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venerdì 19 novembre 2021

Buttare lì qualcosa

Oggi, nel primo pomeriggio, ho incontrato una quercia, bella, grande, maestosa, rivestita ancora di quasi tutte foglie, bionde com'era bionda Brigitte Bardot. Un tronco possente, di benefattrice, silente, da abbracciare senza strofinare troppo le mani o le guance, data la consistenza della corteccia. E che slancio verso il cielo i rami protesi a catturare quanta più luce possibile, fonte primaria del suo, del nostro essere qui. 
Fatte le presentazioni ( - Buon pomeriggio, signora Quercia... - Mi chiami pure Luisa.), le ho chiesto se potevo permettermi di raccogliere alcuni dei suoi frutti caduti sul manto erboso, quei pochi rimasti ché - immagino - molti in precedenza già manducati da ghiotti scoiattoli e da voraci cinghiali. 
- Certamente, faccia pure e mi dica, se posso chiedere: a che cosa le servono? 
- A niente signora Luisa, a niente, solo a gettarli in qualche posto lontano da qui, perché sarebbe bello - penso anche per lei - se queste piccole ghiande potessero replicarla altrove, tra mezzo secolo e più, quando io non ci sarò e lei, sì, forse ci sarà ancora più vecchia di quanto sia già, ma soprattutto ci saranno dei nuovi alberelli che cercheranno di riprodurre le stesse sue gesta di amore. 
- Oh che pensiero gentile, che cosa gradita mi fa. 

E così, con una tasca piena di ghiande, l'ho salutata con un leggero inchino e ho proseguito i miei passi buttandone una or qui, or là come fosse cosa buona giusta, e sono andato via.

mercoledì 21 luglio 2021

Caffè tiepido bollente

Firenze, piazza della Repubblica, una mattina di luglio. Quattro colleghe, insegnanti (due erano già in compagnia e le altre per conto proprio), si ritrovano casualmente davanti all'ingresso di uno dei celebri bar della piazza, dopo aver fatto i classici giri in centro per i saldi di fine stagione.
Dato che c'era molta gente al bancone, decidono di sedersi in uno dei pochi tavoli ancora liberi. Il cameriere, solerte, si presenta subito per le ordinazioni, quattro caffè.

«Ah che combinazione!».
«Che bello, abbracciamoci!».
«Tanto siamo tutte vaccinate!».
«... No, lei no, lei non si è vaccinata».

Quando il caffè arriva, nonostante il caldo di luglio, è insolitamente tiepido.

venerdì 7 maggio 2021

Gialleggiare

I ranuncoli, che gialleggiano sulle distese verdi dei campi a riposo, fanno le veci ai raggi del sole nascosto dietro le facce di cobalto trasportate dal grecale. Pioverà? Oppure il cielo presto sarà liberato da questa moltitudine informe? Intanto camminiamo e, insieme, guardiamo la linea dell'orizzonte, dove il cielo è più chiaro e fa credere che presto lo sarà anche su questa strada. Due gocce, di cui una di dubbia fattura. Piscio di rondine o di quella cornacchia che si è appena alzata in volo perché spaventata dal mio arrivo, intenta com'era a piluccare la carne frollata di un povero riccio arrotato chissà quante ore fa? Mi pulisco con un fazzoletto di carta e non vedo segni particolari, a parte l'umido. Gocce di pioggia, mi rassicuro, però non molto. Il grigio tocca terra e quindi rifugio ancora lo sguardo sui ranuncoli che ondeggiano sulla spuma vaporosa del vento, certi che neanche una capra di passaggio li mangerà. Resistono e illuminano come le dinamo di una volta, a tratti, più o meno forte a seconda della pedalata. Sono tanti, migliaia, e velenosi, come i virologi. Però più bellini e se ne possono fare tanti mazzettini da portare negli studi televisivi o ai cimiteri dell'istat.

venerdì 28 febbraio 2020

La farina

Non so, forse ho sbagliato a suonare il campanello: ha risposto un signore che gridava di essere lasciato in pace con il suo dolore perché aveva finito le lacrime, la morfina, la disperazione e proprio in quel momento aveva deciso di buttarsi di sotto dal terzo piano, un volo sufficiente per prendere aria e ridere mezzo secondo della vita vissuta.

