Signori che vi prodigate a chiedere sia salvata Radio Radicale coi soldi dello Stato (e non, come sarebbe più opportuno, e ben più nobile, mettendosi una mano in tasca per offrire un sostanzioso obolo da sostenitore, come suggerisce, saviamente, Luigi Castaldi), perché - qualora il finanziamento pubblico, dopo tanto piangere, fosse nuovamente erogato a una radio privata per svolgere un servizio pubblico - perché non chiedete l'immediata chiusura di Rai Gr Parlamento, canale di un ente pubblico che svolge la medesima funzione di trasmissione radiofonica dei dibatti parlamentari? Meditate: con tale chiusura si libererebbero frequenze per scongiurare la chiusura di Rai Movie. Il cinema alla radio potrebbe essere un buon trampolino di lancio per la rinascita del neorealismo italiano.
Visualizzazione post con etichetta facezie radiofoniche. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta facezie radiofoniche. Mostra tutti i post
mercoledì 1 maggio 2019
martedì 17 dicembre 2013
Satyagraha alternativi
Verso le 13, ritornando a casa, in auto, mi sono casualmente sintonizzato all'inizio della conferenza stampa dei Radicali sulla loro prossima marcia di Natale per l'amnistia, che - a quanto ho capito - partirà da piazza San Pietro per dirigersi verso Palazzo Chigi.
Erano presenti il direttore di Radio Radicale (non mi ricordo il nome, non ha importanza, tanto è un qualcuno che di sicuro è iscritto all'albo dei giornalisti), Rita Bernardini e Marco Pannella.
Il leader radicale - il quale (se ho capito bene, per protestare contro i media televisivi e della carta stampata che non hanno sinora dato la dovuta attenzione alla prevista marcia) ha iniziato, dalla scorsa mezzanotte, lo sciopero della fame e della sete - ha detto qualcosa, ricordando persino un suo intervento parlamentare quando presidente della camera era Nilde Iotti, circa l'obbligo di concedere l'amnistia per fermare la flagranza di reato che lo Stato commette nei confronti dei carcerati. Rita Bernardini, che ha parlato dopo un quarto d'ora, ha detto qualcosa del perché partono da San Pietro, citando la sensibilità di Papa Francesco per il tema della carcerazione («dentro ogni cella c'è la presenza Cristo», sì, per essere bestemmiato).
Poi ho spento la radio per lasciar fluire questo pensiero.
Pannella, se non muore, si presenterà alla marcia di Natale in favore dell'amnistia in stato commiserevole (sempre se non sarà ricoverato in ospedale); in breve, si ripeterà di nuovo la scena madre mediatica con lui che rifiuterà di essere alimentato, e con qualcuno di famoso intorno a dire “No, ti prego, Marco fallo per me, per la democrazia, per tua sorella”. Quindi, qualche politico si moverà a compassione e, probabilmente, anche il presidente della Repubblica. Le solite due palle.
Suggerimento a gratis senza contributo statale: perché invece di ripetere 'sti scioperi insulsi, Pannella non trova un espediente più trendy? Per es, visto che partiranno da piazza San Pietro, probabilmente durante la benedizione natalizia del Papa, perché lui e i suoi discepoli non si predispongono a marciare tutti ignudi o di sol mutande vestiti per non incorrere in atti osceni (loro che hanno tanto a cuore la parola legalità), magari anche sperando che cada sui lor corpi qualche goccia di acqua benedetta?
- Purché non sia piscio, ché potrebbe venir la tentazione di berlo.
giovedì 12 dicembre 2013
La senti questa voce
«Sono estremamente sensibile al fascino della voce femminile», pensavo questo, stamani, ascoltando Prima Pagina, la celebre rassegna stampa di Radio Tre, condotta, questa settimana, da Concita De Gregorio. Ecco, io quando Concita - con voce leggermente bassa, rotonda, avvolgente, calda - legge i titoli o gli editoriali, fossero pure quelli di Polito o di Ferrara, sento forte il desiderio di accostare il padiglione auricolare sul suo sterno per catturare la formazione delle sillabe e percepirne il calore.
Stamani, in una frazione di secondo, ho pensato anche di telefonare o di scrivere un sms alla redazione, ma poi mi sono ravveduto, non volevo sembrare inopportuno e poi, lo so, se mi avessero dato spazio per parlarle in diretta, mi sarei lasciato prendere la mano dalla politica, prendendo spunto dall'editoriale di Alfredo Reichlin, lette giustappunto dalla editorialista di Repubblica:
«Cerchiamo di capire. E cominciamo da noi, dalla sinistra. Prendiamo atto che da un pezzo anche la sinistra, così com’è, aveva perduto (a parte i voti) quella cosa essenziale che è l’idea di sé e del proprio ruolo storico, quel pensiero politico che consiste nel pensare al di là del proprio naso, e nel sentirsi parte e attore del cambiamento del mondo? La “botta” che abbiamo preso è forte ma non serve a nulla piangersi addosso. Tutte le strade restano aperte davanti a chi sappia vederle e voglia imboccarle.»
