sicuramente risponderebbero con più assennatezza e pertinenza.
Certo, se poi mi dite che a Scalfari gli fate ‘certe’ domande apposta perché gli siete amici alla stessa stregua di Amici miei, allora, beh, continuate pure, anzi: complimenti, perché oggi, con quella domanda, siete stati più perfidi di loro nell'iscrivere il conte Mascetti alla seguente gara.


domenica 16 agosto 2015

Sotto una coperta scura, a Ferragosto

Passato Ferragosto, vento fresco e mare mosso,
"mi vengono in mente strane associazioni di idee. Immagino che capiti a molti ed io di solito me le tengo per me, ma quelle di oggi desidero invece dirle."
Se arriverò a novantun anni, scriverò ancora cazzate inutili nel mio blog, ricordando la più stolida legislatura repubblicana, nella fattispecie i presidenti dei due rami in coma del Parlamento associandone l'inutilità con una celebrazione che non c'entra un cazzo nulla con l'attualità politica di un disfacitore della rappresentanza democratica, fatto salvo che le rappresentanze democratiche legittimamente elette per il tramite di elezioni periodiche, non servono esse stesse a un cazzaccio nulla di nulla per impedire il baratro al quale gli Stati sono (chi prima e chi poi) votati, servi scodinzolanti della forma valore, incapaci di comprendere che, sotto questo cielo, le riforme costituzionali servono solo a far venire in mente strane associazioni di idee ai novantunenni che scrivono editoriali del cazzo sul giornale che hanno fondato?

domenica 24 maggio 2015

«Non starò a raccontarlo»

Scrive Scalfari:

«Ho visto pochi giorni fa un vecchio e bellissimo film che ha come protagonisti Robert De Niro e Jeremy Irons ed è intitolato "Mission". Non starò a raccontarlo»

«La sostanza del film è il drammatico scontro tra due missionari gesuiti e le potenze coloniali Spagna e Portogallo nell'America del Sud settecentesca. I due missionari guidano una tribù di nativi in una terra vergine sulle sponde di un fiume e di un'immensa cascata. I nativi indios sono di giovane e giovanissima età e i missionari li hanno convertiti a Dio e civilizzati. Ma questo loro ingresso nella vita civile non piace affatto ai mercanti di schiavi che commerciano in quelle terre traendo dallo schiavismo notevoli ricchezze e non piace neppure alle potenze coloniali europee che sono presenti in Brasile, in Uruguay e in Argentina dei quali il fiume è una via d'acqua comune.

Alla fine un arcivescovo gesuita arriva alla Missione che ormai è diventata un villaggio perfettamente organizzato. L'arcivescovo si compiace con i suoi confratelli per aver civilizzato quegli indios, ma gli impone di distruggere il villaggio e rimandare gli indios nella foresta dalla quale provengono. I due missionari non capiscono quello strano modo di ragionare ma l'arcivescovo gli spiega che se la Missione non sarà rinnegata, il villaggio distrutto e gli indios di nuovo inselvatichiti nella foresta, i soldati delle potenze coloniali stermineranno tutti, missionari compresi. Per di più l'arcivescovo ha timore che i governi di Madrid e di Lisbona facciano pressioni sul Papa affinché sciolga l'Ordine dei gesuiti che sta prendendo nelle colonie dell'America del Sud molte iniziative analoghe a quella Mission. Tutto questo deve essere dunque impedito, evitato, represso.

Questa è la storia che il film racconta terminando con i soldati spagnoli che distruggono il villaggio e uccidono i suoi abitanti compresi i due missionari che hanno rifiutato di obbedire al loro arcivescovo.»

Scherzi a parte, mi auguro anch'io di continuare a scrivere post, anche uno a settimana, sino a novantun anni, magari non sul Papa o sui conflitti interni al potere temporale della Chiesa.

Interessante e onesta questa riflessione scalfariana:
«di questo parlerò oggi per chiarirlo anzitutto a me stesso (mettere per scritto i propri pensieri significa soprattutto precisare ed esplicitare ciò che era ancora informe e perfino inconsapevole) e poi a quanti mi faranno l'onore di leggermi.»

