venerdì 31 ottobre 2008

Dio spettatore



Ancora: se davvero venisse acclarato che Dio è il creatore unico e indiscutibile, non avreste voi la voglia di farGli una domanda? Tipo: perché? Perché tutto questo casino di anni dal (diciamo all'incirca) big bang a oggi; tutto questo spazio pieno di multiversi, di stelle, pianeti eccetera; tutto questo pandemonio insomma per vedere, in un misero pianeta periferico, lo spettacolo della vita dalle prime cellule a quel particolare mammifero appartenente alla razza umana? E tutto questo spreco di tempo e spazio dedicato solo per noi? O papaccio filosofaccio possibile che un ti ponga per nulla questo quesito? Possibile di avere ancora questa pretesa continua e massimamente presuntuosa che tutto il Creato, supposto che sia creato, sia fatto apposta per noi pezzi di merda? Ma godi la vita come la stai godendo da vero gaudente e lasciala godere anche a noi senza continuamente - te e tutti i preti del mondo di ogni religione e credo - rompere le palle con Dio. Perché se Dio ci fosse si divertirebbe di più a vedere lo spettacolo di uno che non sa di recitare che di uno che recita pubblicamente una parte e dietro il sipario invece fa come cazzo gli pare.

(mi sono perso un po' nel finale, comunque tutte le volte che il Papa e affini vogliono conciliare l'inconciliabile mi viene il nervoso e in qualche modo mi devo sfogare)

giovedì 30 ottobre 2008

Cossiga e l'emerita gaia scienza



Premesso che considero inquietante e delirante la dichiarazione di Cossiga circa il "trattamento" da somministrare agli studenti che manifestano, trovo tuttavia che essa sia, non so quanto consciamente nelle intenzioni, rivelatoria.
Mi spiego: Cossiga con tali parole ha reso manifesto ciò che era ed è la prassi delle forze dell'ordine (eseguita su suggerimento "politico") in tutte le manifestazioni di protesta che assumono forme preoccupanti per lo stesso potere; per questo credo che rivelandola, spiattellandola a chiare lettere all'opinione pubblica, sia stata resa per ciò stesso inoffensiva, nel senso che tale pratica di controllo eversiva non possa più essere usata senza impunità, senza che ognuno ne capisca il mandante.
Il folle Cossiga ha neutralizzato la sua stessa arma, l'ha caricata a salve.
Tuttavia non sono per niente tranquillo: chissà quali altre forme perverse di controllo e di soppressione userà adesso il potere per deligittimare una protesa libera, democratica, profondamente legittima.

martedì 28 ottobre 2008

Facinorosi ministri iperattivi



Una cosa veloce, una domanda. Come mai nella estenuante trattativa di accordo per salvare Alitalia sono stati giustamente (?) tenuti in massima considerazione i piloti e anche (mi pare) altro personale di tale azienda, mentre riguardo alla Scuola e all'Università questi facinorosi ministri iperattivi non tengono in debito conto gli Insegnati e gli Studenti?

domenica 26 ottobre 2008

Non credere: l'ideologia più difficile da diffondere

Evoluti per credere?
Come e perchè sono nate le religioni? Pascal Boyer su Nature ci spiega come l'evoluzione del nostro cervello possa avere favorito indirettamente l'evoluzione della religiosità e di conseguenza delle religioni.


L’ultimo fascicolo della rivista Nature contiene un interessante saggio di Pascal Boyer sul rapporto tra evoluzione e religione. In questo caso non si parla però di conflitto tra il modo di percepire il mondo proprio della scienza e della religione, ma dell’origine della religione: possiamo considerare la religione un prodotto della nostra cultura tanto quanto la musica, la politica e le relazioni famigliari?

La risposta di Boyer è affermativa: la religione è un prodotto del nostro cervello nel senso che il modo in cui il nostro cervello funziona sembrerebbe favorire la ricerca di progetti e finalità nella natura e quindi facilitare il sorgere ed il successivo diffondersi di numerose religioni. Si inserisce quindi in questo nuovo scenario evolutivo la ricerca dell’origine delle religioni ed in particolare della religiosità, che diventa quindi un oggetto di studio delle neuroscienze, delle scienze cognitive e dell’antropologia culturale. La religiosità (e non quindi le religioni) potrebbe essere il frutto dell’evoluzione poiché sebbene le religioni differiscano l’una dall’altra, in comune hanno il fatto che chi crede è disposto ad accettare la presenza nella propria vita di divinità prive di corpo (e quindi non tangibili né visibili) e con caratteristiche assolutamente contro-intuitive quali l’onnipotenza, la capacità di creare e distruggere, etc…

In modo analogo il nostro cervello sembra accettare comportamenti rituali che, sebbene privi di un valore pratico reale e verificabile, possono essere associati ad una sensazione di appagamento, di protezione fisica e consolazione morale. Questo comportamento potrebbe essere il frutto di quegli stessi network cerebrali alla base dell’auto-conservazione ovvero il prodotto di meccanismi che servono per tenerci lontani dal pericolo e che dovrebbero permetterci di vivere in modo più sereno.

