Come sempre, esercito la piena libertà di non leggere, di Concita, altro che i titoli (che forse non saranno neanche suoi) e, in questo caso, aggiungo, mi arrogo la piena facoltà di equivocare.
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lunedì 12 novembre 2018
venerdì 22 aprile 2016
Forti cariche emotive
Anch'io stamani, andando al lavoro, ho ascoltato una parte di Prima Pagina (Radio Tre); e ho acceso lo stereo nel momento in cui Marcello Veneziani leggeva l'editoriale «a forte carica emotiva » (ipse dixit) di Concita De Gregorio su Repubblica, Le cuffie che spengono le note della vita, scritto in relazione alla sciagurata vicenda della giovane modella morta arrotata da un Frecciarossa.
Beh, confesso che il tono vibrante della voce unito al pathos del testo hanno suscitato in me una forte scarica emotiva, sì che alla prima piazzola disponibile mi sono dovuto fermare. Meno male c'era una scarpata che non era ferroviaria.
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[*] Ho trovato al volo un pdf dell'editoriale nel caso in aveste bisogno anche voi di una scarica emotiva.
venerdì 21 agosto 2015
Una brutta storia più o meno
«BISOGNA respirare lentamente e aspettare che la vertigine, lo stordimento, quella specie di nausea che somiglia alla paura si depositino al centro del corpo.»
E scoreggiare.
«Dov'è la colpa, dove l'errore? Le vittime, prima di tutto. Le vittime non hanno colpa: soccombono. Passive nell'azione.»
Dov'è la colpa? Nel retto pieno.
«È una brutta storia [...] Bruttissima. Questo, più o meno.»
Ci vuole un cesso.
«Sarà un dettaglio, questa ossessione dei corpi. Ne sono tutti vittime, in questa storia»
Sarà un dettaglio, ma a me pare che l'ossessione dei corpi faccia il paio con l'andare di corpo.
«Questo è una storia in cui folli si diventa. Chiusi a studiare, fuori a bere e a ballare. La cosa più importante di tutte, la più difficile, sarebbe capire come, nel vuoto di cosa, perché.»
Se non basta una, tiratelo due volte, lo sciacquone.
domenica 22 dicembre 2013
Bella, non ho mica vent'anni
Stamani, sul trono, mentre leggevo l'editoriale di Concita De Gregorio* (con la mente mia che ne mimava movenze della labbra e voce), avvertendo un leggero sommovimento genitale, ho lasciato scivolare la mano libera laggiù nel luogo ove il sommovimento avveniva, privo di vestimento come da prassi (infatti, è buona norma sedersi sul cesso con le mutande abbassate). E quando ho letto:
«Allora magari anche se è il sabato prima di Natale e devi andare a comprare il bagnoschiuma per tua nuora, con quei pochi soldi che hai...»
mi sono sorpreso a toccarmi nemmeno avessi per le mani Henri Miller. Purtroppo, neanche il tempo di prenderci gusto, immaginando che Concita comprasse anche l'olio per massaggi rilassanti al genero, ho letto
«... ecco magari allora ci pensi che in Italia c’è una legge che si chiama Bossi-Fini (ha proprio i nomi di quelli che l’hanno fatta, Bossi e Fini, se ti concentri te li ricordi tutti e due)»
pluf, è diventato come un cencio. Bossi-Fini mi si sono parati davanti nei loro panni governativi (guidati a quel tempo dall'ineffabile presidente del consiglio dei ministri che tutto teneva), e inevitabile è stata ogni perdita d'eccitazione.
Concita, Concita non è giusto interrompere un'emozione; non è politicamente corretto.
E poi, sai, senza entrare nel merito della tua indignazione (che potrebbe, a tratti, incerti tratti, essere simile alla mia), volevo dirti che se anche la Bossi-Fini venisse abolita (e io spero che sia abolita subito) e gli immigrati non si cucissero più le labbra, la loro disperazione, unita a quella dei cittadini arrabbiati vittime della crisi economica e sociale, non si risolve con buone pratiche riformiste di sinistra ispirate altresì dalla dottrina sociale della Chiesa. È un buonismo che mena il can per l'aia di una guerra tra poveri che è già in atto, guerra che va combattuta non soffocandola col sentimentalismo, ma mostrando chiaramente da che parte sta il nemico. Perché il nemico esiste e, anche se non te ne sei accorta, bella, tu stai lavorando per lui.
