Ad A. E.
Ho camminato da queste parti
le mani in tasca in cerca
di quel piccolo tepore che spezza
la lama del vento. Eppure tendevo
la mano a una compagna presente
che spesso ritrovo "su fili, su ali"
la sera e a lei mi sento vicino.
Dunque, dicevo, ho camminato
e non ero solo e i miei occhi
erano quattro e guardavano
insieme l'azzurro del cielo
screziato da pallide nubi d'argento.
Respiravo, ricordavo. E ritorna
la memoria di lavanda
che dischiude i propri segreti
e manifesta una minima esistenza
stanca d'impolverarsi in disadorne
soffitte dove il ragno è l'unico amico.
E non soffro, non ci riesco
perché il piacere è l'unica malattia
consentita, l'unica ricetta
per sopravvivere sereni
e respingere via le torme
del risentimento. Adesso
è bene le mani si lascino:
che ognuno impari a volare
da solo.
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