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domenica 11 luglio 2021

Ancora

Per strada tante facce
Non hanno un bel colore
Qui chi non terrorizza
Si ammala di terrore

[Ansia]


Domenica di luglio. Incollo qui questa schermata e non la commento perché sento vibrare dentro me corde bombarole. Purtroppo, io con il tritolo non ci so fare, dunque le redazioni, tutte le redazioni, compreso l'algoritmo malefico di gogol news stia tranquillo, non subiranno danni, se non morali, quelli che moralmente mi infliggono dal marzo 2020 (AVETE STRAROTTO E STRAMAZZATO IL CAZZO!).

Domenica di luglio. Gran giro in quota salvezza, dentro il parco. Venti km, a corsa e a marcia, dislivello (positivo) di oltre mille metri, dolore alla bandelletta verso la fine, comunque ce l'ho fatta al fresco dei faggi secolari e a cavallo di uno dei crinali più belli dell'Italia centrale. Per la prima volta ho visto la Gorga Nera, un piccolo laghetto verde dove vivono rane temporarie e ululoni; dipoi rivisto Capodarno (compreso la bevuta di un sorso in palmo di mano à la source) e il Lago degli Idoli.

Devo pensare e produrre queste notizie: una forma autoredazionale di resistenza.

lunedì 24 maggio 2021

Per non soccombere alla follia oggettiva

La situazione politica, sociale, economica e culturale è tale che, per non lasciarsi prendere dallo scoramento, è necessario munirsi di microresistenze individuali, di allontanamenti, di distacchi, per riuscire a sopravvivere nella finzione di sentirsi liberi e indipendenti dalle forze dominanti, dalla burocratizzazione dell'assurdo, dalla sanitarizzazione del vivente, dalle facce di culo immutandate dei politici e dei giornalisti che declamano sui media vecchi e nuovi le loro gesta, la loro responsabilità, la loro tabella di marcia verso il marcio. Mi fanno tanto schifo, mi danno talmente uggia e fanno tanta rabbia che, anziché bestemmiare e sfanculare tutto il giorno per l'assurdità continua della situazione e di come essi ne approfittino per cercare legittimità e consenso, che - come sapete - corro.

Come scrive Adorno (Minima moralia, 128, secondo paragrafo) «[...] quando cominciai a riflettere, mi rese sempre felice la canzone che comincia con le parole "tra il mondo e la profonda, profonda valle": la storia delle due lepri che, mentre si sollazzano sull'erba, sono abbattute dal cacciatore, e, quando si rendono conto di essere ancora in vita, scappano via. Ma solo più tardi ho compreso il monito contenuto in quella storia: la ragione può resistere solo nella disperazione e nell'eccesso; occorre l'assurdo per non soccombere alla follia oggettiva. Bisognerebbe fare come le due lepri; quando cala il colpo, cadere follemente come morti, raccogliersi e riprendere coscienza, e, se si è ancora in grado di respirare, scappare a tutta forza. La forza dell'angoscia e della felicità sono la stessa cosa: la stessa apertura illimitata - intensificata fino al sacrificio di sé - all'esperienza, in cui il soccombente si ritrova. Che cosa sarebbe una felicità che non si commisurasse all'incommensurabile tristezza di ciò che è? Il corso del mondo è sconvolto. Chi vi si adatta con prudenza, si rende partecipe della follia, mentre solo l'eccentrico sarebbe in grado di resistere e di imporre un alt all'assurdo. Egli solo potrebbe capacitarsi dell'apparenza del male, dell'irrealtà della disperazione, e rendersi conto, non solo di vivere ancora, ma dell'esserci ancora vita. L'astuzia delle lepri impotenti riscatta - con le lepri - anche il cacciatore, a cui invola la sua colpa».

a duecento metri dall'arrivo della 24


giovedì 4 febbraio 2021

Le temps retrouvé

Un post egotista

Questo post non parla di Draghi, ma di cavalieri. Non di cavalieri del lavoro, ma di quelli del tempo libero, forse anche - oso dire - del tempo liberato.

Au plutôt, le temps retrouvé.

Era dalle elementari, dai giochi della gioventù che non partecipavo a una gara. Neanche di briscola o di calcio balilla. Poi, a una certa età, determinate circostanze mi hanno spinto a correre. 