*la Repubblica lo pubblicherà forse domani. Se volete anche voi leggerlo (sul water però vi ci vuole il tablet) cliccate qui.
giovedì 12 dicembre 2013
La senti questa voce
«Sono estremamente sensibile al fascino della voce femminile», pensavo questo, stamani, ascoltando Prima Pagina, la celebre rassegna stampa di Radio Tre, condotta, questa settimana, da Concita De Gregorio. Ecco, io quando Concita - con voce leggermente bassa, rotonda, avvolgente, calda - legge i titoli o gli editoriali, fossero pure quelli di Polito o di Ferrara, sento forte il desiderio di accostare il padiglione auricolare sul suo sterno per catturare la formazione delle sillabe e percepirne il calore.
Stamani, in una frazione di secondo, ho pensato anche di telefonare o di scrivere un sms alla redazione, ma poi mi sono ravveduto, non volevo sembrare inopportuno e poi, lo so, se mi avessero dato spazio per parlarle in diretta, mi sarei lasciato prendere la mano dalla politica, prendendo spunto dall'editoriale di Alfredo Reichlin, lette giustappunto dalla editorialista di Repubblica:
«Cerchiamo di capire. E cominciamo da noi, dalla sinistra. Prendiamo atto che da un pezzo anche la sinistra, così com’è, aveva perduto (a parte i voti) quella cosa essenziale che è l’idea di sé e del proprio ruolo storico, quel pensiero politico che consiste nel pensare al di là del proprio naso, e nel sentirsi parte e attore del cambiamento del mondo? La “botta” che abbiamo preso è forte ma non serve a nulla piangersi addosso. Tutte le strade restano aperte davanti a chi sappia vederle e voglia imboccarle.»
Le strade aperte a cui si riferisce Reichlin sono Renzi - e l'idea che con lui la sinistra sia definitivamente morta - era già morta, non si preoccupi, comunque. Comunque, scrive Reichlin, il successo popolare delle primarie è stato un segnale. Che va colto (mi piace scrivere alla Ilvo Diamanti). Il segnale che
«non si è ristretto lo spazio che mi consente di pensare al futuro di una nuova sinistra. Però, attenzione, a certe condizioni. E la principale è che la sinistra faccia una svolta e metta in campo un nuovo pensiero molto diverso da quello del Novecento. Il punto è questo. Non si scoraggino i miei compagni. La forza della sinistra consiste nel fatto che essa non è una istituzione o l’invenzione di qualcuno. È quel fattore inseparabile dal processo storico che consiste nel sostenere la lotta degli uomini volta a liberarsi via via da paure, miti, false credenze, legami servili, sottomissioni ideologiche. La sinistra in cui io credo è il bisogno delle persone di impadronirsi delle proprie vite e dei propri pensieri, a prescindere dai soldi. È quel nuovo umanesimo laico che emerge come risposta alle logiche disumane del mercato e al fallimento del neo-liberismo. Direte che la sinistra attuale non è così? Rispondo che però così potrebbe e dovrebbe essere.»
Ok, fattore, processo storico, lotta, umanesimo laico... tutto converge su il nuovo segretario, no? Sì:
Rivolgo, quindi a Matteo Renzi, il mio saluto e l’augurio di buon lavoro. Punto non sulla sua sconfitta ma sul successo suo e del Pd. La domanda che gli rivolgo è questa, ed è molto semplice. Può esistere nell’Italia di oggi un partito come il Pd senza che la sinistra sia una sua componente essenziale?
