lunedì 12 ottobre 2020

Locale pubblico

I blog sono piuttosto fuori moda e fuori tempo (massimo, minimo e mediano). Ciò nonostante, i blog sono porti di un mare dove ancora vale la pena attraccare o, meglio, sono locali pubblici davanti ai quali si può sostare anche dalle 21 alle 6.
Dunque, venite qui, giovani, a bere le vostre birre trappiste senza coca da tirar: ho anche una campana verde per il vetro, ove si prega di buttare dentro i vuoti a perdere. Da pantofolaio serale incallito, che non suggerisce certo alcun armiamoci e partite, vi chiedo: ma non vi siete rotti i coglioni di questa situazione?
Discoteche chiuse; feste tra amici non più di tre; non potete neanche star fuori davanti a un bar di sera... insomma, con così tanti divieti, possibile vi basti Tik Tok per placare i vostri ormoni? Ripeto: giammai vi dirò come fabbricare una molotov con i suddetti vuoti a perdere. Banalmente vi dico: aprite un blog e provate a esprimere contenuti fuori dai contenitori social che vi contengono e impongono le cose da pensare, dire, fare, baciare, bruciare. Perché, per quanto non valga niente dirlo, io credo vada detto che se tutto quanto accade adesso fosse accaduto prima degli smartphone e dei social-media, la grancassa televisiva, da sola, non sarebbe stata sufficiente a diffondere tale perdurante mimetismo virale a senso unico. Infatti, i memi dell'epidemia mantengono elevata la loro capacità virale se rimbalzano in teste disposte a rilanciarli con un tweet o un "a cosa stai pensando?" su fb. In altri termini: se il "coso, come si chiama?" si fosse manifestato una dozzina di anni fa, anziché opporre i soli pollici alla politica del governo, sareste divenuti come minimo Black Bloc.



domenica 11 ottobre 2020

La Seggetta dei Destini

 
Roberto Calasso, La tavoletta dei destini, Adelphi, 2020

 
Era una tempesta diversa da tutte quelle che lo avevano inzuppato, come biscotto nel caffellatte. E ormai era abituato ai nubifragi macchiati. Scandinavo il tempo (svedese?). Servivano a zuccherare. Una certa cosa era successa prima del terzo naufragio: si era pisciato addosso. Un'altra dopo il quinto: tre per sei diciotto. Sindbad sentiva il caldo sulla coscia, strana sensazione, prima piacevole, poi umido su umido, senza sollievo. Non solo aveva preso la gotta, ma punti cardinali erano vescovi. Fu la sua penultima osservazione imprecisa. Non poteva dire nulla di ciò che era avvenuto subito dopo, fino al momento in cui gli si era mosso l'intestino sotto una tenda. Un olezzo la scuoteva leggermente. Aveva dormito quanto? Giorni? Anni? Mezz'ora, poi dovette, nell'oscurità, uscire di tenda per non fare una figura di merda, immobile, distesa.

sabato 10 ottobre 2020

Cugini di campagna tutti

Ho una ricetta per cuocere a fuoco lento e una per cuocere a bagno, senza Maria Maddalena; sono convinto, tuttavia, che, se adottate, le misure (non quelle del Sistema Internazionale d'unità di misura) esse sarebbero un toccasana (sempre meglio toccare una sana) ed eviterebbero tante sanificazioni. Ad esempio: la bassa carica, io mi dico: tutti hanno il proprio caricatore, sicché, a meno di non averlo perso o lasciato a casa, basterebbe usarlo per avere una carica sufficiente e tranquillizzante gli standard normativi d'evirologia comparata, anche se gli scaricatori della Maersk non sono tanto d'accordo, quando, dimentichi della mascherina, si mettono in faccia il casco giallo o rosso per la sicurezza: «'a direttò: se ce ne dài anche di verdi, famo i semafori».

