«Ognuno di noi è artefice del proprio intestino», mi disse una collega pettoruta dagli occhi di triglia, mangiando uno yogurt. Vero, sì, ma fino a quanto? Quanto c'entrano, cioè, le nostre abitudini alimentari, i nostri stile e ritmo di vita e quanto invece le predisposizione genetica alla digestione e assimilazione degli alimenti e, dipoi, appunto, al loro scarto attraverso le vie del mondo?
L'educazione intestinale dovrebbe essere messa al centro in questo mondo di merda, soprattutto in Italia. Me lo dicevo ascoltando le ragioni di Renzi, che potrebbe averne se ne avesse e se non fossero in funzione di uno scopo che non si capisce bene quale sia se non quello di far sopravvivere la massa critica degli escrementi che si avvicinano tremendamente al retto della storia per essere espulsi. Ma in Italia non ne vale la pena perché è un Paese che, come accade appunto nell'intestino, la merda si riforma naturaliter - ma vorrei uscire da questa similitudine, vorrei uscire da ciò che mi e ci riguarda, dal pensiero che, se mangio e voto x, y e z ne consegue che l'indomani avrò p, q e r, e mi fermo, avevo detto di non parlare di stronzate, di fuoriuscirne, di essere me stesso fino in fondo, come mi dico sempre al momento di ogni eiaculazione (anche se poi mi pento, o meglio, sento un non so che di sentimentalismo pervadere la mente, un'inquieta pacificazione che deriva da un retaggio sicuramente cattolico, da «quante volte figliolo», probabilmente più di Gesù Cristo, data l'età e il fancazzismo che deriva dal non essere diventato - sinora - un profeta).
Tutta colpa di quel salamino piccante che sento inizia il suo percorso dentro me, carne dentro la carne, chissà che numero di matricola aveva il fratello maiale o sorella maiala alla quale apparteneva. Me lo ripetevo ogni volta all'epoca in cui mi prefiggevo diventare vegetariano stretto: il prosciutto e il salamino me lo impediranno, lo so, lo sento - e così è stato, debole è la volontà quando si lega ai desideri della carne.
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