L’uomo è inoltre un animale dotato di una incredibile capacità di coalizione tanto che uomini e donne non imparentati possono organizzarsi in contesti sociali con relazioni stabili in cui ciascuno si sente maggiormente protetto. Questa sorta di psicologia della coalizione potrebbe essere un’altra componente chiave nell’origine della religiosità, poiché la religione può aggiungere elementi comuni tra i membri di un gruppo rafforzandone quindi il senso di unità.

La religiosità quindi non sarebbe il frutto di una specifica regione del nostro cervello (ed è quindi è inutile cercare il gene per la religiosità!!!) ma sarebbe un impulso che deriva dalla somma di più tendenze innate presenti nel nostro cervello. Non è quindi un caso che le religioni più moderne “si presentino come un pacchetto che integra tutte queste componenti diverse (ritualità, moralità, identità sociale) in una unica dottrina. Queste componenti rimangono separate nei processi cognitivi umani. Il risultato è quindi che la nostra mente non ha un singolo network che porta alla religiosità, ma una miriade di network distinti che contribuiscono a rendere l’accettazione delle religioni un processo abbastanza naturale per molte persone”.

A sostegno di questa ipotesi si può facilmente osservare come al di là degli aspetti peculiari di ogni religione, esistono assunzioni tacite comuni a tutte le religioni e sarebbero queste componenti ad agire come terreno fertile per la crescita delle religioni. Il tentativo di spiegare l’origine delle religioni in chiave evolutiva (grazie alle neuroscienze ed alle scienze cognitive) non deve però essere visto come un tentativo “di sminuire le religioni”, ma semplicemente come il desiderio di capirne l’origine.

Se tutto ciò è vero, dobbiamo quindi considerare il “non credere come una sorta di tentativo di controllare qualche cosa che va contro le nostre disposizioni cognitive innate (naturali?) rendendo questa visione del mondo l’ideologia (..) più difficile da diffondere”.

Mauro Mandrioli

Fortezza 24.

Ah il Conestabile*
Unico santo in paradiso al quale
Inoltrare la supplica - è un giusto secondo lui:
Prudenza vorrebbe non dico
Cassare dandogli a credere
Che è morto e perciò
Niente da fare - no
Meglio sia aggiungere
Raggiro a raggiro
Perdendo il filo della cosa anche noi:
Gli scriva pure come di rito -
Nelle grinfie della sciantosa
Il Conestabile è rimbambito

10-11 gennaio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

*s.m. stor., alla corte bizantina, gran scudiero di corte | nel Medioevo, ufficiale della corona con incarichi militari; capo delle milizie cittadine dei Comuni e delle Repubbliche Marinare | gran c., comandante supremo di un’armata.

sabato 25 ottobre 2008

Lettera aperta ai miei Link e a Walterone



Avere una buona idea sulla realtà quotidiana serve a qualcosa per cambiarla? Ovvero, serve a qualcosa scrivere un post, sia esso dettagliato o scarno, che con acutezza denuda sì il reale (il re) e le sue nefandezze rivelandone l'arcano, ma che tuttavia non lo fa abdicare - il reale (il re) - non lo spodesta, non lo decompone, non ne distrugge il tempio? In breve: tutta questa Intelligenza intaccherà mai, sia pure con una virgola, la crassa, inamovibile, stupidità del Potere?

Certo, mi direte, ogni vera rivelazione-illuminazione o è individuale o non è. Le masse sono, per definizione, stupide; le masse sono il pendant del Potere. Ma quando ci si conta, come oggi al Circo Massimo, si rischia di far diventare massa anche chi si ha la presunzione che non lo sia. Per cui attenzione Walterone: quanti s'era s'era, troppi o pochi non importa. Devi puntare, se non vuoi diventare un giorno quel Potere stupido che tenti democraticamente di combattere, a contare non il numero, ma le teste di ognuno, a guardare il volto, ad ascoltare la parola di tutti.
Buona sintesi.

Fortezza 23.