Eccole, le circostanze.
Dalle elementari (appunto) per un trentennio abbondante, non ho fatto alcuno sport. Niente. Poi, sui quaranta, forse per darmi un tono, provai a fare delle corsettine da niente alle quali subito rinunciai in favore dello andare in palestra (2012). E sono andato regolarmente in palestra, per fare un po' di pesistica e persino qualche trazione e piegamento a corpo libero. Nel 2017 ho iniziato pure ad andare, almeno una volta a settimana, in piscina (l'abbinavo alla palestra due/tre volte a settimana).
Nell'autunno del 2019, dato che il gestore della palestra dove andavo non aveva più voglia di gestire (aveva ridotto orari a parità di prezzo degli abbonamenti) e, soprattutto, con l'apertura di un tratto della ciclopedonale lungo il corso dell'Arno nella zona dove abito, ho preso a correre (continuando con la piscina).

Ho corso praticamente da solo per un anno, salvo in qualche occasione, più che altro fortuita.
Nel dicembre 2019 la palestra dove andavo ha chiuso i battenti.
Nella primavera del 2020, vabbè è storia recente: era vietato persino correre (ridussi quel poco che facevo a pochissimi km intorno ai campi di casa).
Le piscine sono state chiuse, salvo la parentesi estiva (le ultime vasche mi sembra di averle fatte di settembre).

Non è rimasto altro che correre. Con discreta costanza, se posso almeno un quattro o cinque volte a settimana.

Dato che abito vicino, la scorsa estate ho preso anche e soprattutto a correre per i sentieri del parco nazionale. Correre fuori strada per boschi e strade di montagna è chiamato trail running.

Dove vivo, c'è un gruppo sportivo, iscritto regolarmente alla Fidal (Trail Falterona Runners), nel quale corrono alcune persone che conosco e che mi hanno invitato a correre con loro. Lo scorso autunno ho iniziato e mi è piaciuto - e parecchio. E, praticamente, quasi tutte le domeniche sono andato, quale che fosse il tempo (quasi sempre sotto la pioggia o anche sotto la neve). Non meno di due ore e mezzo, quasi tre di corsa (con frequenti cambi di ritmo, cosa che il trail impone, date le salite e le discese ardite). 

Ebbene, durante tali uscite ho preso fiducia e, stimolato dai compagni e compagne del gruppo, mi sono prima tesserato e, quindi, persuaso a fare una gara (per dilettanti) ufficiale.

La Ronda Ghibellina, in zona Castiglion Fiorentino (Arezzo).

Accompagnato da un amico, più esperto e già corridore di maratone e di ultra-trail, ho così corso la gara di 25 km, con un dislivello di 1200 metri, detta la Ronda Assassina.
356 il numero dei partecipanti. Sono arrivato 170 esimo in tre ore e cinquanta minuti.

Corsa assai impegnativa, sia per il dislivello, sia per il terreno reso assai scivoloso dal fango.

Fatica tanta, soprattutto intorno al quindicesimo km, poco prima dell'ultimo ristoro. Ma una fatica particolare, fatica che fa sentire la presenza intera del proprio corpo in movimento, sotto sforzo per un obiettivo: arrivare in fondo, a poco a poco, passo dopo passo, sia correndo, sia camminando, vedendo intorno gente che compie lo stesso movimento, lo stesso gesto nella «fugace altalena tra vita / che passa e vita che sta». Ecco, quassù, tra questi poggi di Bellosguardo sulla Valdichiana, c'è un barlume di scampo, caro Eugenio, lo sento e fattelo dire da un amico che, pur non pretendendo di sapere, né d'insegnare, ha scelto di correre per sentire che, per una frazione di secondo, tra un passo e l'altro, si vola.




E, confesso, arrivare al traguardo è stata davvero una gioia.


domenica 23 agosto 2020

La direzione dello sguardo

Scrivo e leggo poco. Corro di più. Stamani
«forse in paesaggi toscani ai tempi dei guelfi e dei ghibellini [su uno] scenario mobile come la luce che scorre sulla battaglia fra due nuvole nere, denudando e occultando reggimenti e retroguardie, scontri faccia a faccia con pugnali o alabarde, visione anamorfica data solo a colui che accetti il delirio e cerchi nel profilo della giornata il suo angolo più acuto, il suo coagulo tra esalazioni e defezioni e gonfaloni»¹
 ho percorso 21,0975 km, la mia prima mezza maratona, in un'ora e cinquantasei minuti.