Nondimeno, una volta fatto l'onore, preciso che la riflessione intorno a colui che, a suo parere, «è il più importante personaggio del secolo che stiamo vivendo» non mi trova per nulla concorde, perché papa Francesco non sta rivoluzionando né tantomeno riformando niente di particolare, ma solo cercando soluzioni per far mantenere alla Chiesa il suo potere temporale e non farle perdere altro terreno nei confronti della concorrenza, secolarizzazione compresa.

domenica 28 settembre 2014

La sera, invece di andare in via Veneto, faceva meglio ad andarsene a fanculo.

Oltre ai rilievi mossi da una sua affezionata lettrice (la quale mi darà una sberla, lo so, ma si fa per scherzare), l'Ircocervo, in chiusa del sermone, scrive:
«Caro de Bortoli, sai quanto ti stimo e ti sono amico e quanto ho apprezzato il tuo articolo di mercoledì scorso. Ma permettimi di ricordarti che su questi temi il Corriere della Sera ha sempre rappresentato l'opinione e gli interessi della borghesia lombarda. Ha reso molti servizi agli interessi del Paese quella borghesia, sempre che il primo di quegli interessi fosse il proprio. Oggi non è più così. Bisogna ricreare una sinistra che riconosca le tutele anche ai ceti benestanti ma metta in testa quelle dovute ai lavoratori».
Ora che l'Ircocervo dia del cornuto al pony express della sera mi sembra parecchio, ma parecchio clamoroso, giacché la Repubblica quale opinione e quali interessi rappresenta, oltre a quelli del proprietario? Gli interessi del sottoproletariato capitolino?

Inoltre, come se non bastasse, il Fondatore suggerisce all'amico stimato (ma infondato) che loro, in qualità di opinion maker di punta, dovrebbero assumersi il compito di «ricreare una sinistra che riconosca le tutele anche ai ceti benestanti ma metta in testa quelle dovute ai lavoratori».

Avete capito? Io penso che, se fosse vivo, per salvaguardare il decoro della categoria, Indro Montanelli sparerebbe una pallottola in un lupino all'Ircocervo, così, per rispetto nei confronti dell'avversario, cioè del proletariato, che sfruttare sì, d'accordo, ma anche prendere per il culo, no, non si fa, è mancanza di rispetto nei confronti dell'avversario, e questo tra gentiluomini non suole.  

O forse che Scalfari ha l'ambizione di diventare il Fidel Castro di via Veneto?

giovedì 24 aprile 2014

Noi speravamo di più ma non è accaduto

Per concludere un agile articoluzzo infrasettimanale, che più che altro è una replica al suo interlocutore, il Supremo Fondatore scrive:
Caro Padoan, facciamo i debiti scongiuri e intanto diciamo insieme evviva la Roma che però sarà seconda. Noi speravamo di più ma non è accaduto.
Leggendo tale chiusa mi si è prefigurato davanti il risolino a denti stretti di Scalfari che mima, allo stesso tempo, un dar di gomito al ministro dell'economia, con quella naturale complicità che viene tra alto borghesi di stampo progressista, che invece di parlar di fica minorenne ai Parioli e come consumarla, parlano di conti pubblici.

È un brutto mondo, questo, somigliante sempre più a una discarica, soprattutto là dove sembra esserci il pulito e una corretta volizione al che le cose vadano per il verso giusto. 
Riguardo a loro, a certi ambienti, a una certa classe sociale le cose vanno ancora per il verso giusto - e infatti li vedi - o li intuisci - bellini pettinati alla televisione a parlare o mentre scrivono nelle loro redazioni, mentre partecipano accorati a risolvere la gravità della situazione offrendo alla pubblica opinione e a chi la “governa” il lor parere illuminato.

Illuminato, sì, quanto quello della dinamo di una Graziella pedalata da un ircocervo di novant'anni.

sabato 5 aprile 2014

Buon compleanno fondatore

Ieri, su la Repubblica, in occasione dei novant'anni del fondatore, il noto psicoanalista Massimo Recalcati ha presentato il volume Racconto autobiografico di Eugenio Scalfari.

Sia lode al Fondatore.
Sempre sia lodato
Amen.