Le strade aperte a cui si riferisce Reichlin sono Renzi - e l'idea che con lui la sinistra sia definitivamente morta - era già morta, non si preoccupi, comunque. Comunque, scrive Reichlin, il successo popolare delle primarie è stato un segnale. Che va colto (mi piace scrivere alla Ilvo Diamanti). Il segnale che
«non si è ristretto lo spazio che mi consente di pensare al futuro di una nuova sinistra. Però, attenzione, a certe condizioni. E la principale è che la sinistra faccia una svolta e metta in campo un nuovo pensiero molto diverso da quello del Novecento. Il punto è questo. Non si scoraggino i miei compagni. La forza della sinistra consiste nel fatto che essa non è una istituzione o l’invenzione di qualcuno. È quel fattore inseparabile dal processo storico che consiste nel sostenere la lotta degli uomini volta a liberarsi via via da paure, miti, false credenze, legami servili, sottomissioni ideologiche. La sinistra in cui io credo è il bisogno delle persone di impadronirsi delle proprie vite e dei propri pensieri, a prescindere dai soldi. È quel nuovo umanesimo laico che emerge come risposta alle logiche disumane del mercato e al fallimento del neo-liberismo. Direte che la sinistra attuale non è così? Rispondo che però così potrebbe e dovrebbe essere.»
Ok, fattore, processo storico, lotta, umanesimo laico... tutto converge su il nuovo segretario, no? Sì:
Rivolgo, quindi a Matteo Renzi, il mio saluto e l’augurio di buon lavoro. Punto non sulla sua sconfitta ma sul successo suo e del Pd. La domanda che gli rivolgo è questa, ed è molto semplice. Può esistere nell’Italia di oggi un partito come il Pd senza che la sinistra sia una sua componente essenziale?
Eccome se può esistere, dato che il Pd è sempre esistito come partito la cui componente di sinistra era inesistente. Ma leggiamo cosa farebbe Reichlin se fosse lui Renzi:
«Se io fossi Renzi e avessi l’ambizione di un cambiamento veramente profondo non mi limiterei a colpire il potere di “vecchi apparati” (che non esistono) ma difenderei il ruolo del partito, e lo farei come altri prima di lui non hanno saputo fare. Questo è stato forse l’errore più grave: quello di non aver capito e fatto capire la necessità del partito moderno di rappresentare lo strumento attraverso il quale la democrazia cessa di essere un fatto astratto e si incarna in strumenti organizzati, attraverso i quali anche chi non ha potere si può difendere, può prendere la parola, può pensare autonomamente e non in base alle chiacchiere televisive, può acquistare coscienza di sé, e può eleggere i suoi rappresentanti in Parlamento (perfino un operaio, cosa che da anni non accade). Il partito è questo. È lo strumento attraverso il quale anche gli “ultimi” possono partecipare alla vita statale.»
Ovvietà: pur dichiarandosi movimento e non un partito, il M5S ha portato diversi ultimi in Parlamento. Non so se fra di essi vi sia anche qualche operaio, qualche contadino... ma cosa importa? Si sono visti dei progressi? Saranno sempre meno degli avvocati, e questo è quanto.
Si rende conto o no Reichlin che è proprio l'acquisizione della coscienza dentro un partito uno dei maggiori ostacoli all'acquisizione della coscienza? Già, che tipo di coscienza? Perché aver paura di pronunciarne la specificazione sua più propria, politica e, ancor più, rivoluzionaria?
Coscienza di classe, coscienza di classe, coscienza di classe...
Reichlin sta per scriverlo? No, si rifugia nel ricordo dei begli anni che furono.
«A me sembra che non si è ben capito che la novità del problema e la sua grandezza stanno nel fatto che si tratta di ben altro che di superare una fase, sia pure lunga e grave, di crisi economica. Noi siamo al centro di un grandioso passaggio storico, di un cambiamento che mette in causa e rompe tutti i vecchi equilibri della società italiana, che cambia il nostro posto in Europa e nel mondo. Di questo si tratta. Si tratta del fatto che bisogna ridisegnare la figura stessa del Paese, la sua compagine sociale e statale, e quindi l’idea di sé come nazione. Questo è il grande compito del Pd. Il nuovo segretario ha questa ambizione? Gli ricordo che esattamente questo avvenne nel dopoguerra con l’intreccio di decisioni davvero capitali: l’elaborazione della costituzione repubblicana, la collocazione geo-politiche in Occidente, la fine dell’Italia contadina e al tempo stesso l’avvento dell’Italia industriale grazie anche a una sorta di capitalismo di Stato. L’Iri, la Cassa del Mezzogiorno, gli enti speciali.»
Reichlin ricorda alcuni episodi cruciali del Dopoguerra (l'Iri mi pare che fu creato sotto il fascio, ma non importa), ma non accenna: a) al culo avuto di essere stati sotto l'ombrello Nato e non sovietico; b) al fallimento conseguente del comunismo italiano che doveva sin da subito troncare ogni rapporto con Mosca e tentare di dare prima un ricambio al Paese; c) che ai posti di comando della politica industriale italiana del dopoguerra c'erano i democristiani.
Ah, ecco, Renzi.
