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mercoledì 20 settembre 2023

Esercizi

Tenere fermo il pensiero su un’entità o un oggetto senza divagare, senza far rimbalzare pensieri su altre entità o altri oggetti, non è facile, ma è un esercizio che conviene sperimentare per addomesticare la mente al pensiero puro, scevro di condizionamenti di natura altra dal pensare.
Bastano pochi minuti, poco rumore, una zona in penombra, gli occhi chiusi e, individuati l’entità o l’oggetto, il pensare si accende e parte per descriverne qualità e proprietà fino a esaurimento; dopodiché opera una sintesi concettuale che racchiude il tutto della cosa pensata.

Stamani ho provato con l’Italia: povera patria.

giovedì 7 maggio 2020

Tutto l'universo

Tutto sta andando per il peggio e la serie di avversità è tale che avvilisce. Si vorrebbe solo tirare il fiato, stare un attimo in disparte, da spettatori e osservare: non se ne ha il tempo perché, come ci si prova, la parete del muro presso il quale si pensava di trovare sostegno diventa acuminata, oppure crolla e si precipita.
E si subisce - a volte in silenzio, a volte imprecando, spesso da soli, in auto o davanti allo specchio, raramente in presenza di altre persone e cercando di mantenere un eloquio vibrante che non sconfini troppo nel turpiloquio - e si percepisce il peso peggiore, assurdo della vita e senza avere un grammo della pazienza di Sisifo.
Capita pure di pregare, ripetendo a mezza voce tutto il breviario minimo di preghiere che ancora l'insieme di neuroni mantiene in catalogo. Pregare serve a mantenere la calma, la pazienza, a soffocare la rabbia pronta a esplodere per far uscire la parte peggiore di sé. 
E ci si chiude in sé, forse per la vergogna di non avere una capacità risolutoria immediata, per non farsi vedere troppo impantanati nelle sabbie mobili della vita e bisognosi di soccorso o, forse, molto più semplicemente, perché non si ha voglia di sentirsi ripetere il mantra che ci sono cose peggiori nella vita, oppure non siete i soli a cui è successa una cosa del genere. 
Essere compatiti è spiacevole: è come sentirsi affettati dentro due fette di pane e presi a morsi, strappati dai denti dei discorsi del cazzo. Come fuggirne? Dove trovare rifugio? Ascoltiamo un maestro, Michela, ascoltiamo un maestro.

giovedì 29 agosto 2019

Ministro dell'esterno


Se Battiato, come titolo del prossimo disco, avesse usato la terza persona plurale del verbo tornare (modo indicativo, tempo futuro), sarebbe stato assai appropriato che, per celia e per amore della Povera patria, avesse modificato il titolo di una celebre canzone in L'era del cinghiale verde.
Infatti, il cinghialone si presenterà il giorno dopo.


«Tutti in piazza nella capitale il 19 ottobre per una giornata di orgoglio italiano, me lo chiedete in migliaia, bisogna farsi sentire contro il furto di democrazia».

Una domanda e una considerazione sulla dichiarazione salviniana:

1) Per quale motivo il leader leghista ha scelto di procrastinare la data della protesta « contro il furto della democrazia»? Per dar modo al nuovo governo di cambiare il decreto sicurezza, sì che i suoi sostenitori non rischino di prendere, a norma di legge, qualche manganellata celerina sul groppone?
2) Com'era prevedibile, un minuto dopo l'accordo tra M5S e PD, Salvini ha iniziato a gridare al «furto di democrazia»[*]. Personalmente, non ravvedo gli estremi di un furto, ma se così fosse - secondo me - a essere puniti per primi non dovrebbero essere i "ladri" bensì chi ha istigato al furto, giacché non si lascia la democrazia con il finestrino aperto e le chiavi inserite per andare a fare il dj sulla spiaggia; infatti, «durante la sosta e la fermata il conducente deve adottare tutte le opportune cautele atte a evitare incidenti, furti e a impedire l’uso del veicolo senza il suo consenso»

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Sul prossimo governo - ammesso che Jean-Jacques ne conceda il varo - aspetto a pronunciarmi. Sono curioso di vedere quante belle cose di sinistra faranno, foss'anche solo da sinistra Dc.

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[*] Non vorrei essere nei panni dei ricettatori.

martedì 15 maggio 2018

Poggibonsi liberata


Non so più che strada prendere, allora non la prendo, così non cammino e resto fermo sul da farsi, aspettando un refolo e temendo un tegolo, giacché con questo vento è rischioso stare a un angolo della strada, come una bisettrice.

- Mi scusi, per via della Catastrofe?
- Sempre dritto, dove si alzano la polvere e gli spari.

Gerusalemme! Gerusalemme!

La conoscete voi una città che ha rotto più i coglioni - e fatto più morti - nella Storia?

