mercoledì 8 maggio 2013

Salvate il senatore Berlusconi

Il senatore Silvio Berlusconi è una persona generosa, che ha sempre saputo ricompensare i propri amici, i propri sodali, i propri servitori. Basti pensare a quanti di costoro ha riservato gloria e onori, posizioni di prestigio e stipendi di rilievo. 
Il senatore Silvio Berlusconi - narrano a corte - non ha mai licenziato nessuno, salvo qualche allenatore della sua squadra di pallone, ma sempre ben remunerandolo sino all'ultimo centesimo.

Per questo motivo, ritengo che oramai i dirigenti del Pd, che si sono cimentati nell'alleanza di governo con il Pdl, dovrebbero approfittare della situazione e sostituirsi ai Gasparri, alle Gelmini, alle Ravetto, ai Cicchitto eccetera e strapparsi loro le vesti in pubblico per l'accanimento giudiziario che il senatore Silvio Berlusconi continua a subire.

Sulla base del principio - sempre che sia un principio - «il nemico del mio amico è mio nemico», ritengo che una cospicua delegazione dei parlamentari del Pd farebbe bene, domani mattina, a recarsi al Palazzo di Giustizia di Milano per occuparne la sede, sì da dimostrare che anche loro prendono le difese dell'alleato, nella falsariga di quelle nazioni guerrafondaie che aspettano sempre una scusa qualsiasi per scatenare un'irrinunciabile guerra umanitaria.


Update mattutino.
Chiedo venia per l'interruzione brusca del post. Date le premesse, la conclusione voleva essere questa: se i piddini difenderanno Berlusconi come si deve, saranno degnamente ricompensati, fors'anche con la possibilità di far esercitare al governo una politica di sinistra (sempre che sappiano distinguere le differenze tra una parte politica e l'altra).

martedì 7 maggio 2013

Take a trip in the air


Cosa conosco e quello che conosco è bastante per darmi l'autorizzazione a dire che io so qualcosa? Dentro la testa più di tanto non entra e quello che si è assunto, a piccole o grandi dosi, a un certo punto della vita deve trasformarsi in un'espressione, quale che sia l'espressione, altrimenti si raggruma e intristisce, diventa una specie di ciste - e ora che ci penso: in vita mia mi sono già tolto due cisti sebacee dal cuoio capelluto, una che avevo sedici anni; e l'altra pochi anni fa; adesso sento ricrescermene una, al tatto sembra un chicco di riso e per non farla aumentare scrivo (e se diventa grande, bisturi).
Mi ricordo la prima mi fu tolta da un vecchio chirurgo di provincia, coadiuvato da una suora infermiera. Mentre sentivo trafficare nella regione occipitale destra, io canticchiavo questa canzone non proprio sottovoce; e la suora mi chiese:
- A chi vuoi bene?
- A Raffaella.

Raffaella era un'affascinante fricchettona, di qualche anno più grande di me, di quelle con la faccia da squaw, capelli castani lunghi e lisci con la scriminatura nel mezzo, i jeans strappati e un giubbotto di pelle di camoscio con le frange, viso dolce, labbra mordide, fiordiseno, e io ci persi la testa, ma lei l'aveva persa - pare - per un fricchettone più alla moda di me, un tipo che addirittura si bucava e io che figuriamoci, a mala pena gli spinelli mi andavano giù.
Nondimeno, lei era gentile e, in discoteca, mi sorrideva quando ci mettevamo tutti in cerchio a ballare lento Foreign Affair.

Ma il tema di questo post voleva essere la conoscenza, quella che entra dentro la testa di un individuo, nel corso degli anni, con sforzo o per inerzia, voluta, ricercata oppure subita. E vorrei capire perché in questo preciso momento la mente mia elabora un determinato ricordo anziché un altro, e la risposta è facile: la conoscenza, per essere tale, a un certo punto diventa espressione, deve uscire dal Sé, fare capolino nel mondo per testimoniare a se stessa che non è la sola cosa a esistere, che il solipsismo è una iattura, che l'intreccio di conoscenze è necessario, e che, per metterlo in atto, occorre una sua manifestazione - ed ecco che, faccina di bronzo, vado a giustificare l'esercizio quotidiano del blog. Mi esprimo, dunque sono, dentro i limiti di una conoscenza particolare.

lunedì 6 maggio 2013

Il saliscendi del pensiero


Questa tensione del pensiero. Questo pensare alto. Questo tentativo di catturare con la parola (modalità del pensiero) la realtà. Mi sento inadeguato, mi sforzo inutilmente, mi spremo invano le meningi, ma per poco: il pensiero va lasciato sciolto.