Sì le guardavo lassù appese le gabbie
Giustizia delle chiese - guardavo me
Non già prono qui dentro
Ma al sole pioggia e neve
Grigio del puro gelo
Accecato dal cielo scarnendomi come voi
Capi dell'espiata rivolta:
O quattro secoli dopo per più d'un mese
In altra gabbia a Pisa
Eretta sull'arso prato
Il Maestro dagli occhi di turchese
Ludibrio del soldato

7-8 gennaio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

venerdì 24 ottobre 2008

Fortezza 22.

Sull'orlo della bocca rugiada di rosso
Appena posato il bicchiere ridendo
Sorgesse - non voglio la Luna
Mi basta la breve allegria
Poi che dicesti che ti piace una
Che gli piace di bere in compagnia:
Quel giorno che non c'era vino
E nessun posto vicino

4 gennaio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

giovedì 23 ottobre 2008

Due chiacchere con Dio

Insisto: ci vorrebbe più poesia, ci vorrebbe più poesia. Nella poesia, tutto. Pensa a Dante, pensa a Shakespeare, pensa e basta e scrivi. Devo sfuggire la realtà, devo dimenticarla qui, provarci, per far finta di non esserci qui. Per cui: poesia: e giù endecasillabi. Poesia: e giù rime, terzine, strofe, versi sciolti. Bisognerebbe che venisse la diarrea a tutti in questo Paese. Tutti al cesso, ora! Tutti a tirare lo sciacquone ripetutamente nello stesso momento. Tutti a far scendere nelle fogne urbane la realtà. Questa realtà di merda. Dio merda. Ecco, l'ho detto. Mi piacerebbe ci fosse Dio, mi piacerebbe davvero. Mi piacerebbe parlarci due o tre minuti, così, casomai le parole mi venissero fuori davanti a cotal Essere. Eppure, se penso a quand'ero bambino e pregavo, chessò, che non m'interogassero a matematica e gli chiedevo la grazia, avevo davvero qualcuno a cui rivolgermi. E ora invece, no. Dio torna. Torna che ho da dirti qualcosa, torna soprattutto in Italia, qualche minuto. Torna nella realtà, vedi come siamo ridotti, vedi lo sconforto da una parte e il pacchiano godimento dall'altra. Torna, sennò t'invento. Ti riprongo. Ti riscrivo. Torna e dimmi se tutto è normale, se tutto è un copione già scritto e irreversibile. Torna e piglia con te tutti i pezzi di merda di questo mondo. Tutti. Tira lo sciacquone, scarica nel cesso tutta la merda d'uomo che ammorba questa Penisola di pena. Ma quanto ci mette la deriva de' continenti a comprimerci, a schiacciarci su verso l'Europa?

mercoledì 22 ottobre 2008

La necessità della poesia



Non so come, né sotto quali termini e/o condizioni. So solo che oggi ci vorrebbe più poesia. Però non la poesia considerata sotto altre forme artistiche, ad esempio la musica, il cinema o altro. No. Intendo soltanto la poesia pura e semplice, il complicato andamento poetico che si determina nel solco della tradizione. Una poesia che si lancia a capofitto nel reale, sospinta dalla molla di Montale, Sereni, Fortini, Caproni, Zanzotto, Giudici, Sanguineti, Raboni e altri che, mi si perdoni, non riesco a citare qui a braccio, all'impronta (ma ve ne sono, oh se ve ne sono!). Una poesia che si pubblica e si riconquista quel ruolo sociale e definitivo che le appartiene. Una poesia che ridiventa il grido del reale, che bastona il luogo comune, che s'impossessa di questa lingua puttana che tutti i parlanti adoprano come se fosse un misero mezzo per esprimere il proprio vuoto, la propria miseria, la propria prepotenza. Una poesia-denuncia capace di molteplici significati, di slittamenti sugli aridi asfalti e cementi, di rimbalzi sulla fallacia delle cattive rappresentazioni. Una poesia "ombra del beccofrusone ucciso" dal riflesso sul vetro specchio dei moderni grattacieli che l'ottusa devozione al male ha infranto la mattina dell'undici settembre. Una poesia che si lancia nel vuoto con fiducia sapendo di avere in se stessa il paracadute necessario per sopravvivere ancora e sempre, finché voce umana e orecchie saranno pronte ad accoglierla come un saluto, come una carezza muliebre che si posa sulla fronte addolorata.

martedì 21 ottobre 2008

Fortezza 21.

Da insonnia al sonno e un aldilà del vero
Di sera in sera a scavarmi
Cunicoli nel disfatto cuscino
Blanda neve di piume asilo di asilo
Sfiorandomi e subito via
Trasmutanti persone -
Ero nel fiume e il fiume
Di esse ognuna la mia


26-31 dicembre 1988

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

lunedì 20 ottobre 2008

Autunno a Pompei



Autunno a Pompei:

che tristezza tu non ci sei.

