martedì 29 maggio 2012

E così esisti

Non so come stremata tu resisti | in questo lago | d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse | ti salva un amuleto che tu tieni | vicino alla matita delle labbra, | al piumino, alla lima: un topo bianco, | d'avorio; e così esisti!
Eugenio Montale, Dora Markus, Le occasioni.


(Una storia proprio così)


Dora si era trasferita da poche settimane nello stesso palazzo dove Lucas abitava ancora coi suoi, studente fuori fuori corso e lavoratore nel periodo estivo, quando ancora le amministrazioni statali non si affidavano alle cooperative per mandare in ferie il personale a tempo indeterminato. Ed era estate, appunto, quando una sera Lucas, mentre stava rientrando a casa dopo una birra cogli amici, nella prima rampa breve delle scale, si vide piombare addosso Dora che scendeva a precipizio, il volto pieno di lacrime e di urla soffocate. Lucas d'istinto si tenne alla ringhiera e riuscì ad evitare la caduta rovinosa di entrambi. Dora sbiancò, si premurò in scuse, si disse che era scema e che non avrebbe mai pensato. E intanto le lacrime si erano asciugate sulla camicia scura di Lucas che non dette troppo peso a quello strano umido, anzi, tentò persino di camuffarlo con un braccio pensando che del fosse sudore.
Oh, non si preoccupi, non è successo niente. È andata bene che non ho bevuto troppo e ho l'occhio della mente ancora sveglio.
Occhio della mente? Chissà cosa pensò Dora esattamente, ma il suo, di occhio, fu colpito da quella strana espressione abbastanza fuori luogo. Si salutarono con cortesia e ognuno riprese la sua strada.

Dora era sposata, aveva tre figli piccoli (due alle elementari e uno all'asilo) e un marito che era partito e non era tornato più. Aveva mandato una lettera e una fotografia dalla Patagonia, così, dopo aver lasciato tutto, famiglia, lavoro per seguire come un folle la sua idea chatwiniana della vita.
Dora si era ritrovata d'improvviso sola, un lavoro da precaria come personale tecnico della scuola, la famiglia interamente a suo carico, una madre che l'aveva ripudiata perché gliel'aveva detto che non doveva sposare quel bastardo, si vedeva lontano un miglio che non si doveva fidare, e che se l'avesse fatto lei non avrebbe più voluto sapere niente di lei, di lui e degli eventuali nipotini. Dora aveva sì un fratello, ma era un tipo semialcolizzato che viveva di piccoli espedienti e non avrebbe certo potuto dargli alcun aiuto né conforto. I suoceri, no, non poteva lei, anche se loro si sarebbero volentieri fatti in quattro sia per lei che per i nipoti. Essi sapevano che figlio avevano messo al mondo e si sentivano in parte responsabili per non essere riusciti a evitare il matrimonio; essi avrebbero anche accolto Dora in casa, per evitarle le spese dell'affitto, ma lei non ne voleva sapere, non poteva darla vinta a quello stronzo che, se ella si fosse lasciata convincere dalle premure dei suoceri, egli avrebbe nel suo cuore trovato un alibi per quell'esito famigliare.

Allora lotta dura, gli assegni familiari che non bastavano nemmeno a comprare un paio di scarpe a un figliolo, l'arrotondare lo stipendio offrendosi come le macedoni o le albanesi a pulire le scale del condominio, ma a qualche euro in meno sennò le coinquiline non l'avrebbero preferita.

Dora si risolveva a fare le scale la sera, dopo cena, appena messi i due più piccoli a letto e lasciato il “grande” davanti alla televisione. E una sera di queste, era ancora estate, i primi di settembre forse, Lucas, tornando a casa prima del solito – il bar era deserto, gli amici soliti in vacanza chissà dove e lui invece no, non era potuto andare per il lavoro – incontrò Dora sulla porta dell'ingresso con il secchio in una mano e lo spazzolone nell'altra.
Passi, passi pure, non fa niente se non è asciutto. Ripasserò.
No, no si figuri, aspetto un po', non mi dispiace, tanto ancora non è tardi, e rientrare a casa presto le sere d'estate mette una certa tristezza.
Già, proprio così. Ma tu... mi scusi, ma lei non può essere triste. Lei, coi suoi occhi della mente.
Lucas sorrise, azzardò subito un possiamo darci del tu, e così fecero, in modo che gli occhi della mente fossero di entrambi più vicini.

Qualche sera dopo, era tardino, quasi mezzanotte, ancora una volta Lucas trovò Dora con secchio e spazzolone a lei vicini, ma con in mano una lettera ch'ella leggeva alla debole luce dell'androne. Si sorrisero e, in quell'attimo, il timer della luce fece clic e fu buio. Cinque secondi e una mano, non sappiamo di chi, riaccese. Si risorrisero. Lei gli fece gli occhi dolci. Lucas aveva in bocca di una guinness l'amaro.
È mio marito che mi scrive. Mi dice che non torna, che ha conosciuto una scozzese e che si è innamorato di lei. Mi dice anche che, appena può, mi farà avere dei soldi per i bambini. Io non li voglio i suoi soldi di merda. Scusami. Non volevo dire merda ma ormai l'ho detto.
La merda porta bene e va pronunciata sempre due volte, porta meglio.
Lei rise. Lui la guardò con un certo non so che. La luce si rispense. Nessuno la riaccese.

2 commenti:

AlterEgo ha detto...

è quel tale che preferisco.

Luca Massaro ha detto...

grazie- e io gradisco... :-)