Un paio di tette portano a spasso un cane al guinzaglio.
Che bel cane, che belle tette.

- Mi scusi, signora: sa che ore sono?
- Che cazzo vuoi?

A questo punto io dovrei mostrare sorpresa, unita a una certa irritazione, come se veramente fossi interessato a sapere che ore sono, mentre sto gettando il sacco della spazzatura dentro al cassonetto, nel momento preciso in cui passa la summentovata proprietaria di tette.

Sorrido, rispondo:

- Non voglio un‘ cazzo’: vorrei sapere solo l'ora.

La signora mi guarda – e, a questo punto, data l'espressione, penso che potrebbe accadere di tutto, persino che ella inizi a gridare «Aiuto, al molestatore!».

Stlang!

Il portellone del cassonetto si è abbassato di colpo provocando il consueto rumore.
Il cane ha concluso di annusare intorno all'aiuola e, per questo, inizia a tirare. Il guinzaglio si tende. La signora sorride e, controllando il cellulare, mi dice:

- Sono le tette meno un quarto.

Il pensiero basso.

domenica 5 maggio 2013

È veramente cosa buona e giusta


Non è facile - è facile dare retta a Berlusconi, basta abituarsi, le sue ripetute richieste, richieste ripetute, sono ordini, non sono ordini, sono le cose che le gente vuole perché lui ha un filo diretto con la gente e quindi sa perfettamente cosa la gente vuole, telefona a tutta la gente tutti i santi giorni lui, mica discorsi, e la gente ha a che fare con lui, come con la spazzatura, d'altronde non a caso, egli, ne è diretta emanazione.
Adesso - no, non adesso, da qualche mese, diciamo, così perché la gente l'aveva un po' dimenticato, si è impuntato con questa storia della tassa sulla casa, quella stessa tassa che circa un anno fa, tramite il governo Monti, egli approvò in Parlamento insieme ad altri alleati dell'epoca, poi si è accorto che, tutto sommato, un po' perché deve pagare uno scroscio di soldi per gli alimenti alla sua seconda ex moglie, ha fatto due calcoli o se li è fatti fare dallo Spinelli ragioniere e si accorto, eccheccazzo, che lui di tassa sulle case ne paga uno stonfo, e che? «sono cretino, io non posso mica detenere tutti i recordi italiani di pagamento, e paga la seconda ex moglie, e la prima ex moglie, e tutte le belle orgettine a libro paga, e paga don Gelmini, e il San Raffaele meno male che Don Verzè non c'è (più), è morto sennò starei lustro, e paga gli avvocati, e paga De Benedetti, cazzo no, di tassa sulle case io mi sono rotto i coglioni, non posso permettermi un altro simile salasso, come fo, l'MPS non me li presta più i soldi, ho da mantenere un partito, una squadra, due ruffiani, un cristaccio morto che preghi per me, e per le mie piaghe sulla crapa che mi ostino a tingere con la pece a caldo, e tira su le borse sotto gli occhi, e tira una madonna, e quindi stop, è cosa buona giusta, è veramente cosa buona e giusta, vostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a me, italiani, che sono il vostro Padre Ignobile. In me si compiono le promesse, l'ombra cede il posto alla luce*, amen.

*Guardate come, infatti, in quella sorta di altare in pietra azzurra, con al centro il simbolo esoterico della fiamma (sembra il simbolo del gas: un omaggio a Putin?), si rifletta la luce del sole allo zenit.