«È contento, adesso, che sono ancora vivo?»
«Non dia a me la colpa di essere vivo. Perché non l'ha fatto?»
«Pensavo fosse mia figlia, di rientro da Siviglia, coi suoi venti gradi fissi d'inverno e un cielo che trasforma la tristezza in desiderio».
«Mi dispiace che lei soffra così tanto. E mi scuso di averla disturbata».
«No, non disturbato. Distratto: semplicemente distratto. Ero così concentrato sull'idea di morire che non pensavo ad altro e forse questo è il modo peggiore di farla finita».
«Forse è la natura stessa del suicidio a richiedere tale assoluta determinazione».
«Sì, ma io detesto che il pensiero diventi schiavo di qualcosa, foss'anche l'assoluto»
«Allora perché mi ha chiesto, con tono risentito, se ero contento che fosse ancora vivo?»
«Perché pensavo che lei fosse stato mandato da qualcuno, affinché mi distraessi e perdessi la concentrazione che con tanta fatica ero riuscito a ottenere».
«Si sbaglia: io cercavo la signora Carmen, donna matura, formosissima, calda, affascinante, completa, con una voglia che non passa».
«Ma è mia moglie, solo che è andata a far la spesa: sa, con questo corona, ci mancava la farina, la farina che è sempre bene avere in casa».

martedì 25 febbraio 2020

La rarefazione

Il dirsi si fa più rarefatto e l'udito si riposa perché si gode ampi spazi di silenzio prima occupati dal brusio continuo, assordante, delle voci. Non è un mistero che staccare la mente dal flusso informativo lo faccia ricaricare per effetto contrario alla batteria del cellulare. Mettere la mente in "stato aereo" restando a terra, togliere anche i suoni di notifica e il tormento delle vibrazioni. Puntare gli occhi in un punto immaginario della stanza. Ricordare. Esistere doppiamente. 

Tutto questo presente addosso, com'è faticoso, come riempie il tempo senza ristoro alcuno. Questa gravità: come schiaccia a terra per paura che gli stomaci restino vuoti.

Il silenzio prolungato della strada, un'area di sosta improvvisata, il lancio dello sguardo nell'orizzonte in fuga, ecco:


E rivedi nell'ombra la luce, nel vuoto il pieno, nel concavo il convesso, nel difforme la forma di un vaso o forse due volti che non si baciarono mai.

lunedì 3 febbraio 2020

Foto di gruppo con merito

Ai telai, alle spole!

La prese di punta e si punse, chiaramente, e giù acqua ossigenata a iosa, ché la schiumina sulla ferita gli dava ebbrezza, come un calice di champagne. Fu così che distolse lo sguardo a beneficio del guardato, dato che lo guardava male, anche se normalmente vestito, come per coglierlo in fallo. E dire che quel tizio non aveva fatto niente e neanche aveva in animo di fare qualcosa: stava lì ad aspettare la corriera per Singapore, voleva passare una nottata caldo umida. Tutto aveva un senso, persino l'insensato. E io scrivo apposta, perché non mi sia rinfacciato di lasciare il non detto non scritto. Tanto per come ragionano le genti dalle menti irretite o per seguire il branco, o per distinguersi dal branco, o per replicare vox populi, o per contraddire vox populi, impediti tutti al silenzio perché tutti a conoscenza di come stanno le cose, nel secondo cassetto dell'armadio, sopra le mutande e i calzini.

Sfido io, ma il gioco non vale, perché in realtà non c'è partita a giocare con sé stessi. Se stessi in bilico, viaggerei spesso a rimorchio, sulle autostrade d'Italia, il famoso paese meraviglioso, tutto golfini a modo e foto di gruppo in ordine spazio, sorridenti, che non mancano né sorci, né denti.
Figuriamoci. Vengo anch'io da una famiglia di filatori (parte materna), che lavoravano al telaio di un famoso lanificio che ora non più. Era del padre del Sartori, il politologo morto or non è molto, che con verve tosconuiorchese bastonava sul doppio turno alla francese le italiche genti. Eppure, la fabbrica, che tanto sudore, ore e rumore ha consumato della pelle, delle palle, delle ovaie e delle orecchie di operai e operaie, quella fabbrica durata un secolo e diventata un museo a cielo deserto, ha smesso di essere, tutto il valore volato via, se non nei quattro soldi dei quattro straccioni di padroni. Il resto sono ossa e marchette per l'Inps. E mi ricordo - forse l'ho scritto, ma non mi ricordo, sicché lo riscrivo uguale - che mi fu raccontato che, durante un'assemblea straordinaria nella quale l'amministratore delegato (il Cipriani) dell'epoca annunciava che macchine e, avessero voluto anche loro, operai e operaie, sarebbero state trasferite in altra sede lontana, il Lamberti, operaio alla cardatura, si rivolse al Cipriani così: «A me, Cipriani, tu mi fai ridere la cappella». E fu chiusa, la cappella, e il Cipriani se ne andò via con il Volvo («Glielo darei io, il Volvo») e il Lamberti, invece, fu messo in cassa integrazione.