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In seconda superiore, il prof d'italiano e storia, il quale fu prodigo per la mia scarsa voglia di studiare, si mise a spiegare le differenze tra il sistema di produzione capitalistico e quello comunista. E fece un esempio: «Se nel capitalismo il valore d'uso è un effetto collaterale del valore, e dunque, anche se la società avesse bisogno di una merce questa non sarebbe prodotta se non garantisse al capitalista di fare profitti, nel comunismo tale merce sarebbe prodotta lo stesso, anche in perdita, ma non sarebbe una perdita, in quanto nel comunismo la produzione non è regolata dalle logiche del valore. Questo "astrattamente", giacché in URSS e nei paesi del socialismo reale, la cosa funziona solo per i bisogni dello Stato - e lo stato non è il popolo, bensì i funzionari di partito che lo guidano, per i quali le necessità da soddisfare, perlomeno quelle che hanno sempre la precedenza, sono quelle militari e poliziesche: "Più cannoni e meno burro" e per cena solo la lisca delle acciughe».
Ah, dimenticavo: il professore aveva una 131 Mirafiori celeste metallizzata.

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Nella Enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco, ai punti 118, 119, 120 parla di «Riproporre la funzione sociale della proprietà». 

E giù applausi da sinistra (e fosse solo quella democristiana).

Ma hai voglia a ripetere che il mondo, il Creato, è di tutti, e che tutti debbono goderne, averne un pezzettino piccolo o grande che sia, e chi ha di più dia a chi ha di meno, e via discorrendo, perché non è giusto e su e su. Prediche inutili, quelle di Sua Santità, la quale si slarga pure a ricordare cosa disse in Sua precedente enciclica:
«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata», 
nella presente aggiungendo, a corollario, che 
«Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società.»
Ma cosa si intende con funzione sociale della proprietà senza dire niente su un fatto molto semplice che, purtroppo, non sarà mai scritto in un'enciclica; ossia: proprietà privata di che? 

Secondo la dottrina cattolica, Dio ha creato il mondo per gli uomini, e la Provvidenza ha assegnato agli uni (pochi) molta proprietà, agli altri (la moltitudine) poco, quasi niente, forse solo l'aria per respirare. Ma se gli uomini seguissero i precetti divini, chi ha di più darebbe a chi ha poco o niente e tutti vivrebbero felici e contenti. Ecco qua il gioco della Creazione: medaglia d'oro al ricco generoso che fa la carità, medaglia d'argento al povero che la riceve. Ultimi i ricchi avari che tengono tutto in serbo. Non classificati, i morti di fame.

Va bene, Papa Francesco: facciamo quest'altro gioco. Siccome tu sei il rappresentante ufficiale di Dio in Terra, facciamo finta (ma mica tanto) che tutto il Creato appartenga alla Chiesa. Che cosa faresti per essere equo, giusto, solidale? Daresti ai fedeli un pezzettino ciascuno in comodato d'uso? E poi, fatta la distribuzione, contenti tutti? Sarebbe questa la funzione sociale della proprietà?

No.

La proprietà acquisisce una funzione sociale soltanto quando si riferisce alla proprietà dei mezzi di produzione. Dato che, questi mezzi di produzione, sono in mano privata (ma anche in mano statale, Cina e Russia comprese), essi avranno una sola funzione o scopo sociale: lo scopo di lucro. L'unico modo che la proprietà privata dei mezzi di produzione ha per farli fruttare è sfruttare il lavoro umano la forza lavoro.
«In questo senso, i comunisti possono riassumere le loro teorie in questa proposta: abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione».
Ma il Papa non è comunista.

Già.


martedì 6 ottobre 2020

Caro Pessoa

Caro Pessoa, cosa aspetti a presentarmi Bernardo Soares affinché mi offra un caffè nel bar della Rua dos Douradores dove egli è solito lasciarsi andare ai suoi "vaneggiamenti"? Sono inquieto e bisogno avrei del suo disincanto per accordarmi alle note del concerto suonato non sotto le stelle - ci sono le nuvole, piove - ma solo nella mente che vaga, appunto, alla ricerca di senso (ma dura poco), per convergere in fretta sulle piccole gratificazioni quotidiane, tipo scrivere, dormire, sognare forse, sognare sì, gli stessi «sogni turgidi» di tutti, sogni in cui si girano film sui desideri che non possiamo soddisfare, come tornare indietro nel tempo, al tempo cui sarebbe stato possibile prendere un biglietto per i mari del Sud, anziché uno scontrino alla cassa per bere un caffè in Rua dos Douradores.
«Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale. Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto».¹
È per questo che la sera, anziché pensare, preferisco giocare a un solitario, ordinando carte stupidamente in fila, come se vivere fosse mettere in fila carte per raggiungere uno scopo. A volte lo risolvo, a volte no. A volte spengo il computer, come ora.

