Mark Strand, L'inizio di una sedia, Donzelli, Roma 1999 (traduzione di Damiano Abeni) |
Ci sono poesie che trascinano in un vortice di appartenenza, di autentico coinvolgimento esistenziale, dacché decifrano il mistero buffo della vita che scorre senz'altra prospettiva che lo scorrere, tutta presa com'è, la vita, nel quotidiano asservimento dei bisogni primari e dei desideri a contorno degli stessi, dove tutto sembra fissato in un eterno presente, mai presente a se stesso.
«Stare a galla sulla marea del dovere» è un dovere, altrimenti non saremmo capaci di fingere niente, non sarebbe possibile raccontarci storie, o rassicurarci nello «sporadico spavento di scivolar»[e] via dalla vita «senza aver finito nulla, nulla che provi sia[mo] esistiti».
Poesie che testimoniano quanto sia importante continuare a cercare qualcosa che abbiamo perso e che avrebbe potuto essere nostro, non tanto per farci credere che questo sia vero, quanto per non spegnere in noi la sete della ricerca.
Poesie che ci suggeriscono gesti, movenze da compiere per ricondurci alla terra come esseri coscienti e non come corpi da seppellire e basta, perché se c'è una ragione per dire che è stato una «fortuna massima essere nati», essa va trovata nel mondo, l'unico posto in cui i nostri «minuscoli fremiti d'amore» potranno essere riconosciuti, fare massa, toccare terra.
2 commenti:
Poesia notevole, in pregevole traduzione, magistralmente (massarianamente) chiosata.
Grazie carissima. Un abbraccio e un bacio.
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