Dipende da dove caschi. Dall'intraprendenza. Dalla facciaculaggine. Dal merito... Tiratemi due schiaffi forti, me li merito.

sabato 28 dicembre 2019

Un pregiudizio salomonico

Avevo un pregiudizio. Poi ho tolto il pre e - come Salomone - ho deciso di tagliare il bambino. Per fortuna per il bambino, la mamma buona s'è fatta avanti e m'ha pregato di risparmiarlo e di darlo per intero alla mamma cattiva, la quale (cattiva) avrebbe preferito il bambino diviso in due piuttosto che riconoscere che non era suo, ché l'aveva rubato di notte dal letto in cui dormiva con la madre vera (la madre buona), mettendole accanto il figlio morto soffocato da lei involontariamente durante il sonno, giacché entrambe si trovavano nella stessa camera di un centro di prima accoglienza per rifugiati.
Di fronte alla diversa reazione delle due donne comparse in giudizio, io, saggio come Salomone ai tempi di Salomone, decido, contrariamente a lui, non di tagliare il figlio vivo, ma di fare la volontà della madre buona, di dare cioè il bambino alla cattiva, che abbia a tenerselo, a nutrirlo, allevarlo, mandarlo all'asilo, a scuola, a vivere la sua adolescenza e poi l'età adulta, eccetera, finché avrà figli e lei nipoti, che lei, in quanto nonna, alleverà, porterà a scuola finché non diventeranno grandi, e lei poi invecchierà, zoppicherà e il figlio, che aveva voluto così tanto da rubarlo alla madre buona, anziché accudirla, le manderà una badante cattiva.
E invece la madre buona, ch'era rimasta senza figli, invecchierà soffrendo sì un po' di solitudine, epperò senza neanche tante rotture di coglioni di figli e nipoti, e coi soldi messi da parte si pagherà un posto in una residenza sanitaria assistita decente, con del personale di servizio apparentemente cordiale che la farà sentire un ospite rispettato e benvoluto.

Perché ai tempi del capitalismo maturo come un diospero che sta per cadere sulla testa di un neokeynesiano in attesa dell'aumento della spesa pubblica, la saggezza si dimostra soprattutto con la previdenza, come dice anche il direttore generale dell'Inps.

venerdì 29 novembre 2019

Le cose come stanno. Finale prima stagione

Le cose come stanno, stanno. E non c'è verso di farle stare diversamente, nonostante si scopra, piuttosto velocemente, che le cose potrebbero stare diversamente, ma non si sa da che parte cominciare. 

Basta guardare il mondo e poi chiudersi in sé, dimenticare tutto, tutto, salvo il proprio personalissimo precipizio. La caduta degli dèi più in piccolo: la caduta di io, caro Luchino. O anche: La caduta nel tempo, caro Emilio Cioran, tanto il tempo dura poco, giusto il tempo necessario per la «chiaroveggenza della [propria] insignificanza», compreso l'insignificante pessimo cosmico borghese, più o meno raffinato, più o meno espresso da stanze confortevoli o nella miseria dignitosa del proprio appartamento parigino, blaterando sentenze acute su storia e utopia, e certificando la naturalezza di un sistema e il suo inimmaginabile superamento. Perché l'uomo è un caduto, condannato, un primaticcio della sfiga.

E io sono colpevole, come tutta la mia generazione lo è, perché non ho fatto niente, non farò niente, non tirerò alcuna bomba a mano, non proverò a prendere le armi contro il flusso costante di stronzi al potere, non griderò in alcuna piazza che le cose come stanno fanno schifo, tutto concentrato sul mio apparato digerente come sono, coi sensi obnubilati dalle cose come stanno, tutte - ed è inutile mi consoli con il pensiero di fare il cammino di Santiago appena avrò la pensione da fame che mi daranno, di fare penitenza, di guidare la macchina della misericordia per portare le persone anziane a fare esami all'ospedale, o adottare un druido a distanza, tramite il mio abbonamento al Cielo.

«...Ma la cecità non è così [...] La cecità dicono sia tutta nera, Invece, io vedo tutto bianco...»¹

E non sarà più quello della Democrazia Cristiana.

Amintoreee...