Pensa che disgrazia nascere in un luogo in cui ti ficcano in testa fin da piccolo la storia della santità di Gerusalemme e non aver modo, possibilità, fortuna di sottrarvisi, di campare con altro e di altro.

Se è così preziosa, così sacra, così Santa perché non ne fanno due, perché non la desacralizzano, come di fatto è già, essendo divenuta un luogo molto turistico.
Ma perché il Dio Dappertutto è costretto (ristretto) in un luogo?

Premessa tardiva: nella lotta (nella partita?) tra israeliani e palestinesi io preferisco i primi. E però, considerandoli più capaci, aperti di mente, più secolarizzati, eccetera, mi aspetterei anche che fossero più ragionevoli e che non per questo smettano di difendersi, ma non di allargarsi (vedi questione territori), non di fissarsi su simboli del cazzo, che si va be' la storia, la storia dice che, e vaffanculo alla storia, che cazzo cambiava se continuavano a mantenere Tel Aviv capitale? Niente. Politicanti del cazzo.

I monoteismi configgono in un unico punto, testardi come muli, ma purtroppo non sterili.

Gerusalemme: più che essere figlia di Dio, è città figlia di troia. E se ci fosse adesso un re saggio come Salomone, per far smettere i due litiganti, credo che opterebbe per tagliarla in due.

In tre, va. Ci sono anche i cristiani porc...

martedì 24 aprile 2018

It's five o'clock

Ebbi un motivo di preoccupazione; lo fischiettai, intonato, accompagnato dagli zirli di alcuni tordi sopravvenuti intorno casa, e lo feci sparire, nell'aere, similmente agli steli del tarassaco che s'involano soffiati dal vento, impavidi e speranzosi di attecchire là dove si posano, leggeri, mordidi, a vellutare l'irsuto prato o la spinosa sterpaglia. E, finalmente, il motivo di preoccupazione sparì d'incanto e per questo mi misi a cantare It's five o'clock nella versione di Battiato, più consona alla mio timido sottovoce, terribilmente stonato. Eppure seppi che lei, in in quel preciso istante, mi stava pensando e io moltiplicai i miei pensieri senza concentrarli nella sola direzione della nostalgia del tempo perduto, non sarebbe servito, non sarei avanzato, non avrei ottenuto alcuna promozione nel campo della vita che scorre, prova a fermarla se ci riesci. E, dunque, mi risolvetti a credere che, oltre pensarmi, lei mi stesse ascoltando; e per questo continuai a cantare con gli occhi velati di quelle lacrime che sono della gioia il simulacro. Sono questi i momenti in cui l'emisfero deputato alle emozioni si incarica di far scorrere su e giù lungo il nostro corpo stupefatto, rappreso, semi anestetizzato, frammenti di felicità. E si osa credere alla vita. O meglio: a credere che da tutta la serie di puntini che compongono la vita stessa qualcosa di sensato apparirà, foss'anche lo stesso sorriso che ci faceva da specchio, come neuroni moltiplicati e condivisi che davano senso alla parola amore.

mercoledì 25 giugno 2014

Vita in transito

– La vita è difficile
– Spiegati.
– La vita non è facile.
– Ho capito.
– Ma dimmi: se, viceversa, avessi detto “La vita è facile”, tu mi avresti chiesto di spiegare?
Può darsi, diciamo che, in genere, si capisce meglio la facilità piuttosto che la difficoltà. La difficoltà del vivere ha più contenuto narrativo del vivere facilmente. Pensa, per esempio, a John Elkann.
Ci ho pensato.
E non hai ancora vomitato?
No. So che farlo libera, ma nel farlo non si sta tanto bene. Quindi: non ci penso all'Elkann. Penso alla vita che scorre e che assomiglia a un fiume, a volte in piena, a volte in secca a volte normale, come sono normali i fiumi da cartolina che stanno comodi dentro i loro argini, mòvendo le imbarcazioni la dove si può navigare e/o attraversare da una riva all'altra, dove si incontrano Caronti e che ci imbarcano senza minacce di portarci chissà dove.
Uhm, similitudine un po' deboluccia quella del fiume, non credi? Tra le tante disponibili, io avrei usato un altro elemento geografico al posto del fiume.
E quale? La montagna, la collina, la pianura, il lago, il mare?
A un vulcano, ecco. La vita è un vulcano a volte attivo, a volte no. La vita erutta, fuma, ribolle. Poi si spegne, come tanti vulcani spenti. Ci sono fasi della vita in cui ti senti esplodere, altre invece in cui ti senti tappato dappertutto, solo dalle nari esce un po' di rabbia contenuta.
Uhm, la tua similitudine potrà essere più suggestiva, concedo, ma non mi sembra divergere in sostanza da quella vita-fiume che ho testé proposto.
Sì, hai ragione. È che tutte queste similitudini per riuscire a restituire un'immagine adeguata della vita hanno stancato.
È il pensiero che vuole coglierla che ha stancato, forse.
Vivere senza pensare è come vivere senza cogliere i famosi frutti. E mangiarli.
Una volta mangiati vanno digeriti, eccetera.
– È un bel periodo di transito, in tutti i sensi.