Piana di Campaldino e, sullo sfondo, il Castello di Poppi


¹ Julio Cortázar, Un tal Lucas, 

sabato 22 agosto 2020

La banalità del correre

Epilogo. Non amo il dovere, soprattutto se associato ad alcuni verbi, essere e fare su tutti - e il resto di conseguenza. Amo di più il dov'eri tu quella sera che mi ha lasciato da solo in birreria a bere un succo di pera biologico di una fattoria di Cuneo? Poi piansi lacrime dolci. 
Ho sempre avuto un volere debole: le cose, aspetto che mi vogliano loro - io non le rincorro, a parte quelle a pagamento e dove posso, pagando, arrivare. Sarà per questo che non ho mai il becco di un quattrino? Piuttosto il petto di tacchino, tagliato a fesa, e del becco e del bargiglio non più alcuna traccia dell'animale che arriva sempre implume al banco frigo del supermercato. 
Volare? È quello che mi sembra, quando, di buon passo, corro per un falso piano di vera discesa non accidentata. 
Il potere non ne ho e non lo esercito. Lo avessi, data la mia natura antimilitarista, di ogni tipo di milizia imporrei dimissioni. All'estero. La dimissione in Afghanistan, in Libano, in Iraq. Lo (art. det. m. s.) esercito, perché dovrei mandarlo laggiù avessi il potere? Affatto. Avessi il potere, poterei le spese militari - non come le vigne o altre piante da frutto, nella speranza che le piante ricrescano e prendano più vigore e diano frutti migliori, ma proprio le taglierei alla radice. Obiettivamente, pour parler, uno Stato senza spese militari potrebbe spendere le spese in altri modi. Odi, tu lettore, che mi stai a sentire o mi odi solo perché magari hai un parente nell'aviazione?

- Eh, la fai facile: lo Stato, senza esercito, potrebbe essere invaso.
- Invaso? Temo più l'esercito di uno stato guidato da un invasato. E poi, in Italia, ci sono ancora numerose basi americane (armi e soldati). Alle brutte, se ma li turchi avessero voglia... scapperebbero: gli americani, non i turchi.

***
Saltare di palo in frasca, pisciare a Lapo in testa (e al fratello John). Ergersi su un piede e su uno stallo. Yoga: la posizione dell'albero. Attenzione alle motoseghe, meno alle seghe a mano. Avendo le braccia distese e le mani giunte sopra la testa, chiedo la collaborazione. Anche l'albero deve dare i suoi frutti (i semi sono dentro al frutto).

***
Basta Murakami Haruki. Ma chi me lo fa fare di leggere un libruncolo insulso pieno di stereotipi, di un egotismo insipido e piuttosto banale per lo meno per il grado mio di sopportazione della banalità?Esempio finale - perché poi riporto il libro in biblioteca e amen:

«Ora vorrei tornare alla scrittura [che cazzo, sei nel mezzo di un libro scritto e vuoi tornare alla scrittura? Ma sei scemo?].
Quando rilascio un'intervista, a volte mi viene posta la domanda: "Qual è la qualità più importante per uno scrittore?". La qualità più importante per uno scrittore, non c'è nemmeno bisogno di dirlo [e allora perché cazzo lo dici?], è il talento [!]. Se uno non ha il minimo talento letterario può scervellarsi finché vuole, metterci tutto il suo ardore, non scriverà mai nulla di valido. Più che una qualità necessaria, questa è una condizione preliminare. Senza carburante, neanche l'automobile più bella non va avanti».

Ecco, dopo tali considerazioni - pur con tutti i distinguo del caso - provo un analogo sentimento a quello che Hannah Arendt ebbe nel trovarsi di fronte ad Adolf Eichmann, vale a dire a un individuo che, sebbene non sia affatto stupido, difetta della fondamentale capacità (perlomeno per uno che scrive) di immaginare quello che sta scrivendo¹:
«Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi *scrittori* di *questo* periodo»². 

