mercoledì 22 ottobre 2008
La necessità della poesia
Non so come, né sotto quali termini e/o condizioni. So solo che oggi ci vorrebbe più poesia. Però non la poesia considerata sotto altre forme artistiche, ad esempio la musica, il cinema o altro. No. Intendo soltanto la poesia pura e semplice, il complicato andamento poetico che si determina nel solco della tradizione. Una poesia che si lancia a capofitto nel reale, sospinta dalla molla di Montale, Sereni, Fortini, Caproni, Zanzotto, Giudici, Sanguineti, Raboni e altri che, mi si perdoni, non riesco a citare qui a braccio, all'impronta (ma ve ne sono, oh se ve ne sono!). Una poesia che si pubblica e si riconquista quel ruolo sociale e definitivo che le appartiene. Una poesia che ridiventa il grido del reale, che bastona il luogo comune, che s'impossessa di questa lingua puttana che tutti i parlanti adoprano come se fosse un misero mezzo per esprimere il proprio vuoto, la propria miseria, la propria prepotenza. Una poesia-denuncia capace di molteplici significati, di slittamenti sugli aridi asfalti e cementi, di rimbalzi sulla fallacia delle cattive rappresentazioni. Una poesia "ombra del beccofrusone ucciso" dal riflesso sul vetro specchio dei moderni grattacieli che l'ottusa devozione al male ha infranto la mattina dell'undici settembre. Una poesia che si lancia nel vuoto con fiducia sapendo di avere in se stessa il paracadute necessario per sopravvivere ancora e sempre, finché voce umana e orecchie saranno pronte ad accoglierla come un saluto, come una carezza muliebre che si posa sulla fronte addolorata.
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