mercoledì 9 aprile 2014

Tutto l'universo obbedisce all'intestino

Ci sono giorni in cui uno si sofferma, vagamente, sull'idea che si era fatto di se stesso, si guarda, si valuta, si considera - spesso giustifica - soppesa gli eventi, le costrizioni, i proponimenti, gli sforzi vani o proficui di mettere in atto una volontà tesa alla realizzazione dei propri desideri, delle proprie ambizioni (agnizioni). Si sommano le cause perse, si sottraggono le possibilità inesplorate per accidia, si moltiplicano le scuse, si dividono le colpe, ma il problema della propria esistenza rimane irrisolto.

Sono quello che volevo che fossi quando mi guardavo in prospettiva? Sono più o meno, meglio o peggio di quanto pensassi? L'età che ho corrisponde all'idea di questa età che avevo quando avevo venti, trenta anni di meno? E se guardo avanti, adesso che si fa sempre più stretto l'orizzonte, oso pensare a quello che sarò quando avrò, se li avrò, venti, trenta anni in più di quanti ne abbia ora?

Io come mi sento, come posso onestamente rispondere alla domanda: «Coma va, Luca, come va?».

Sarà questo stomaco che mi ribolle dopocena in un fastidioso meteorismo, sarà la stasi, la fissità, l'impossibilità di trattenere godimenti più di quanto avessi in animo di fare, ma è un periodo che se dovessi rispondere: «Va bene», mentirei, perché non va bene proprio, no.

Non che stia male, ma sono stato meglio. Non che disperi, ma speravo di più.

Conta molto, forse, l'idea che avevo di politica, di lavoro, di amicizia, di amore (ah, l'amore: quasi quasi preferisco il meteorismo), idee che si sono trasformate e/o rimodellate nel tempo - ma questo vuoto di convinzioni, quest'assenza quasi assoluta di fedi, di sproni, la vuotezza ecco, lo svuotamento meglio, e lo stare sul cesso diventa l'unica ambizione.

Prima, tornando a casa, ascoltavo una canzone di Battiato, anche bella per carità


e mi chiedevo: come fa a cantare una roba del genere, dove l'avverte Battiato una simile presenza? Perché la sua arte gli ha dato modo di vivere una vita pienamente degna di essere vissuta? Perché è riuscito a trovare un equilibrio e una misura? Boh.
Il fatto è che se l'universo obbedisse veramente all'amore io non starei qui a scoreggïare (notate la dieresi), diglielo a Dio, caro Franco, diglielo che nel mondo esistono anche i bassifondi intestinali.

martedì 7 gennaio 2014

Del transito terrestre

«Ognuno di noi è artefice del proprio intestino», mi disse una collega pettoruta dagli occhi di triglia, mangiando uno yogurt. Vero, sì, ma fino a quanto? Quanto c'entrano, cioè, le nostre abitudini alimentari, i nostri stile e ritmo di vita e quanto invece le predisposizione genetica alla digestione e assimilazione degli alimenti e, dipoi, appunto, al loro scarto attraverso le vie del mondo?
L'educazione intestinale dovrebbe essere messa al centro in questo mondo di merda, soprattutto in Italia. Me lo dicevo ascoltando le ragioni di Renzi, che potrebbe averne se ne avesse e se non fossero in funzione di uno scopo che non si capisce bene quale sia se non quello di far sopravvivere la massa critica degli escrementi che si avvicinano tremendamente al retto della storia per essere espulsi. Ma in Italia non ne vale la pena perché è un Paese che, come accade appunto nell'intestino, la merda si riforma naturaliter - ma vorrei uscire da questa similitudine, vorrei uscire da ciò che mi e ci riguarda, dal pensiero che, se mangio e voto x, y e z ne consegue che l'indomani avrò p, q e r, e mi fermo, avevo detto di non parlare di stronzate, di fuoriuscirne, di essere me stesso fino in fondo, come mi dico sempre al momento di ogni eiaculazione (anche se poi mi pento, o meglio, sento un non so che di sentimentalismo pervadere la mente, un'inquieta pacificazione che deriva da un retaggio sicuramente cattolico, da «quante volte figliolo», probabilmente più di Gesù Cristo, data l'età e il fancazzismo che deriva dal non essere diventato - sinora - un profeta).
Tutta colpa di quel salamino piccante che sento inizia il suo percorso dentro me, carne dentro la carne, chissà che numero di matricola aveva il fratello maiale o sorella maiala alla quale apparteneva. Me lo ripetevo ogni volta all'epoca in cui mi prefiggevo diventare vegetariano stretto: il prosciutto e il salamino me lo impediranno, lo so, lo sento - e così è stato, debole è la volontà quando si lega ai desideri della carne.