Il peso politologico del professor Panebianco

L'editorialuccio che il professor Panebianco offre oggi alle stampe (che non sa di una sega nulla, ma questo sia detto tra parentesi), contiene - nelle ritrite ovvietà esposte - un passaggio che mi perplime. Riferendosi alla situazione politica che va dal Dopoguerra alla caduta del Muro di Berlino, Panebianco scrive:
“Il problema dei partiti non era conquistare un bel po' di voti altrui (cosa praticamente impossibile) ma mantenere, conservare, elezione dopo elezione, il proprio «pacchetto», il proprio blocco di voti. Si pensi al Pci. Escluso dalla possibilità di andare al governo, aveva certo interesse ad ottenere qualche voto in più ma l'interesse prevalente, dominante, era conservare i voti già acquisiti. Anche la sinistra democristiana, impegnata nelle lotte con le altre correnti Dc, aveva lo stesso problema: conservare i propri consensi, condizione necessaria per continuare a praticare il gioco del potere dentro l'allora partito di maggioranza relativa.”
Quello che mi lascia interdetto è che, nel ricostruire la suddetta battaglia politico-elettorale, Panebianco ritiene che Pci e Sinistra Democristiana avessero «lo stesso problema» e, francamente, da mero studente e non da studioso, mi pare che la questione non stia affatto in questi termini, giacché per «conservare i propri consensi» la Sinistra Dc lottava prima dentro il partito (imponendo candidature e scegliendo i migliori collegi elettorali) e soltanto poi attraverso il voto (in genere di scambio, che era il modo più sicuro di conservare i propri consensi).
In fondo, per gran parte dell'elettorato italiano che votava Dc turandosi il naso, poco importava prevalesse una corrente del partito o un'altra: l'importante era che il Pci arrivasse secondo e così è stato per circa quarant'anni.
Mi ricordo, più o meno a metà anni settanta, ero alle elementari, i maestri di scuola ci portarono in visita presso una vicina fattoria e la cosa che più conservo di quella giornata di sole di maggio, oltre agli starnuti e al prurito sconvolgente agli occhi, è il dipinto bianco e rosso, enorme, dello scudo crociato che campeggiava in alto sul silos del granaio in cemento; e, sotto lo stemma, c'era scritto a caratteri cubitali: «Si vota così».
Etci.
Cazzo ne sapevano le masse popolari cosa fossero le correnti democristiane? Ancora Panebianco non era diventato professore per spiegarglielo.

sabato 4 maggio 2013

Dove c'è fumo


Non c'è arrosto

via
L'esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera.
Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava e andare avanti.

Avanti un cazzo.

Dopo più di dieci anni, non è l'ora di farla finita con stocazzo di missione di pace internazionale in Afghanistan? Se non sbaglio i francesi si sono già levati dalle palle, e perché noi no? Di cosa s'ha paura? Del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, di che? A Obama gli si racconta che Bonanni ha lanciato un accorato appello sui rischi sociali che il Paese corre, capirà.

Il principio d'indelicatezza


«Charmante créature – Voi mi chiedete la mia biancheria sporca, la mia biancheria smessa. Ma sapete che questa richiesta è d'una delicatezza sublime? Vedete bene com'io avverta il pregio delle cose pregiate. Ascoltate, mon ange, in questa materia io faccio di tutto per assecondarVi, dacché rispetto profondamente i gusti, e le fantasticherie – per barocche che siano – le trovo tutte apprezzabilissime, vuoi perché non possiamo padroneggiarle, vuoi perché anche la più singolare e la più bizzarra, se analizzata a dovere, risale sempre a un principio di delicatezza. E Voi sapete che nessuno sa analizzare come me questo genere di cose. Dunque, mon petit chou, farei di tutto per assecondarVi.»

Donatien-Alphonse-François de Sade, Lettera alla moglie dal carcere di Vincennes, del 23 novembre 1783 (trovata in e tradotta da Vittorio Sermonti, Il vizio di leggere, Rizzoli, Milano 2009)
«Io sono di un'apertura totale al mondo gay. Comprendo quali problemi hanno dovuto affrontare fin dall'adolescenza, quando hanno scoperto la loro sessualità [...] A livello di persone non vedo differenza, ma non credo sia normale che un uomo vada con un trans. Come donna non riesco ad accettarlo". »
Più che essere offensive, quelle del neo-sottosegratario Biancofiore sono parole di un'indelicatezza assoluta. Lo so che esse sono sulla bocca di una consistente parte della popolazione italiana, la maggioranza forse. Ma quando diventano pubbliche, ovvero quando tali parole s'ignudano in pubblico, la vergogna si appiccica addosso a chi le pronuncia e non al bersaglio che esse vogliono colpire.
Perché la donna Biancofiore non riesce ad accettare che un uomo possa andare con un trans? Perché non lo trova normale, ossia possibile? Forse ella voleva dire: “non riuscirei ad accettare che il mio uomo possa andare con un trans” - e soltanto in questo caso il suo pensiero potrebbe essere giustificato perché il suo gusto personale non accetta (-erebbe) né accoglie (-erebbe) tale desiderio del “suo” uomo.
Chissà, forse la sottosegretaria Biancofiore riuscirebbe ad accettare che una donna vada con un trans; o forse no, non credo che le sue fantasticherie possano arrivare a tanto. 
Ma allora i trans con chi dovrebbero andare, con se stessi? Trans lesbian o trans gay? O, peggio, dovrebbero autocastrarsi e diventare degli eunuchi? Oppure ancora: essi dovrebbero chiudersi dentro un monastero di clausura? Ma come frati o come suore?