Fatta la preghierina, uno poteva uscire dalla funzione, anche senza tanti ripensamenti su quanto letto, se lo psicoanalista non avesse scritto:
«Accogliere il padre malato nella propria casa [Scalfari trascorse il 1972 “insieme al padre afflitto da un tumore alla prostata”] mostra tutto il senso positivo del debito simbolico. Diversamente dalla “razza padrona” che ha gestito le sorti spesso spregiudicate e criminogene del capitalismo italiano nel segno di una avidità pulsionale sconfinata, il gesto umanissimo di accompagnare alla morte il padre malato ci rivela l'essenza dell'ereditare[*]: portare dentro di sé l'altro da cui proveniamo, custodirlo in noi, non per riprodurlo passivamente, ma per oltrepassarlo.»

Diversamente dalla “razza padrona”? Cioè, con quel diversamente, Recalcati intende Scalfari appartenente alla razza padrona, pur distinguendolo dagli altri grazie al suo nobile gesto di amor filiale con il quale accolse in casa il padre morente? Per me sì, e tuttavia, se Scalfari non fosse compreso nel gotha padronale, a chi si riferisce Recalcati? Perché non ha precisato con un esempio chi sono quei padroni rapaci afflitti da «avidità pulsionale sconfinata», i quali, per giunta – secondo quel che Recalcati sottintende – non hanno accolto in casa il padre morente?

Berlusconi.

Beh, poteva dirlo allora, non è mica una scoreggia. Tutti gli indizi, infatti, portano a lui, comprese le caratteristiche di (s)pregiudicato e criminogeno.

Ciò nonostante, Berlusconi al padre ha voluto tanto bene, l'ha portato ad esempio in numerose circostanze e sempre si è vantato delle sue doti di procuratore bancario, tanto che gli ha dedicato persino un trofeo calcistico che, in pochi anni, è diventato un atteso evento di precampionato.

Mentre Scalfari cosa ha dedicato al padre? Un editoriale della domenica?

Da segnalare, infine, questo passaggio conclusivo:
Per Scalfari il «riformismo è una forza ricompositiva che non cede al compromesso, ma che avvicina elementi apparentemente opposti, sordi, finanche ostili. È quello che assume le forme di una vera e propria strategia politica nello sforzo di avvicinare il liberalismo repubblicano di La Malfa con il Partito Comunista di Berlinguer negli anni più bui della nostra vita collettiva che culminarono con l'assassinio di Moro. Se il terrorismo si configurò come una rottura atroce e traumatica del legame sociale, come una separazione violenta della cultura democratica, egli vide nell'avvicinamento tra le forze laiche liberali e quelle comuniste, la possibilità di liberare le energie più sane del capitalismo italiano dall'avventurismo e i comunisti italiani dall'egemonia sovietica. Riformismo per Scalfari ha sempre voluto dire possibilità di ricomporre produttivamente le differenze, di evitare che la separazione risulti solo sterile e traumatica».

Praticamente, per Massimo Recalcati, Matteo Renzi è stato per Scalfari il regalo più bello per il suo compleanno, la sintesi hegeliana imperfetta tra La Malfa e Berlinguer, non essendo Renzi né liberale né comunista, solo una scheggia nucleare del democristianismo piduista che, dopo più di trent'anni, fa sentire ancora la sua pericolosità radioattiva.

In ultimo, ma non ultimo: che miseria l'analisi psicoanalitica che riduce il capitalismo a mero fenomeno comportamentale, tra bravi buoni e belli capitalisti e stronzi brutti e cattivi capitalisti, magari anche con l'alito cattivo. Il capitalismo con le pulsioni c'entra come l'acciaio con i miei coglioni - un modo come un altro per dire che sono tanto teneri.

[*]Quando si supera una certa soglia, io, all'«essenza dell'ereditare», metterei volentieri una cospicua tassa di successione.


domenica 15 dicembre 2013

Voglio solo pensare il peggio di te

Me l'ha fatto notare Stenelo che Scalfari, oggi, in finale di predica, ha scritto questa roba:


Come minimo, mi aspetto che domani Barbara Spinelli chieda e ottenga di farsi pubblicare un articolo per mandarlo a fare in culo, con rispetto parlando. E cerchi, dipoi, uno spazio altrove per
i suoi editoriali.