Era meglio andare in carrozza a Bombay

Mumbai come la chiamano ora

di nababbi piena e d'ardore.


Autunno e a Pompei

son caduti tutti gli dèi;

tutti per terra tra foglie nascosti,

non se ne vede più nessuno,

tutti spariti tranne uno

rappresentante di Uno

che ancora s'ostina

a sovrastare i nostri cieli.

Che triste l'autunno a Pompei.


P.S. Ringrazio Malvino per aver suscitato questi versi che fanno il verso a Toti Scialoja.

domenica 19 ottobre 2008

La coscienza come un granello di sabbia


Octavio Ocampo, Family of Birds

Questa post-lettura è debitrice del post di Ivo che trovate qui.

Vi è, oggigiorno, un considerevole coro di opinioni che insiste nell'affermare che questi sforzi non possono che fallire, che una mera scienza in terza persona della coscienza è metodologicamente debole, tagliata fuori da importanti fonti di evidenze, di dati, di illuminazioni... o di chissà che altro. Abbiamo bisogno, si dice, di una "scienza della coscienza in prima persona" o, al massimo, di una "scienza della coscienza in seconda persona" (...). L'idea, variamente espressa o solo tacitamente presupposta, è che i marziani non possono giocare ai giochi cui possiamo giocare noi. Che non possano impegnarsi in una scienza della coscienza in prima persona perché non sono a loro volta il tipo giusto di "prima persona". Possono studiare la coscienza marziana dal punto di vista della prima persona, se ve ne è uno, ma non la nostra coscienza. O potrebbe darsi che si dica che essi non possono impegnarsi in una scienza della coscienza in seconda persona perché, in quanto forme di vita aliena, non possono formare il legame empatico Io-Tu che tale approccio presuppone.
La mia domanda è questa: abbiamo qualche fondato motivo per credere a tali affermazioni? E la mia risposta sarà negativa, perché non c'è niente nella nostra coscienza che sia inaccessibile ai probabili metodi tecnologici dei marziani. I metodi in terza persona delle scienze naturali bastano per indagare la coscienza con la stessa completezza di qualsiasi altro fenomeno in natura, senza alcun significativo residuo. Che cosa intendiamo qui per "significativo"? Semplicemente questo: se gli scienziati studiassero un singolo granello di sabbia, vi sarebbe sempre qualcosa di più da scoprire, indipendentemente dal tempo speso nella ricerca. La sommatoria delle forze attrattive e repulsive tra tutte le particelle subatomiche che compongono gli atomi costituenti il granello presenterà sempre un margine di incertezza nell'ultima cifra significativa con cui l'abbiamo calcolata finora, e retrocedere di eoni la localizzazione spaziotemporale del granello di sabbia ci condurrà solo a un cono diffuso di indiscernibilità. Ma la nostra ignoranza non è significativa, in quanto possiamo sempre applicare un principio di revisione continua. Queste considerazioni mi conducono ad affermare che se usassimo il metodo della scienza in terza persona per studiare la coscienza umana, qualsiasi ignoranza residua dovessimo riscontrare "alla fine", non sarà più sconvolgente, più frustrante o mistificante, di quella che risulta ineliminabile quando studiamo la fotosintesi, i terremoti o i granelli di sabbia. Detto in breve, non è stata proposta alcuna valida ragione a supporto dell'ipotesi diffusa che la coscienza sia, dal punto di vista della scienza in terza persona, un mistero dissimile, in qualche modo, dagli altri fenomeni naturali. Non vi sono, inoltre, neanche buone ragioni per sostenere che vi sia qualcosa di significativo che sappiamo (o sapete) attraverso la coscienza che è completamente inaccessibile alla comprensione degli scienziati marziani, per quanto differenti siano da noi.

Daniel C. Dennett, Sweet Dreams, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, pag. 26-27

sabato 18 ottobre 2008

L'etica situazionale

Alcuni rapinatori armati fanno irruzione in una banca, mettono in fila contro il muro i clienti e il personale e cominciano a sottrarre portafogli, orologi e gioielli. Tra coloro che aspettano di essere derubati ci sono due impiegati della banca. Improvvisamente, il primo mette qualcosa nelle mani del collega. Questi gli sussurra: "Cos'è?". "I cinquanta dollari che ti devo" risponde l'altro.

Thomas Cathcart e Daniel Klein, Platone e l'ornitorinco, Rizzoli, Milano, 2007

Equivalenze



La politica attuale sta alla trasparenza come Polifemo sta allo strabismo.


Firmato Onorevole Antonio Albanese, Ministro della Paura.