______________
¹ José Saramago, Cecità.

mercoledì 27 novembre 2019

Come stanno le cose 3

Adesso che sono povero, adesso che non ho i soldi, le cose come stanno mi fanno... cosa mi fanno? Niente, perché stanno lì e basta, intoccabili, irraggiungibili, a volte desiderabili, a volte in attesa che qualcuno me le faccia desiderare. Io ci provo a fare l'indifferente, ma è uno sforzo inutile, giacché si legge in volto che faccio finta; quando si è poveri lo snobismo è un lusso che non ci si può permettere. Allora sto in disparte, cerco di evitare le cose come stanno e me ne resto in periferia, dove le cose come stanno stanno così male che stanno bene anche per me, sono alla mia portata, come un autobus in ritardo, o il volo dei gabbiani verso la vicina discarica. Le cose come stanno sono ridotte all'osso. Io sono ridotto all'osso, nonostante i pasti caldi, regolari, della mensa della caritas. Oggi, a pranzo, c'era una tristissima e sciapissima sogliola impanata con contorno di zucchine che sapevano di piscio: ho preso più calorie dal sorriso melanconico di una cameriera stanca che da quel piatto che stava lì davanti a me come una cosa che potevo permettermi ma che mi dava il voltastomaco. Per fortuna fuori pioveva, così aveva un senso stare seduto al caldo e all'asciutto davanti a  qualcosa che faceva piangere e un po' rabbrividire. 

sabato 23 novembre 2019

Come stanno le cose 2

Adesso che sono ricco, adesso che ho i soldi, le cose come stanno non mi fanno paura. Addirittura mi sono comprato una cappella al cimitero, con l'aria climatizzata e i diffusori di oli essenziali per i vivi che verranno a trovarmi, naturalmente, ché da morti le cose non si annusano; ma pensare, da vivo, di puzzare di morto da morto mi fa orrore, e per questo ho pensato che i fiori da soli non bastino a coprire la cosa, la morte, anzi: i fiori, se non li rinnovi e li lasci a lungo nella loro acqua, in pochi giorni puzzano di morto anche loro; quindi, mi sono consultato con il mio maestro yogi e lui mi ha suggerito questa cosa dell'aromaterapia.

Avere i soldi significa disporre delle cose (di quasi tutte le cose, fossero anche solo i soldi stessi), più o meno come si vuole, perché, oggigiorno, a come stanno le cose, è che le cose sono a disposizione di coloro che i soldi li hanno, perché ogni cosa va in giro con un cartellino al collo, o un codice a barre, o un tatuaggio sul quale è scritto il prezzo. «Cento euro con, duecento senza» mi ha detto freddamente, con accento bielorusso, una ragazza tatuata che offre servizi in camera oltre alla colazione. Anche in questo caso, mi sono consultato con il mio maestro yogi che mi ha detto: «A volte, al mattino, è bene restare digiuni». Non ho mai avuto un buco allo stomaco più grande.

Come stanno le cose

Credo che per capire esattamente come stanno le cose, occorra osservare attentamente dove stanno le cose; e solo dopo tale verifica scrupolosa si possa azzardare una risposta. Perché le cose non sono tutte come i mobili o i soprammobili ricoperti di polvere, che stanno fermi in una stanza di una casa qualsiasi dove abita la persona che li ha posizionati, poi è morta e i gli eredi che si contendono la casa non possono toccare niente per volontà della persona defunta finché essi non troveranno un accordo - e non lo troveranno perché sono persone avide che credono di sapere come stanno le cose, anche se non lo sapevano, non lo sanno e non lo sapranno mai. 
Piuttosto, se le cose fossero mobili e soprammobili, sarebbero come i mobili e i soprammobili esposti nei saloni espositivi di Ikea: basta andarci tre, quattro volte all'anno per accorgersi di come le cose, che prima credevi in un posto, invece, cambino di posto, addirittura molte spariscano e tocchi domandare al personale di servizio dove possano essere state messe. «Ci dispiace signore: questa cosa è fuori catalogo». Fuori catalogo una cosa? Ma vi sembra questo il modo di trattare le cose? Le producete - e all'inizio sembra che ci siano solo loro al centro del mondo, belle, in vetrina, in promozione; e poi, via, le fate sparire dalla circolazione, ma non per essere messe all'ammasso dove tutti potrebbero beneficiarne e usufruirne; no, ma perché debbano essere dimenticate, seppellite, arrugginite, allontanate dal loro valore d'uso. Piccole, grandi cose perdute, che ci mancate da morire, adesso che sapremmo cosa dire, adesso che sapremmo cosa fare, adesso che...