Scalfari cancella dalla sua memoria... tipica riminiscenza dei tempi in cui egli, baldo giovinotto, indossava la divisa fascista.
Invece di accogliere con favore che il giornale da lui fondato dia spazio anche a qualche sparuta voce discorde, no, adesso non è il caso, adesso, caduto Berlusconi, serve un pensiero unico e monocorde che salvi quel che resta del sistema. Che miseria e della filosofia (ah, ah) e soprattutto del giornalismo.

mercoledì 11 settembre 2013

Fate la nanna coscienze di pollo


E insomma Francesco ha risposto alle domande di Eugenio promettendogli, persino, quasi il paradiso.
Eugenio si appunta al petto la medaglietta pontificia e, sotto sotto, la sua coscienza si pavoneggerà soprattutto nei confronti di quella parte d'Italia
«che non si riconosce nei valori [della] prima pagina di Repubblica»* [vedi P.S.]
Nonostante la soddisfazione personale (del rilievo pubblico che hanno preso le sue riflessioni intorno alla fede e la coscienza) Scalfari, alla risposta del Papa, credo avrebbe preferito, in coscienza, la resa politica di Berlusconi, il suo dichiararsi da parte.
E a proposito di questo passaggio di Papa Francesco:
«Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.»
La coscienza così intesa, non gioca anche a favore dei delinquenti? Cioè a dire: colui che delinque non ha anch'egli una coscienza che lo fa agire, che lo fa ripiegare verso ciò che lui percepisce «come bene o come male»? Il pregiudicato Berlusconi non ha più volte ripetuto, anche quando ha ricoperto altissime funzioni governative, che - a certe condizioni - evadere era (è) moralmente lecito?

P.S.
*Non ho la pazienza, né la convenienza, ma fare uno studio sul lemmario usato da Ferrara potrebbe portare più benefici per dimagrire della dieta Dunkan, tanto fa chiudere lo stomaco. Nondimeno, quando estrae forme desuete e simil auliche per darsi un tono, tipo: «È l'ora dei maramaldi», beh, garantito: allo stomaco che si chiude corrisponde il retto che si apre e correre al cesso diventa una priorità.

lunedì 22 ottobre 2012

Era meglio fare un Parallelo

Stasera, mentre stavo mangiando pasta e lenticchie e, dipoi, funghi porcini trifolati che mi hanno regalato, la mente è andata, chissà perché, a ripensare all'intervista che, ieri sera, Fabio Fazio ha fatto a Eugenio Scalfari, per la presentazione del Meridiano a lui dedicato.
Dell'intervista in sé non vorrei dire nulla, non è stata interessante, solite fisime comunicate dall'intervistato e solita piaggeria dell'intervistatore. Oh, certo, Scalfari non ha taciuto la sua gioventù fascista e il suo piacere “giovanile” d'indossare una divisa; ma lasciamo perdere, e diamo per buono, obtorto collo, il beneficio del contesto storico nel quale nacque e visse il giovane Eugenio.

Il punto. Fiumi di critica editoriale sono stati scritti (ma io non li ho bevuti) sulla scelta dei curatori dei Meridiani di pubblicare il compendio delle opere letterarie di autori in vita. A me è sempre parsa una strunzata, dato che, anche se vegliardo, l'autore potrebbe sempre pubblicare qualcosa di nuovo e interessante, quindi meritevole di essere antologizzato. I Meridiani sono i mattoni della lapide della cultura italiana e internazionale. Essi dovrebbero essere intesi come sepolcri: si vanno a trovare i morti che ancora ci sembrano in vita, e non i vivi che ci sembrano morti.
A scanso di equivoci, anch'io che ho qualche Meridiano (ma non troppi) ne comprai uno, quando uscì, il cui autore era ancora in vita, Andrea Zanzotto. Oramai è andata, ho perso solo qualche ulteriore plaquette, tipo la magnifica Ligonas, ma il resto è intatto.

Per tornare a Scalfari: io non posso giudicare il valore letterario o saggistico delle sue opere, dato che non ho letto alcun suo libro. Ho letto - con passione e attenzione - molti articoli di Scalfari (il Meridiano contiene una scelta di questi) sino al maggio 2001, mese in cui rivinse le elezioni Berlusconi. Decisi di smettere di leggerlo per varie ragioni: un po' perché qualsiasi cosa scrivesse contro Berlusconi, Berlusconi ne usciva vincitore. E un po' perché m'ero rotto il cazzo di leggerlo dopo circa quindici anni: come lui fu fascista e poi non più, io sono stato scalfariano (peccato forse meno peggiore) e poi non più. Per dire: ho smesso di seguire da qualche anno persino Ceronetti, figuriamoci Scalfari (eh già: hanno fatto un Meridiano a Scalfari e non a Ceronetti).
Quello che, però, posso giudicare è: né Fazio, né tantomeno Scalfari, hanno detto una parola sul fatto che i Meridiani, appunto, sono il fiore all'occhiello della casa editrice di Segrate, la cui presidente si chiama Marina Berlusconi. D'accordo, già altri libri Scalfari ha pubblicato per Einaudi (che appartiene al gruppo), anche se... e patitì e patatà.
Ma il problema di fondo è un altro: lo sa o no Scalfari che Berlusconi conserva la sua collezione  completa dei Meridiani dentro il mausoleo di Arcore? Dice che vuole leggerli nell'oltretomba, ché adesso è impegnato a leggere le memorie difensive che gli scrive Ghedini. 

Comunque sia, mi stupisce che Renata Colorni, direttrice della collana, abbia avallato questa scelta. Prima di Scalfari (ma anche di Magris) ci sono eccome altri autori che meritano tale avallo di classicità. Lasciando da parte ancora Ceronetti (lunga vita), non esiterei più ancora a dedicare un Meridiano a Franco Fortini, poeta e saggista (nonché scarno narratore) di primissimo ordine. E con qualcosa da dire, da vero sepolcro non imbiancato.

lunedì 11 luglio 2011

Gioca con gli elefanti e lascia stare gli ircocervi

A Christian Rocca (non lo linko, ma linko il Pazzo che lo linka) sembra di avere gioco facile nel riportare alla luce certe dichiarazioni di Scalfari risalenti all'epoca dei fatti della battaglia di Segrate. È vero, Scalfari scriveva tali parole, ma Rocca fa finta di non ricordare che, all'epoca, nessuno sospettava che Berlusconi, tramite Previti, potesse corrompere un giudice per ottenere una sentenza favorevole, al fine di ottenere la maggioranza azionaria della Mondadori. Se B. avesse vinto correttamente la partita, Scalfari poteva anche essere contrariato (e noi con lui, giacché già allora il cavaliere e i suoi supporters ci stavano sulle palle), ma avrebbe dovuto ingoiare il rospo. Nessuno nega l'abilità imprenditoriale di B., ma nemmeno si può negare l'evidenza che egli ha prosperato nelle acque torbide dell'illegalità, della decretazione d'urgenza di stampo craxiano, e di una mancanza di lucidità politica dei legislatori italiani dell'epoca che non capirono affatto la pericolosità che era insita nel non regolamentare in modo autenticamente liberale il sistema radiotelevisivo e mediatico in genere. Anzi: lo capivano benissimo, tanto che Berlusconi - per Craxi, per Andreotti, per il Vaticano - era l'imprenditore giusto al momento giusto per arrivare a un controllo mediatico capillare dell'informazione italiana.
E nonostante, un po' pavidamente da certi estratti, Scalfari cercasse di blandire con un superlativo assoluto il Cavaliere, il 13 gennaio 1990, il fondatore di la Repubblica scrisse un articolo che, appena lo lessi, subito mi fece capire da quale parte stare. Mi è bastato poco per ritrovarlo. Mi è stato sufficiente ricordare una parola: ircocervo. Riporto l'articolo per intero, e vi prego di leggerlo perché ne vale veramente la pena. Le frasi in grassetto che metterò sono tutte per Christian Rocca. 