Eccome se può esistere, dato che il Pd è sempre esistito come partito la cui componente di sinistra era inesistente. Ma leggiamo cosa farebbe Reichlin se fosse lui Renzi:
«Se io fossi Renzi e avessi l’ambizione di un cambiamento veramente profondo non mi limiterei a colpire il potere di “vecchi apparati” (che non esistono) ma difenderei il ruolo del partito, e lo farei come altri prima di lui non hanno saputo fare. Questo è stato forse l’errore più grave: quello di non aver capito e fatto capire la necessità del partito moderno di rappresentare lo strumento attraverso il quale la democrazia cessa di essere un fatto astratto e si incarna in strumenti organizzati, attraverso i quali anche chi non ha potere si può difendere, può prendere la parola, può pensare autonomamente e non in base alle chiacchiere televisive, può acquistare coscienza di sé, e può eleggere i suoi rappresentanti in Parlamento (perfino un operaio, cosa che da anni non accade). Il partito è questo. È lo strumento attraverso il quale anche gli “ultimi” possono partecipare alla vita statale.»
Ovvietà: pur dichiarandosi movimento e non un partito, il M5S ha portato diversi ultimi in Parlamento. Non so se fra di essi vi sia anche qualche operaio, qualche contadino... ma cosa importa? Si sono visti dei progressi? Saranno sempre meno degli avvocati, e questo è quanto.
Si rende conto o no Reichlin che è proprio l'acquisizione della coscienza dentro un partito uno dei maggiori ostacoli all'acquisizione della coscienza? Già, che tipo di coscienza? Perché aver paura di pronunciarne la specificazione sua più propria, politica e, ancor più, rivoluzionaria?
Coscienza di classe, coscienza di classe, coscienza di classe...
Reichlin sta per scriverlo? No, si rifugia nel ricordo dei begli anni che furono.
«A me sembra che non si è ben capito che la novità del problema e la sua grandezza stanno nel fatto che si tratta di ben altro che di superare una fase, sia pure lunga e grave, di crisi economica. Noi siamo al centro di un grandioso passaggio storico, di un cambiamento che mette in causa e rompe tutti i vecchi equilibri della società italiana, che cambia il nostro posto in Europa e nel mondo. Di questo si tratta. Si tratta del fatto che bisogna ridisegnare la figura stessa del Paese, la sua compagine sociale e statale, e quindi l’idea di sé come nazione. Questo è il grande compito del Pd. Il nuovo segretario ha questa ambizione? Gli ricordo che esattamente questo avvenne nel dopoguerra con l’intreccio di decisioni davvero capitali: l’elaborazione della costituzione repubblicana, la collocazione geo-politiche in Occidente, la fine dell’Italia contadina e al tempo stesso l’avvento dell’Italia industriale grazie anche a una sorta di capitalismo di Stato. L’Iri, la Cassa del Mezzogiorno, gli enti speciali.»
Reichlin ricorda alcuni episodi cruciali del Dopoguerra (l'Iri mi pare che fu creato sotto il fascio, ma non importa), ma non accenna: a) al culo avuto di essere stati sotto l'ombrello Nato e non sovietico; b) al fallimento conseguente del comunismo italiano che doveva sin da subito troncare ogni rapporto con Mosca e tentare di dare prima un ricambio al Paese; c) che ai posti di comando della politica industriale italiana del dopoguerra c'erano i democristiani.
Ah, ecco, Renzi.
Ma vabbè. Il punto è che con questi chiari di luna non potrà esserci alcun partito di sinistra se non si nutre dell'idea che è in corso, da decenni, una feroce lotta di classe al contrario, combattuta e, di fatto, vinta dalla classe dominante composta dai detentori del capitale. Un partito che riesca a far aprire gli occhi prima che ci si ritrovi, noi ultimi, a vario titolo, più o meno garantiti, più o meno assistiti, a prenderci a brani tra di noi, qui, dentro la gabbia.
Ero partito dalla voce di Concita De Gregorio e a lei ritorno. Quasi quasi mi scarico le trasmissioni in podcast e me le riascolto in cuffia. Magari mi tocco un po'. Sono troppo gaudente per dare il via alla rivoluzione.
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