Comunque, io la Biancofiore l'avrei lasciata alle Pari Opportunità, perché, come scrive Balqis:
«Credo che la Biancofiore avrebbe potuto fare meglio di chiunque altro, proprio perché si sarebbe sentita investita di una responsabilità enorme».
E invece, indelicatamente, è stata spostata di ufficio a fare il sottosegratario alla Pubblica Amministrazione col Ministro D'Alia, per occuparsi di un altro tipo di “perversione”.

venerdì 3 maggio 2013

Tra il cesso e la tomba

«Dal 28 aprile, dopo la sparatoria davanti a palazzo Chigi, hanno iniziato a circolare centinaia di messaggi che dicono "Dovevano sparare a te", "la prossima sei tu", "càcati sotto, a morte i politici come te". La magistratura è avvertita, le denunce sono partite. "Ma è come svuotare il mare con un bicchiere. Credo che ci dobbiamo tutti fermare un momento e domandarci due cose: se vogliamo dare battaglia - una battaglia culturale - alle aggressioni alle donne a sfondo sessuale. Se vogliamo cominciare a pensare alla rete come ad un luogo reale, dove persone reali spendono parole reali, esattamente come altrove. Cominciare a pensarci, discuterne quanto si deve, poi prendere delle decisioni misurate, sensate, efficaci. Senza avere paura dei tabù che sono tanti, a destra come a sinistra. La paura paralizza. La politica deve essere coraggiosa, deve agire".»

Ipotizzare che per fermare tutta la valanga di violenza verbale e iconica diffusa nella Rete occorra una Nuova Legge, è contribuire all'idea che lo Stato sia impotente: come, non esiste già nel nostro ordinamento democratico qualcosa che punisca gli autori di siffatti messaggi vergognosi, frutto di vigliaccheria, violenza e stupidaggine assolute? Messaggi che offendono, appunto, la persona che li riceve e la sua dignità?

Per agire concretamente, il Parlamento dovrebbe semplicemente stimolare il Governo a trovare i fondi per fornire alla Magistratura e alle Forze dell'Ordine i mezzi per un maggiore e più efficace contrasto delle cosiddette Campagne di Odio che si scatenano, in genere, contro le donne, gli immigrati, gli ebrei, gli omosessuali, gli stessi politici. Giacché nutro il fondato sospetto che una Nuova Legge andrebbe soltanto a limitare la libertà di espressione di coloro che non usano il web per scrivere tali cattiverie e scemenze, tali minacce e offese. 
In fondo, invitare un politico (o una donna, un ebreo, un immigrato, un omosessuale) ad «andare a cacare» non è affatto la stessa cosa che invitare qualcuno a sparargli (o spararle). Tra il cesso e la tomba la differenza è abissale. Se poi qualcuno augura tutte e due le cose ("càcati sotto, a morte i politici come te"), vale la seconda e partano denuncia e sanzione.

giovedì 2 maggio 2013

Presidente D'Alema, stavo a penzà na cosa


«Si prega di confermare la propria presenza entro martedì 7 maggio scrivendo a:segreteria@italianieuropei.it  o telefonando allo 06.45508600.
Per accedere alla sala è necessario presentare un documento di identità. 
Per gli uomini è obbligatorio indossare la giacca.»

E per le donne?



Sarei curioso di partecipare, la giacca fresco di lana ce l'ho già, quindi potrei. Soprattutto per ascoltare se anche Massimo D'Alema, per il futuro della sinistra, ha ripensato il capitalismo. 


P.S.
È già (mi sembra) la terza volta che riporto questo meraviglioso scampolo felliniano. Ma è più forte di me, repetita iuvant.

