Le cose come stanno, stanno. E non c'è verso di farle stare diversamente, nonostante si scopra, piuttosto velocemente, che le cose potrebbero stare diversamente, ma non si sa da che parte cominciare.
Basta guardare il mondo e poi chiudersi in sé, dimenticare tutto, tutto, salvo il proprio personalissimo precipizio. La caduta degli dèi più in piccolo: la caduta di io, caro Luchino. O anche: La caduta nel tempo, caro Emilio Cioran, tanto il tempo dura poco, giusto il tempo necessario per la «chiaroveggenza della [propria] insignificanza», compreso l'insignificante pessimo cosmico borghese, più o meno raffinato, più o meno espresso da stanze confortevoli o nella miseria dignitosa del proprio appartamento parigino, blaterando sentenze acute su storia e utopia, e certificando la naturalezza di un sistema e il suo inimmaginabile superamento. Perché l'uomo è un caduto, condannato, un primaticcio della sfiga.
E io sono colpevole, come tutta la mia generazione lo è, perché non ho fatto niente, non farò niente, non tirerò alcuna bomba a mano, non proverò a prendere le armi contro il flusso costante di stronzi al potere, non griderò in alcuna piazza che le cose come stanno fanno schifo, tutto concentrato sul mio apparato digerente come sono, coi sensi obnubilati dalle cose come stanno, tutte - ed è inutile mi consoli con il pensiero di fare il cammino di Santiago appena avrò la pensione da fame che mi daranno, di fare penitenza, di guidare la macchina della misericordia per portare le persone anziane a fare esami all'ospedale, o adottare un druido a distanza, tramite il mio abbonamento al Cielo.
«...Ma la cecità non è così [...] La cecità dicono sia tutta nera, Invece, io vedo tutto bianco...»¹
E non sarà più quello della Democrazia Cristiana.
Amintoreee...
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¹ José Saramago, Cecità.