«DOMANI saranno quattordici anni da quando, il 14 gennaio del 1976, Repubblica comparve per la prima volta nelle edicole. Quattordici anni non sono molti nella vita di un giornale. Alcuni nostri importanti confratelli che hanno più d'un secolo di storia alle spalle il Corriere della Sera, la Stampa, il Messaggero al compimento del loro quattordicesimo anno erano ancora ai primi vagiti, con poco seguito e modesta autorevolezza, fogli diffusi in ambiti limitati, di scarsa rappresentatività sociale, culturale, politica. Così non è stato per noi, e certamente non per merito nostro, o non soltanto per merito nostro. Le condizioni del paese in mezzo alle quali è nata quest'impresa, i fatti che si sono via via succeduti in questo arco di tempo, la richiesta che ci veniva dalla gente e alla quale come potevamo abbiamo cercato di corrispondere, hanno fatto sì che questo giornale divenisse, in un breve volgere di anni, il più diffuso e il più rappresentativo dell'opinione pubblica nazionale, senza distinzioni di territorio né di classi sociali né di sesso né di età. Questo piccolo grande miracolo ha molte cause. La prima e più importante di tutte è stata l'indipendenza di cui il giornale ha finora goduto. I lettori potevano, di volta in volta, consentire o dissentire dai nostri giudizi, ma hanno sempre avuto la certezza che essi erano riconducibili a noi soltanto, giusti o sbagliati che fossero, poiché non c'era dentro di noi o sopra di noi alcun gruppo di potere che potesse indicarci la via da seguire. È stato un privilegio inestimabile, questo dell'indipendenza, dovuto al fatto che il direttore di questo giornale era, allo stesso tempo, imprenditore di se stesso e comproprietario della testata. Questa è stata l'anomalia felice di Repubblica, senza la quale probabilmente non sarebbe nata e sicuramente non avrebbe ottenuto il successo che ha raggiunto. Qualcuno, cui la speciale indipendenza di Repubblica non piace perché mette in discussione interessi consolidati, rivela prepotenze e svela corruzioni, ha ritenuto che l'anomalia sopra ricordata non fosse felice ma nefasta. Ed ha coniato una definizione mitologica per il suo direttore, che sarebbe un ircocervo: animale per metà uomo e per metà ariete, o caprone che dir si voglia. Un soggetto, cioè, che non può e non deve esistere in natura, una figura dimezzata o trimezzata, nella quale confluiscono appunto i requisiti del giornalista, dell' imprenditore, dell'uomo politico. Mi rendo ben conto che la cosa possa non piacere. Ma che sia la prima volta che accade è un falso storico perfino in Italia (in altri paesi più avanti di noi si tratta infatti d'una situazione del tutto normale). Il direttore trimezzato di Repubblica si trova infatti in ottima compagnia perché altrettanto trimezzati o ircocervi per restare nel mitologico, furono Alfredo Frassati alla Stampa, Alberto Bergamini al Giornale d'Italia e, soprattutto, Luigi Albertini al Corriere della Sera: giornalisti, imprenditori dell' opera loro e uomini politici. Nessuno dei tre fu mai molto amato né dalla corporazione dei giornalisti né da quella degli imprenditori e meno che mai da quella dei politici; ma crearono una scuola, dettero voce alla gente, controllarono per conto della gente il Potere e le istituzioni; e insomma contribuirono, per quanto stava in loro, alla crescita del paese e al rafforzamento della democrazia. Furono tolti di mezzo quando la democrazia cedette al regime: tolti di mezzo brutalmente, insieme alla libertà di stampa e a tante altre libertà. Per fortuna non c'è un regime in Italia, anche se parecchi si adoperano variamente per costruirne uno che sia, naturalmente, al passo coi tempi. Ma c'è una serrata guerra di bande, che intreccia gli affari con la politica, gli appetiti degli uni con l'avidità degli altri, e l'arroganza brutale di entrambi di operare senza regole o sopra le regole, usando come metodo la sopraffazione condita con l'intimidazione e con le lusinghe. Sicché non c'è da stupirsi se, in questo contesto, la Repubblica sia diventata una posizione da espugnare e il suo trimezzato direttore un personaggio da toglier di