______________
¹ Immagino la dura vita degli editor di scrittori affermati: ma qui c'è anche la colpa del traduttore: e tradisci, cazzo: talento, scrittore, carburante, automobile, nonna, ruote, carriola, fottiti. 
² Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli. In luogo di *scrittori*, in riferimento ad Eichmann, la Arendt scrive criminali, e in luogo di *questo*, quel.

lunedì 10 agosto 2020

Correre sette

7. «Come ho detto, in luglio ho corso trecentodieci chilometri». Io no: io ne ho corsi quasi la metà, centoquarantotto per la precisione. Ciò nonostante, come Murakami per i suoi 310, anch'io ritengo che i miei 148 non siano un risultato disprezzabile. «No, nient'affatto disprezzabile».

«Quando ho allungato la distanza, ho cominciato a dimagrire: in due mesi e mezzo ho perso sette libbre ed eliminato il grasso che aveva cominciato ad accumularsi intorno alla pancia. Sette libbre sono più di tre chili. Immaginate di andare dal macellaio, comprare tre chili di carne e tornare a casa a piedi con il pacchetto in mano. Tanto per farvi un'idea concreta di che peso costituiscano. Al pensiero che me li ero portati addosso per tutti quegli anni, mi sentivo piuttosto confuso».

Aldilà del fatto che, primariamente, per un giapponese sarebbe stato più opportuno scrivere subito chili e non libbre (si fottano gli americani con le loro libbre, i loro galloni, le loro miglia e i loro fahreneit); e, secondariamente, per un romanziere supporre che i chili che abbiamo addosso non siano fatti soltanto di carne ma anche di altre componenti (liquide, solide e aeriformi: vi è mai capitato, per esempio, di sentirvi più leggeri dopo un rutto o un peto, o anche, meno prosaicamente, di percepire il peso della propria anima?); anch'io, da quando ho cominciato a correre, ho perso un paio di chili - e per me sono tanti, giacché ne ho pochi addosso -, e dai miei 62 (!) sono sceso a sessanta (!!). Sono magrissimo: se fossi un pugile sarei tra i superpiuma e i leggeri, ma siccome andrei subito ko, diciamo che sono un peso risorto: asceso al cielo a la mancina del pater, m'involo come un amata phegea (o paraculo, come si chiama la fegea dalle mie parti) e, sebbene sia facile da acchiappare, al primo refolo di vento, appunto, ascendo (Nabokov, aripijame te). 

A proposito del mio peso, della mia costituzione o consistenza: potrei adesso fare una digressione che mi porterebbe lontano assai dal presente ordinario autoritratto di un blogger che s'è messo a correre. Purtuttavia - sarò stringente come una XS - qualche parola occorre scriverla - e la scriverò, sì, sì, ma prima devo auto-complimentarmi dell'impresa compiuta ieri: diciassette chilometri (con una sola pausa di 30 secondi a fine andata per orinare) di corsa (trail running) durante la quale ho percorso in poco meno di due ore (1h 59' andata e ritorno), un tratto del Sentiero 00, sul crinale montano dell'Appennino tosco-romagnolo che Dante chiamò il Gran Giogo (la Giogana, Purg. V). «Bravo Massaro, che bestia». «Grazie».


sabato 8 agosto 2020

Sentieri (correre 6)

Lunedì 3 agosto.

