lunedì 23 ottobre 2017

Bisogna camminare coi tempi

«Era stata, quella volta, una riunione divertentissima; molti degli intervenuti avevano meno di trenta o al massimo trentacinque anni, ma erano già conosciuti, e notati dalla stampa; non soltanto austriaci, ma gente di tutto il mondo, attirata dalla voce che in Cacania una donna dell'alta società stava aprendo una strada allo spirito attraverso l'orbe. […]
Di quali parole straordinarie si servivano! Esigevano temperamento intellettuale. La categoria del ragionamento rapido, che afferra il mondo alla gola. Il cervello ipersensibile dell'uomo cosmico. Che altri verbi avevano proclamato?
Il ridimensionamento dell'uomo sulla base di un piano di lavoro mondiale all'americana, attraverso il mezzo fisico della forza meccanizzata.
Il lirismo, congiunto alla penetrante drammaticità della vita.
Il tecnicismo: uno spirito degno dell'età della macchina. […]
Predicavano l'accelerismo, cioè l'accrescimento massimo della velocità delle esperienze, sulla base della biomeccanica sportiva e della precisione acrobatica.
Il rinnovamento fotogenico per mezzo del film.
Poi uno aveva detto che l'uomo era un misterioso spazio interiore, sicché bisognava dargli un rapporto col cosmo mediante il cono, la sfera, il cilindro. Ma fu affermato anche il contrario, cioè che tale concetto individualistico dell'arte era superato, e che bisognava ispirare all'uomo dell'avvenire un nuovo senso della casa costruendo edifici popolari e villaggi. E mentre si era formato così un partito individualistico e uno sociale, un terzo sostenne che solo gli artisti religiosi sono sociali nel vero significato della parola. Un gruppo di nuovi architetti rivendicò poi per sé il comando perché lo scopo dell'architettura era appunto la religione; con influsso concomitante anche sull'amor di patria e la fedeltà alla terra. Il gruppo religioso, rinforzato da quello cubico, replicò che l'arte non era una questione dipendente bensì una questione centrale, l'adempimento di leggi cosmiche; ma nel seguito della discussione il gruppo religioso fu poi nuovamente abbandonato da quello cubico, il quale finì per allearsi con gli architetti nel sostenere la tesi che il rapporto col cosmo era meglio ottenuto mediante le forme spaziali, che rendono valido e tipico l'elemento individuale. Fu enunciata la proposizione che bisognava proiettarsi nell'anima umana per poi fissarla nelle tre dimensioni. Qualcuno, in tono energico e battagliero, chiese se erano più importanti diecimila persone affamate o un'opera d'arte. In realtà, poiché erano quasi tutti artisti d'una specie o dell'altra, erano unanimemente persuasi che la guarigione spirituale dell'uomo si deve cercare soltanto nell'arte, solo che non erano riusciti a mettersi d'accordo sulla natura di questa guarigione e sulle esigenze da porre in suo nome all'Azione Parallela. Ecco che a questo punto il gruppo originario sociale riprese il sopravvento e fece udire nuove voci. Il quesito, se fosse più importante un'opera d'arte o la miseria di diecimila affamati, si trasformò in quest'altro: se diecimila opere d'arte compensavano la miseria di uno solo. Artisti poderosi dichiararono che non è lecito all'artista darsi tanta importanza; basta con l'autoincensamento, essi proclamavano, l'artista sia affamato e sociale! Qualcuno disse che la vita era l'unica e la massima opera d'arte. Una voce energica interruppe: Non è l'arte che unisce, bensì la fame! Una voce conciliante ricordò che il mezzo migliore contro l'esagerata opinione di sé era una salubre attività artigiana. E dopo quel tentativo di compromesso qualcuno approfittò del silenzio causato dalla stanchezza o dal disgusto reciproco per chiedere di nuovo placidamente se credevano sul serio di poter concludere qualcosa prima che fosse ristabilito il contatto tra l'uomo e lo spazio. Fu il segnale per la ricomparsa tumultuosa del tecnicismo, dell'accelerismo e di tutto il resto, e il dibattito si prolungò senza decisioni. Alla fine però si misero d'accordo, perché bisognava andare a casa e venire a qualche risultato; perciò tutti consentirono in una conclusione all'incirca così formulata: il tempo attuale è tempo d'attesa, impaziente, indisciplinato, infelice; il Messia che s'invoca e si aspetta non è tuttavia ancora in vista».


Robert Musil, L'uomo senza qualità, traduzione di Anita Rho, Vol. I, Einaudi, Torino 1957

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