Hanno rifiutato il possibile

I Se e i Ma, eccetera.
Giglioli li elenca tutti con precisione e chiude sostenendo che tale esercizio, forse,
«può servire a ricordarci che in questo fallimento nessuno è innocente e che da questo fallimento ciascuno deve imparare: per quello che verrà dopo Letta, perché un dopo Letta prima o poi arriverà»
Che cosa c'è da imparare? Niente.
Nessuno è innocente, dunque tutti colpevoli. 
Io compreso? Forse. Perché? Perché ho votato Partito Democratico.
Ed ecco la sola cosa che ho imparato: col cazzo che gli renderò il voto. Dagli errori s'impara. 
Il paradosso è che nel 2008, quando il Pd, con Veltroni alla guida, perse contro Berlusconi, non mi sembrava di aver perso così di brutto. No. 

Ma per tornare ai se e ai ma.
La cosa assurda è che tali opzioni, tali scelte sembravano le più razionali, le più possibili, le più auspicabili. Erano lì, a disposizione come ciliegie mature, e niente: sono state fatte marcire sull'albero. Di più: là fuori della segreteria c'erano milioni di elettori che bestemmiavano contro quell'imbelle di Bersani, contro D'Alema, Fioroni, Bindi, Finocchiaro, Gentiloni e compagnia cantante, e loro di coccio, così come contro quel testadura di Grillo che forse non ha ancora compreso che, per aprire la scatola tonno del Parlamento, gli serviva l'apriscatole del Pd.

Insomma, la porcata è stata fatta, guardare avanti.
Mi chiedo solo: nel caso che il guitto Berlusconi si sfili dal governo e reclami nuove elezioni, prima che Napolitano sia costretto a sciogliere le camere, un tentativo di accordo con Grillo per fare due o tre leggi (a partire dal conflitto d'interessi) sarà sempre improponibile?

mercoledì 1 maggio 2013

Fiori rosa


fiori di cotogno
stasera sogno.
Sogno cosa?
Una scusa
disillusa
per uscire
dal mio nitrire
di carne di cavallo
che ama lo stallo
ma non la mossa
o l'apertura che possa
disarcionarlo.
Rimanere in me:
che tarlo.
Ché
mi occorra
la droga?
Non finanzio camorra
e non amo la foga.
Cambia la seconda
vocale e capisci
che ciò che amo è la fionda
che mi tira lontano e intuisce
dove possa cadere:
non amo saltare nel vuoto
non è mio mestiere
portare ex voto.
A chi li porto poi se io
non prego?
A Dio?
Appunto, così lo frego.
A Dio non porto nient'
altro che i miei sbagli
che il mio niente
i miei abbagli
la mia insipiente vita.
Insipiente? Aspetta, mi assaggio:
il mio polso sa di maggio:
polline da fuoriuscita.

Happy May Day

*
Viviamo un'epoca in cui, a pulirle bene, si finisce spesso in Parlamento. Alcuni, i migliori, addirittura nel governo. Non solo in Italia, ma in Europa, negli Stati Uniti d'America, ovunque. Persino in Cina - ed è tutto dire.

martedì 30 aprile 2013

This is fucking awesome


«Il compagno Ossipon, di soprannome il Dottore, uscì dalla birreria del Silenus. Giunto alla porta esitò, strizzando gli occhi come davanti a un sole non troppo splendido – e il giornale in cui si riferiva il suicidio d'una signora era nel suo taschino. Il cuore gli batteva contro quel giornale. Il suicidio d'una signora – quest'atto di follia, o di rassegnazione.
«S'inoltrò nella strada, senza guardare dove metteva i piedi: s'inoltrò nella direzione contraria a quella che doveva condurlo al luogo d'appuntamento con un'altra signora (una bambinaia vecchiotta, che riponeva tutta la sua fiducia in quella testa apollinea profumata d'ambrosia). Fuggiva lontano da quel luogo. Non era più capace di trovarsi faccia a faccia con una donna. E ciò voleva dire la sua rovina. Non gli riusciva più di pensare né di lavorare; non poteva mangiare né dormire. Soltanto, aveva cominciato a bere con gusto anticipato dal piacere della speranza. Era la rovina. La sua carriera rivoluzionaria, sostenuta dal sentimento e dalla fiducia di molte donne, veniva minacciata da un mistero impenetrabile – il mistero del cervello umano che pulsava con ritmo regolare, il ritmo del frasario giornalistico: “Quest'atto di follia, o di disperazione...”. Ora il cervello pendeva verso il rigagnolo della strada. “Sembra destinato per sempre...”.»

Joseph Conrad, L'agente segreto, (1920), Bompiani, Milano 1953, traduzione di Carlo Emilio Gadda.