Mi fanno male i piedi. E lo sento stasera, non ieri sera. Indolenzimenti a effetto ritardato. Sarà perché ieri mattina (domenica) ho corso su un sentiero di montagna, molto bello e, in certi tratti, assai sassoso. È il Sentiero dei Tedeschi, circa dieci km a/r in curva di livello, tra i 1100 e i mille metri d'altitudine, immerso nei boschi del Parco Nazional. È la mia terza corsa trail (si fa per dire) e, se correre mi piace, correre tra boschi e strade di montagna mi piace ancor di più, particolarmente in questo periodo estivo. Ho iniziato il giro verso le nove, non c'era nessuno. Al via strada piuttosto larga; dopo due chilometri sentiero puro, molto stretto anche se ben tracciato (ogni tanto interrotto da qualche ruscello). In due non ci si scambia se non scansandosi a valle o a monte. Così faccio, al passare di un gruppo di ciclisti in mtb. Così fanno, due camminatori, vedendo me arrivare a passo di corsa. La diplomazia tra camminanti e corridori. Quando non si conosce una strada, non ci si rende conto bene quando finisca cosicché, al prossimo incontro, decido di chiedere. È una donna, con un collie al guinzaglio. «Scusi, quanto manca al termine?». E lei: «Two kilometres to the end». Bene, fin lì (percorrenza e inglese) ci arrivo. E ci arrivo. Solo che, al termine dell'andata, anziché ripercorrere il medesimo sentiero, ne prendo un altro che indica l'Anello della linea Gotica. Cazzo, questo sale, ammazza se sale.
Con tale pettata mi è impossibile correre. O anche: corro dieci passi e mi fermo cento secondi per respirare. Allora cammino finché non spiana, rincuorato dal fatto che, dipoi, per ricongiungermi al sentiero precedente, visto quanto ho salito, dovrò scendere. Dopo poco, arrivo a un bivio al quale mi fermo per leggere che cosa indicano i cartelli del Cai. Riecco la donna con il collie, sorridente. Mi fa i complimenti per l'impresa di essere lì (almeno credo: ho l'arabo nullo, ho scarso l'inglese come scrive Fortini in una sua Canzonetta del Golfo). Risorrido, e chiedo se anche lei andava di corsa. «No, today I'm walking, but often run too». Mi dice che posso parlarle in italiano, lo sta studiando, anche se mi risponderà in inglese («But my english is very bad», le annuncio, sì che possa essere comprensiva se rispondessi fischi per fiaschi). Ma cii si intende, insomma. Cinque minuti di conversazione (ne approfitto per recuperare) dalla quale apprendo che lei è Rachel, australiana (un'australiana nel mezzo di un bosco toscano, apperò), sposata (il marito inglese è un professionista del trail), con prole, e che abita al momento nei dintorni, svolgendo quest'attività qua

La saluto e riprendo il cammino.

La discesa di ricongiunzione è assai impervia e con ciottoli grossi e appuntiti. Reimmesso nel Sentiero dei tedeschi, trovo una comitiva in mtb: pedalano lenti, più del mio passo e dunque li supero e arrivo, di buona lena, alla fine. 


Mercoledì 5 agosto, pomeriggio.

Ciclopedonale. Quattordici chilometri, mio record di percorrenza. 

Venerdì 7 agosto.

Sentiero 80. Da Ponte alla Fabbrica, lungo un torrente chiamato Gorgone, sino al Passo della Calla. 6+6. km (a/r). Dislivello notevole: dai poco più di seicento metri alla partenza, sino a quasi milletrecento in cima al passo. Percorso interamente all'ombra, fresco, pista sassosa, a tratti umida, compreso l'attraversamento (facile) del corso d'acqua. È un bel correre qui, anche se io non disdegno qualche sprazzo di sole. Quando sono tornato a dove avevo lasciato la macchina, mi sono messo a guardare la briglia del Gorgone d'epoca fascista (credo) sotto la quale una splendida pozza d'acqua fredda, sebbene accaldato, non mi invitava certo a fare il bagno (a senso, la temperatura esterna sarà stata poco sopra i venti e quella dell'acqua forse poco sopra i dieci gradi). Mentre mi cambiavo le scarpe un po' infangate, ecco che arriva una macchina che gratta sotto a causa dello scalino tra l'asfalto della statale e il parcheggio del posto. Scende un signore che indica alla moglie (che è alla guida) di proseguire, oramai la grattata è fatta. Conosco entrambi i signori, ci salutiamo. La signora (sebbene sui sessanta, è ancora una bella donna) dice che, siccome le fa caldo, tanto caldo, è venuta a fare un bagno nella pozza suddetta. M'invita anche a seguirli, ma il marito - sebbene sorrida - non dice niente, sta zitto e per me chi tace sta zitto e basta. 
Ma dove ho lasciato Murakami? Affacciato sul fiume Charles, a Cambridge, Massachusetts. Sono passati dieci anni - scrive - dall'ultima volta «ed è il caso di dire che di acqua sotto i ponti ne era passata tanta. Soltanto il fiume non era cambiato. La sua corrente impetuosa avanzava verso la baia di Boston [...] come un'idea che non conosce esitazioni dopo aver superato tante verifiche, se ne andava in silenzio verso il mare, senza fretta, senza mai riposarsi». Tralasciando tali patetiche forme di lirismo, secondo voi i fiumi con la corrente impetuosa avanzano in silenzio? Secondo me no. 

[un po' di foto sparse dei tre giorni]