venerdì 22 settembre 2017

Preservare assenze

L'andamento altalenante di questi giorni è dovuto - ma che lo dico a fare a che cosa è dovuto, la privatezza fa parte del gioco, almeno un po', ma non tanto, da rischiare di essere stucchevoli, il blog richiede necessariamente un darsi pubblico, una dose minima, giusto per conservare quel non so che di enigmaticità che dà luogo a una variabile di significati e per fornire alibi allo scrivente, il quale potrà difendersi e dire: «No, io non intendevo questo, bensì quest'altro. Che cosa? Indovina».

La stanchezza, soprattutto, è responsabile, quella che, quando assale, spegne i pensieri sul nascere, i neuroni allentano la tensione, i consumi cerebrali si riducono al minimo, stand-by, è il momento di lasciarsi cullare dalla mano del sonno, che io immagino odisseicamente essere di sirena (tanto sono ben legato al legno del letto).

Sento un canto senza voce: 4'33". Applausi con una mano sola. Alle pareti dei chiodi senza croce. Al collo una collana di poesie che sgrano, come un rosario. Misteri gaudenti.

The Guardian

The sun setting. The lawns on fire.
The lost day, the lost light.
Why do I love what fades?

You who left, who were leaving,
what dark rooms do you inhabit?
Guardian of my death,

preserve my absence. I am alive.

Guardiana

Il sole che cala. I tappeti erbosi in fiamme.
Il giorno perso, la luce persa.
Perché amo quel che svanisce?

Tu che te ne sei andata, che te ne stavi andando,
che stanze di tenebra abiti?
Guardiana della mia morte,

preserva la mia assenza. Sono vivo.

Mark Strand, Darker, 1970 (traduzione di Damiano Abeni)

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