Anch'io, oggi pomeriggio, sono uscito dal lavoro «strizzando gli occhi come davanti a un sole non troppo splendido». L'afa intorno pareva una conseguenza dei deboli rovesci di pioggia sabbiosa del mattino. C'erano una sacco di donne, come sempre d'altronde, inutile spiegare perché. Sono atti che si ripetono, come i sorrisi – e i sorrisi fanno bene, se non sono falsi (ma ho, non so come, esercitato la facoltà di riconoscerli se tali).
Non sono così sicuro di esser padrone della mia vita. Fino a che punto, almeno. Cosa m'impedisce di spingere l'essere fuori dell'anomia, forse la misera presunzione di avere già un nome (un essere) che è riconosciuto? Sì, puttana miseria, sì.

Ché domino paure e insicurezze, desideri e frammentazioni? Boh. Sono quello che sono, un numero compreso tra zero e uno, quest'ultimo inteso come l'intero. In pratica c'è questa vita sospesa e non so sospesa da cosa e verso che, la morte sicuramente. Bisogna pensarci alla morte – dico, per darmi un tono – ma perché devo pensarci ora non lo so, e infatti non ci penso, ma fa tanto Montaigne pensare alla morte con quella sorta di distacco e d'intelligenza da intellettuale di provincia antimondano (ma non troppo).
Sono nato in Italia ed era meglio di no. Avrei preferito la Francia, sarebbe stato più salutare avere una mamma francese che mi buttava fuori di casa al momento giusto e mi faceva vedere che cosa vuol dire veramente amare, anziché battibeccare con le proprie tribolazioni (non è un'accusa a mia madre, no; è al padre di cui sono dimostrazione e stop; e non è un'accusa a tutte le madri italiane, non amo generalizzare, specifico: un certo tipo di madre italiana); una mamma che mi allontanasse da sé quanto necessario e non giocasse a nascondino coi sensi di colpa del figlio che – cazzo, me lo ricordo come fosse ora – alle elementari, durante l'ora di religione, domandò al prete (i preti facevano religione nelle classi e non certo gli insegnanti di religione laici designati dalla curia e pagati dallo Stato) cosa ci aspettasse in paradiso, e il prete gli controdomandò cosa lui si aspettasse e il figlio rispose che avrebbe voluto ritrovare sua madre in paradiso, supponendola dunque morta un giorno. Non ricordo cosa rispose il prete, non ha importanza, al paradiso non ci penso più, è assurdo, mia madre è anziana e sta piuttosto bene, nonostante che la sua sinistra sia ora costretta (?) a governare con Berlusconi, porcoddio bambino porcodddio.
Bambino. Ho un anno meno di Letta e mi chiama ancora bambino. Ma anche bischero - e questo mi consola.

lunedì 29 aprile 2013

Un albergo per quindicimila

*
*
Della serie: addentare il capitale.

Note politiche di un marxista in stand-by


Senza entrare nel merito delle singole proposte contenute nel suo discorso (non ho voglia di parlarne come i simpatici (?), nonché prezzolati (!) commentatori televisivi che si susseguono nei vari canali nostrani), a me Enrico Letta non è disgarbato. 
Mi sembra una persona in gamba, determinata, che dà l'impressione di riuscire a compicciare qualcosa, nei limiti della situazione offertagli. Impressione, ci tengo a precisare, dovuta al fatto ch'egli è - dei dirigenti del Pd - uno dei più esperti e navigati, figlio di un democristianismo di sinistra tra i più apprezzabili e meno ottusi. Di sicuro, a pelle, preferisco Letta a Renzi.
Del discorso in sé mi sono piaciuti i riferimenti frequenti alla Costituzione (in particolare agli articoli 2 e 3) e, soprattutto, l'aver detto con chiarezza, davanti a tutta l'assemblea parlamentare, che il primo partito italiano*, con undici milioni di elettori, è il partito dell'astensionismo (e da qui i pericoli, eccetera). Che un Presidente del Consiglio dei ministri non nasconda questo dato di fatto è per me sinonimo d'intelligenza politica - anche se lo avesse ha detto per meri interessi di salvaguardia della partitocrazia.
Infine, auguro a Letta di riuscire a dar luogo alle politiche senza rimanere prigioniero della politica**.

*Al momento, sono decisamente orientato ad iscrivermi
**In riferimento a una parte del suo discorso che richiamava la lezione del suo mentore, Beniamino Andreatta.

N.B.
Il titolo del post richiama, con gratitudine, la pedagogia politica di Olympe de Gouges.