Ma vabbè. Il punto è che con questi chiari di luna non potrà esserci alcun partito di sinistra se non si nutre dell'idea che è in corso, da decenni, una feroce lotta di classe al contrario, combattuta e, di fatto, vinta dalla classe dominante composta dai detentori del capitale. Un partito che riesca a far aprire gli occhi prima che ci si ritrovi, noi ultimi, a vario titolo, più o meno garantiti, più o meno assistiti, a prenderci a brani tra di noi, qui, dentro la gabbia.
Ero partito dalla voce di Concita De Gregorio e a lei ritorno. Quasi quasi mi scarico le trasmissioni in podcast e me le riascolto in cuffia. Magari mi tocco un po'. Sono troppo gaudente per dare il via alla rivoluzione.
mercoledì 24 luglio 2013
La voce che chiama me
Non sono mai riuscito a scrivere qualcosa per informare qualcuno di essere assolutamente certo di alcunché. Presuppongo e basta. Intuisco e non dimostro. Presagisco e non agisco.
A me il blog serve essenzialmente per sgombrare la mente da pensieri che non fanno in tempo ad arrivarmi addosso che subito vogliono essere traslocati, impacchettati alla bell'e meglio e spediti, poco adorni e mal confezionati, come se a conservarli avessero fastidi, non sia mai, e volessero trovare un'allocazione diversa per sentirsi probabilmente a miglior agio. In altri termini, se io penso una cosa non la penso a lungo: soffro di pensamenti precoci, li eiaculo velocemente come se avessi fretta di arrivare a quella sorta di orgasmo intellettuale che è vederli pubblicati, ossia mandati in giro a civettare complimenti e/o critiche e/o inscalfibile silenzio. C'è un perché in tutto questo? È una smania, un vizio, una ricerca vana di un sovrappiù di esistenza che altrimenti non sembrerebbe garantito?
No, è una specie di dialogo con me stesso, una “scissione dell'io”, di Paura seconda:
Niente ha di spavento
la voce che chiama me
proprio me
dalla strada sotto casa
in un'ora di notte:
è un breve risveglio di vento,
una pioggia fuggiasca.
Nel dire il mio nome non enumera
i miei torti, non mi rinfaccia il passato.
Con dolcezza (Vittorio,
Vittorio) mi disarma, arma
contro me stesso me.
Vittorio Sereni, Stella variabile, 1981.
Colgo l'occasione di segnalare la puntata di Wikiradio, trasmessa oggi da Radio Tre, ascoltabile anche adesso in podcast, Vittorio Sereni raccontato da Franco Buffoni, nella quale ho ritrovato tal poesia di Sereni (letta in modo straordinario da Buffoni) che non ricordavo così importante e bella. Ah, domani Emilio Gentile, sempre a Wikiradio, dalle 14 alle 14:30 (ma tanto è riascoltabile) racconta la caduta del fascismo.
lunedì 30 gennaio 2012
I am very happy without radio
Ogni tanto la radio festeggia un anniversario per dire che no, non è morta, che anzi è viva vivissima, che ci gira e ci canta e ci parla gente ganza, gente figa, colla barba o colla parrucca, l'importante è che parli, e che parli sempre senza che quello che dice intervenga veramente nella vita che scorre e che passa, una grassa risata dietro il microfono s'intende. E poi consigli per gli acquisti, numerosi acquisti, gingle e spot, reclame e pubblicità, sponsor e messaggi promozionali, l'è tutto un vendere tanto qualcuno che compra c'è sempre, hai voglia che tanto chi ha i soldi ascolta la radio, che alla radio passano i messaggi subliminali, le vere rivoluzioni di costume, i veri sommovimenti di corpo, alla radio si scoprono tendenze, si dettano mode, alle radio ironiche, alle radio di quasi contestazione, alle radio di prime pagine da sfogliare che tanto ho tutto quel tempo per leggere poi gli articoli di fondo, e le telefonate, avete mai voi telefonato in diretta e interloquito ironicamente col conduttore, avete mai voi mandato affanculo qualcuno in diretta radiofonica, io no, sono sempre stato educato, persino quando a prima pagina c'è l'acuto Giorgio dell'Arti, hai capito, quello del foglio dei fogli che giustificava Berlusconi, tanto intelligente quell'uomo rubrica, e piglio il meglio io, mica i ganzi di radio debenedetti. A me piace Radio Capitale con la e finale. O Radio Pazienza, Andrea intendo, la radio a fumetti. O Radio Plutonio in diretta dal Giappone. Non ascoltare la radio è più importante che ascoltarla, giacché la radio dà l'impressione ruffiana di colloquiare in diretta con te e non è vero affatto. Tu di là, ovunque tu sia, in auto oppure mentre stai facendo un lavoretto e vuoi che qualcuno tenga compagnia alla tua mente, hai la falsa impressione che quelli al microfono si rivolgano a te con la loro sequela di cazzate e di informazioni. E invece no. Essi si parlano addosso, diarree di parole virali che infettano la mente e spegni di corsa quell'apparecchio, buttalo in terra e fracassalo pensando a una faccia da radio qualsiasi e impara a mettere musica e parole da te.
Iscriviti a:
Post (Atom)