domenica 11 agosto 2019

Norberto


«Come sono messo male, come sono messo male, ma così male che, in realtà, non so proprio bene come sono messo, se il male in cui penso di essere messo sia veramente male, oppure sia un male minore, di quelli che bastano poche ore, per cui subito ci si accorge che non tutto il male viene per nuocere, anche se molto viene per cuocere e io mi sto cuocendo, come un prosciutto a vapore, stesso colore la mia faccia allo specchio, se potessi mi affetterei una guancia per comprendere se sono cotto a puntino e tu possa mettermi a stretto a un panino, assieme a una sottiletta, anche se meglio sarebbe potessi appoggiare la mia guancia sulla tua tetta sottile per addormentarmi in santa pace, affinché tutto passi e finisca presto nel migliore dei modi e nel migliore dei mondi possibili e passibili di denuncia.»

A questo pensava, Norberto, il giorno in cui gli diagnosticarono il beneficio dell'inventario. Lì per lì, quando glielo dissero, si scosse, come un cavallo del palio e prese a correre, cioè a pensare più veloce, ma così veloce che si fece varie sequenze mentali, tutte percorribili come le piste ciclabili della Valpadana, piene di zanzare pigre di volare veloce come chi pedala, e lui pensò appunto a varie cose, variabili annesse, e più pensava, più si sentiva messo male e più cadeva nella fallacia della brutta china martini, anche calda non gli era mai piaciuta. Tutto gli sembrava andasse a rotoli, tranne la carta igienica che finiva sempre senza avere un rotolo di scorta. «Cara mi passeresti la carta» e lei gli portava un quaderno a quadretti, con la copertina rigida e una biro verde a indicare la pagina dove aveva scritto l'ultima poesia d'amore Cara la mia carta.

Fu un brutto periodo. Parlava spesso nel vuoto per riconoscersi, come in uno specchio. Di notte, quando c'era la mezzaluna, si disponeva sul selciato come aglio, prezzemolo e peperoncino, e si faceva trituzzare dai passanti che non badavano a lui, d'altronde non erano tutti badanti e anche quelle che lo erano avevano da poco finito il turno, figurati se avevano voglia di mettersi a badare le inconsistenze altrui, perdipiù gratis. E lui, dopo, tornava a casa malconcio ma pronto per soffriggersi davanti a uno schermo a caso, dipendeva dalla quantità di autonomia operaia che gli era rimasta ancora in corpo, poca, quindi la tv prevaleva, conciliava più il sono, e lui aveva tanto bisogno di multarsi. Di solito sceglieva sceneggiati americani nei quali i protagonisti solevano sorseggiare ettolitri di scotch whiskey a stomaco vuoto e fumare una sigaretta dietro l'altra (e mai che si lavassero i denti prima di pomiciare), e di entrambe le cose non si capiva la marca, forse perché il bere non era whiskey, bensì tè freddo e il fumare della semplice erba spinella di contrabbando; inoltre, la regia nascondeva il nome dei prodotti per impedire che qualche telespettatore pignolo facesse causa alla produzione per gli effetti del fumo e dell'alcol passivo passanti attraverso lo schermo, vatti a fidare del pubblico che, in preda al desiderio mimetico, diventa alcolizzato e fumatore cronico per imitare le gesta dei protagonisti. Ma non sarebbe stato il caso di Norberto. Prima di tutto, lui amava l'orzo dopo cena. E poi, più che bere e fumare, se imitarli fosse stato inevitabile, più volentieri avrebbe replicato la promiscuità - ma la moglie, la gatta e una zia sull'ottantina sopivano immediatamente ogni tentativo di replica.

Norberto, che in vita sua aveva accumulato una certa saggezza, si mise a scrivere saggi. Ma di questo parleremo, se la voglia tornerà.

Nessun commento: