giovedì 27 settembre 2012

Gliela darei io l'arte contemporanea.

Franz West, Lips, 2012  [più che labbra, sembrano o no stronzi ritti?]
«Diffido di un'arte facilmente accessibile e leggibile, magari anche troppo estetizzante. Una vera creazione la si decifra con una certa fatica, e può anche suscitare un'attrazione-repulsione al primo impatto».
Monsieur François Pinault spiega, dalle pagine di Sette del Corriere della Sera, cosa sia l'arte contemporanea.
Se potessi averlo a tiro, gli lancerei contro la mia copia de Il rosso e il nero, della collana NUE, Einaudi, sperando di colpirlo, con la costola del volume, dritto in fronte. Spam!
Così, giusto per svegliarlo, per rammentargli chi era Julien Sorel e perché aveva così tanto valore come precettore agli occhi dei due ricchi borghesi (M. de Rênal e M. Valenod) bellamente presi per il culo dalla plume di Stendhal.
Non dico niente di mio, seguo semplicemente la lettura insuperata di René Girard:
«Nella doppia mediazione, la metamorfosi dell'oggetto è comune ai due partecipanti. Vi si può scorgere il frutto di una strana collaborazione negativa. I borghesi non hanno certo bisogno di “ripetersi” le prove; le contemplano ogni giorno negli sguardi sprezzanti o invidiosi dei loro simili. Si può trascurare l'opinione di un vicino benevolo; non si può mettere in dubbio l'involontaria confessione di un rivale».  Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1961, pag 89.
Il valore dell'arte “contemporanea” non ha niente a che vedere con la bravura o meno dell'artista. Gli artefici della sua carriera, i capitalisti, se ne sbattono di sapere se egli è un genio oppure no, dato che sono loro, con i loro soldi, a determinare il valore della sua produzione (pardon: creazione). 
Tuttavia, ho stima per gli artisti contemporanei di successo perché, bravura o non bravura a parte, riescono a prendere per i fondelli alla grande questi maialoni di capitalisti del cazzo, che col loro lerciume di sopravanzo, comprano merda liofilizzata, caccole fritte, cerume stilizzato, peli pubici elettrizzati, forfora spennellata, unghie mangiucchiate, pellicine sputacchiate, scaracchi di fumatore e piscia surgelata. Tutto purché, ripeto, sia materiale conteso da un altro capitalista rivale. 
I rilanci d'asta, in fondo, insegnano questo: l'importante è strappare un “tesoro” al proprio rivale, soprattutto quando, per ottenerlo, si dà modo di mostrare al beau monde la propria potenza di fuoco.

8 commenti:

Irene Qohèlet Angelino ha detto...

un po' schifato Lucariè?

Luca Massaro ha detto...

I proprietari di Palazzo Grassi mi stanno storicamente sul cazzo.

Olympe de Gouges ha detto...

I rillanci d'asta, in fondo, insegnano questo: l'importante è strappare un tesoro al proprio rivale, soprattutto quando, per ottenerlo, si dà modo di mostrare al beau monde la propria potenza di fuoco.

avrei messi "tesoro" tra virgolette, per il resto è perfetto

Luca Massaro ha detto...

Grazie Olympe. Accolgo il rilievo e modifico.

Minerva ha detto...

Felice di occuparmi di antropologia dell'arte, così da sposare pienamente da sempre le tue parole. Buona giornata.

melusina ha detto...

Guarda, lasciamo perdere Pinaud, palazzo Grassi e pure la biennale d'architettura di Venezia con annessi e connessi seminati dissennatamente nei campi e sulle rive. Più rabbia che tristezza.

bag ha detto...

lo dice anche damien hirst

Luca Massaro ha detto...

@ Minerva
Grazie

@Melusina
Già

@Alex
ah sì? non sapevo.