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¹ F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli, 1986 (pag. 97)


lunedì 5 ottobre 2020

Benvenuto il luogo dove

Son due o tre giorni che volevo scrivere qualcosa su, poi mi sono detto che, ho cancellato tutto, non resta che un'impressione, in attesa dell'«esercito in campo», spero in uno di cavolfiori, tanti fanti muniti degli stessi Hammer coi quali proteggevano i luoghi sensibili al terrorismo islamico, avete capito, sì, gli stessi che sostavano vestiti con la mimetica e il mitra spianato per proteggere le nostre radici, le radici: sono quelle parti di una pianta da cui essa trae acqua e sali minerali dal terreno e stabilità sullo stesso, eh, sennò camminerebbero, le piante, e tenterebbero la fuga, per non vivere «in quel luogo dove tutto è melodramma con un po' d'indignazione»: «Eh, ma li hai visti quei ragazzi al campetto a giocare a basket: chiamate la polizia!». Le radici a fittone sono quelle che mi piacciono di più perché ricordano le fittonate, quelle di chi impera, «d'altronde e d'altro canto, a volte essere nemici facilita, piacersi è così inutile», comunque l'ha detto anche Piero Angela che serve l'esercito, però in istrada, lui è più preciso, capisce la volo che il problema è l'asfalto, per questo gli assembramenti agricoli dei braccianti sono additati meno, qualcuno dovrà pure portare sulle nostre tavole ortaggi e frutta. E giù: coprifuoco, scopriacqua, cade un ponte, neanche al fronte, ma io, sebbene non predichi male (non amo le prediche), razzolo bene (per quanto riesco e posso io indosso quello che occorre indossare là dove è doveroso farlo): epperò, dato che persino ai tempi dell'AIDS i media analogici mi fottevano l'ansia addosso (oddio, quando mi dissero che ero stato con una che, un semestre dopo, fu ricoverata in una comunità per droga, mi lavai l'uccello con l'acqua ossigenata per una settimana), questa volta, per quanto riesco, rifuggo i media digitali e la loro presa a morsa dell'argomento che da mesi contribuisce molto ai loro introiti pubblicitari, mantenendo un clima di panico diffuso, di sospetto, di tensione sociale deviata (e controllata).

Nondimeno: massima precauzione, non abbassare la guardia



venerdì 2 ottobre 2020

Virgolette doppie

 

«Se dietro il tuo avvelenamento (?) ci fosse stato Putin, saresti morto e non avresti avuto alcuna versione dei fatti».

mercoledì 30 settembre 2020

La conoscenza

Quando ti vidi non me lo ricordo l'effetto che mi fece vederti; provo a pensarci, a pensarci, ma più ci penso e più mi sfugge come la tua immagine entrò dentro i miei occhi, come la subirono, e s'imprimé sulla retina e come il cervello ti capovolse in quelle frazioni di secondo decisive che trasformano il caso in una necessità. So che mi tenesti tra le braccia ma io non ricordo affatto come furono le tue braccia in quel momento particolare in cui c'è solo una persona cosciente e l'altra no, che stava lì sospesa senza capire ragioni ed emozioni, muovendo a volte le labbra al riso o gli occhi al pianto e cercando di non perdere il contatto con gli occhi che erano l'unico modo per capire che cosa stava accadendo. Ero vivo, e non lo sapevo. Ero vivo, e perché io ero vivo non lo so nemmeno ora. Non mi fu chiesto nient'altro che essere adattandomi agli sguardi che intorno mi dicevano chi ero, dove fossi, che cosa dovevo o non dovevo fare, come muovere le mani per farti sorridere. 

C'era un lago davanti a noi. Era sera. Un piccolo lago artificiale di proprietà privata. «Due parole di merda», dicesti accarezzandomi un ginocchio. Non si poteva fare, solo attendere che il buio vincesse la strenua resistenza del crepuscolo. Passò una donna, sembrava mia sorella se avessi avuto una sorella, e bussò al finestrino dell'auto verde ramarro dove eravamo seduti noi... 
[continua forse]

domenica 27 settembre 2020

Alle Murate!

La realtà si fa sempre più pesante, tanto che commentarla affatica solo al pensiero, come caricarsi due ballini di cemento sulle spalle senza avere il fisico da muratore.
Sarebbe bello murarla viva, la realtà, e poi lasciare un messaggio preciso alla prossima generazione su dove trovarla, perché se ne spaventino e si offendano di aver avuto avi così stupidi e rincoglioniti da consentirla - con la speranza non fondata che, murata viva, la realtà così come appare, non si presenti come realtà futura, capace di insinuarsi nelle ninnenanne dei piccoli virgulti per persuaderli che il mondo deve essere questo e non un altro, un mondo incantato, incatenato, incastrato e ancora poco incazzato.