mezzo, in modi diversi ma con risultati analoghi a quelli che furono sperimentati con Bergamini, Frassati e Albertini. La storia non produce duplicati, ma analogie sì. E questa è certamente un' analogia degna di attenzione. Una caratteristica della vita italiana di questi anni è la presenza a vari livelli di personaggi potenti e incensurati che si trovano al centro di vaste reti di potere, le hanno tenacemente costruite con sapienti alleanze, le alimentano con reciproci favori. Queste reti di potere travalicano talvolta nel malaffare, ma chi sta al centro di esse riesce di solito a non lasciar tracce del suo passaggio e della sua presenza. Passa attraverso il fuoco come la salamandra, senza bruciarsi e senza conservarne segno alcuno. Ci sono indizi, vociferazioni, congetture; ma prove certe mai. Quando ci sono, vengon fatte sparire in tempo. La gente sospetta, poi si scorda e pensa ad altro. È umano, non è vero? Spesso i personaggi in questione sono addirittura simpatici alla gente. Spesso sono molto popolari. Talvolta sono filantropi, d'una filantropia mirata e ben calcolata. Finanziano ospizi. O premi letterari. O squadre di calcio. Un tempo i signori lanciavano zecchini d'oro alla plebaglia che se li disputava sotto i loro occhi divertiti. Oggi i costumi sono diversi, il risultato è il medesimo. Ripassando nella memoria alcuni episodi del passato prossimo e del passato remoto e anche alcuni fatti degli ultimi giorni, m'era venuta in mente la celebre ballata con cui si apre l'Opera da tre soldi, quella cantata da Jenny delle Spelonche alla fiera del quartiere di Soho. Ho voluto riascoltarla. Descrive Mackie Messer, il gangster, il furbissimo e simpatico a modo suo personaggio centrale dell' Opera. Ricordate i versi di Brecht e la musica di Kurt Weill? Tanti denti ha il pescecane e a ciascun li fa veder, Mackie Messer ha il coltello ma chi mai lo può saper? Sbrana un uomo il pescecane ed il sangue si vedrà. Mackie ha un guanto sulla mano nessun segno resterà. La veridica storia di Mackie Messer ricorda molte storie e molti personaggi dei giorni nostri. Sul Tamigi verde e fondo molti a un tratto cascan giù. Non è peste né colera, Mackie Messer va su e giù. E Schmul Maier un dì sparisce e tanti altri ricchi al par. Mackie ha in tasca i lor danari nessun può testimoniar.... Naturalmente i personaggi dei tempi nostri non sono così truculenti come il gangster di Bertold Brecht. Sono molto più felpati, più soffici, più ironici. I loro supporters non sono i pezzenti di Soho ma la crema, il fior fiore dell' establishment. La grande finanza è a loro disposizione. Il Parlamento anche, quando serve. Il governo quasi sempre. Stuoli di avvocati ne guidano le mosse. I servizi segreti alla bisogna gli danno una mano. Le Logge, più o meno massoniche, li accolgono fraternamente. Jenny Tawler l'han trovata un coltel ficcato in cuor. Mackie Messer va a passeggio e per caso è giunto lì. Via, non siamo certo a questo. Questa è soltanto la raffigurazione artistica di quell'esaltato di Bertold Brecht, che del resto, ormai, è decisamente fuori moda. Ma la canzone è bella e, per lo meno nella mia edizione, assai ben cantata. Ci sono tanti Mackie Messer nella storia italiana di questi anni. Alcuni di loro giocano grosso. Nessuno di loro possiamo starne certi finirà impiccato come il protagonista dell'Opera. È più ragionevole pensare che sarà piuttosto gente come noi a farne le spese. Questo non è più direbbe il principe di Salina il tempo dei gattopardi, ma delle iene e degli sciacalli. Non è più nemmeno, temo io, il tempo degli ircocervi. I quali tuttavia, come tutti gli animali mitologici, hanno una stranissima proprietà: ogni volta che gli tagliano la testa, quella testa rinasce di nuovo. Chissà come andrà questa volta.»

Grazie all'Archivio di Repubblica è stato facile ritrovare tale articolo. Mi è bastato, ripeto, ricordare la parola ircocervo. Ironia della sorte: persino un'anonima rivista diretta Fabrizio Cicchitto ha questo nome.  Qualcuno lo informi che per essere un animale bi o tri cefalo occorrono, più che altro, tre teste e che due (o tre) lingue non sono sufficienti.