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Povero Tridico! A lui darei la scorta, se non ce l'avesse, altro che a quel carciofo lesso di Gilet. Per un incarico così importante centocinquantamila euro annue non sono granché, se - in paragone - un direttore di una azienda pubblica della Regione Sicilia piglia tre volte tanto. Ma detto ciò: come mai - capro per capro, agnello per agnello - non si seleziona mai un John Elkann?

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E la vita, la vita, e la vita l'è bela, l'è bela, basta avere l'ombrela che ripara la testa, sembra un giorno di festa.

sabato 26 settembre 2020

Bollettino

Bollettino: s.m. È un fine strato di acquasapone e numeri che forma una sfera dalla superficie iridescente. I bollettini spesso rimangono in formazione sferica solo per pochi secondi poi, o scoppiano da sé o dopo il contatto con altri oggetti in grado di assorbire il liquido che li circonda. In genere li si usa come passatempo per i bambini ma il loro sfruttamento in esibizioni politiche e mediatiche professionali dimostra la loro capacità di affascinare anche gli adulti. I bollettini possono aiutarci inoltre a risolvere complessi problemi politici riguardanti lo spazio economico e sociale poiché rappresentano sempre la più piccola area di superficie tesa tra due punti o due confini dentro la quale si racchiude la coscienza popolare esistente.



venerdì 25 settembre 2020

Le leggi generali della memoria

«I ricordi d'amore non fanno eccezione rispetto alle leggi generali della memoria, a loro volta regolate dalle più generali leggi dell'abitudine. Poiché questa affievolisce tutto, quel che più ci ricorda una persona è proprio ciò che avevamo dimenticato (parendoci insignificante, gli abbiamo lasciato intatta la sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, in un soffio piovoso, nell'odore di chiuso d'una stanza o nell'odore d'una prima fiammata, ovunque ritroviamo quanto di noi stessi la nostra intelligenza, incapace di servirsene, aveva disprezzato, l'estrema riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lacrime sembrano disseccate, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? Per essere più precisi, dentro di noi, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, immersa in un oblio più o meno prolungato. Solo grazie a questo oblio possiamo, di tanto in tanto, ritrovare l'essere che siamo stati, metterci di fronte alle cose nella stessa posizione in cui era quell'essere, soffrire di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e lui amava quello che oggi ci è indifferente. Alla luce piena della memoria abituale, le immagini del passato vanno a poco a poco sbiadendo, dileguano, non ne resta più nulla, non le ritroveremo più. O, meglio, non le ritroveremmo più se qualche parola [...] non fosse rimasta accuratamente custodita nell'oblio, così come si deposita alla Bibliothèque Nationale un esemplare d'un libro che, altrimenti, rischierebbe di diventare introvabile».

Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, traduzione di Giovanni Raboni.

Nel cuore della notte - ma perché "cuore" e non "intestino"? - prendere Proust, a caso, trovare un brano siffatto, leggerlo mentre fuori imperversa (imperversa?) la bufera, è una rassicurazione contro l'inquietudine che impone d'alzarsi dal letto perché insonne. E il cuore (o l'intestino?) della notte si placa, riprende un ritmo regolare, le palpebre chiedono nuovamente di essere abbassate non prima di aver spento la luce e di essersi rannicchiati a pancia in giù.

sabato 19 settembre 2020

Storia di un'antipatia

 Sapevo fin dal primo, no: dal secondo giorno che il terzo mi sarei annoiato e che il quarto l'avrei mandata afffanculo, anche se il quinto presi un permesso e lei non poté replicare. Passarono un sabato e poi una domenica e il lunedì lei mi aspettava al tavolo delle firme con una penna in mano, la sua. Le chiesi se me la prestava e lei mi rispose di no. «E con cosa firmo?», aggiunsi. «Col cazzo», replicò. Misi la mano sinistra nella tasca dei pantaloni, verificai le condizioni dello implausibile sostituto e dovetti battere in ritirata per non trasformare una sconfitta in una catastrofe.

Ci stavamo antipatici a vicenda. Al carattere non si comanda. In verità lei voleva comandare al mio carattere e il mio carattere non voleva ricevere ordini da lei. Io non amo né dare né ricevere ordini. Preferisco i disordini, tranne sui tavoli, ché mi piacciono coi piani liberi a sufficienza per battere i pugni e sfogare lo stress o colpire le sfortunate mosche che capitano a tiro.
Un giorno detti un colpo a mano aperta così forte che lei fece un sobbalzo, ma si limitò a dire «Ma sei scemo?» e io risposi «Forse».
Se prima non mi guardava per niente, da allora cominciò a guardarmi male. Certe occhiatacce mi lanciava che bucavano. «Mi vuoi esangue?», chiesi. «No, ti voglio fuori dalle palle», sentenziò.

giovedì 17 settembre 2020

Protocollo rondine

Stormo di rondini di passaggio, che avete deciso una sosta sospesa sopra il mio cielo, mangiando plancton volatile che si credeva libero dalle predazioni delle sorelle vostre che vi hanno preceduto e che, da alcune settimane, hanno lasciato i nidi delle tettoie dei paraggi, grazie di essere passate di qua e, se non vi incomoda, restate pure qualche giorno prima di riprendere il viaggio verso la probabile meta africana dove svernerete. Fateci compagnia coi vostri saliscendi bianchi e neri che sfiorano i fili della luce e gli aghi dei pini assetati, coi garriti coi quali raccontate le regole del volo, liberandoci sicuramente da qualche zanzara o moscerino che si aggiungono al fastidio di questa afa insolita, di questo vento del Sahara occidentale, di questa sensazione di impotenza di fronte ai protocolli decisi in una stanza da teste che magari fossero di cazzo, almeno avrebbero in mente qualche volta di godere, non solo pisciare norme costringenti, aggiungere paure inutili, dare fiato a uomini e donne che si credono politici in grado di gestire nazioni e intanto vanno in giro a fare della storia una parentesi sospesa tra la rassegnazione e la voglia di rovesciare il tavolo.

- Con le ruote? - ridono le rondini e ci lasciano quaggiù.

domenica 13 settembre 2020

Svanire a Firenze

Svanire, venire meno al compito
di stare alla mercé del gioco
che Kavafis ha chiamato balordo.

Al mercato, in piazza de’ Ciompi,
mangiare un panino a scrocco
lentamente, ogni morso un ricordo.

Sorridevi - e io pure camminando
con te a braccetto per Borgo la Croce:
come due che sembravano stranieri

al trascorrere del tempo, quando
era normale dirsi ti amo sottovoce.
Eravamo quasi belli, forse sinceri.

Svanire, venire meno, è il senso della
vita che nel tempo si consuma:
l'amore resta addosso come la schiuma

delle onde. Dal quadro la gioia si cancella
e ricomporne i tratti non è dato neppure
all'Opificio delle Pietre Dure.

giovedì 10 settembre 2020

Ollellé ollallà

 


Probabilmente anch'io sarei fiero se avessi qualcosa che nessuno ha mai avuto prima, soprattutto se lungo, grosso, potente, da paura. Tuttavia, tale fierezza, si trasformerebbe ben presto in imbarazzo se il misterioso missile fossi costretto a dire soltanto che ce l'ho, senza mostrarlo per paura che me lo vedano e scoprano com'è fatto, vuoi per replicarlo, vuoi per ridere o piangere un po'.

mercoledì 9 settembre 2020

Salta la fossa

Dopo aver letto Il fossato di Olympe de Gouges, mi sono chiesto: se - ipotesi assurda - tutti i giorni fosse riportato, a caratteri cubitali, nei principali mezzi di informazione e comunicazione, il bollettino di Forbes dei Quattrocento più ricchi del mondo (contagiato più, contagiato meno), a livello di psicologia delle masse, che cosa potrebbe accadere?

Mi rispondono i keynesiani: te scava una buca (un fossato), riempila e spera nelle riforme (intanto vai a votare, per esempio).
Mi rispondono i neoliberisti: te lavora fino a ottant'anni, indebitati più che puoi e spera nel merito.
Mi rispondono i pikettiani: te tassa la ricchezza e i patrimoni, per esempio: l'hai pagato il bollo?
Mi rispondono... basta: si potrebbe continuare per ogni corrente di pensiero economico.

Ma intanto? Speriamo che qualche serie tv indichi la strada.