domenica 9 ottobre 2011

Il mio chiamare è un donarsi che tiene lontano



... Angelo, o stupisci, siamo noi questo,
noi, o tu grande, narralo che fummo da tanto, il mio fiato
non basta alla celebrazione. Così tuttavia non abbiamo
mancato gli spazi, prodighi e non perituri, questi
nostri spazi. (Quanto terribilmente grandi saranno,
ché millenni del nostro sentire non li ricolmano.)
Ma una torre fu grande, vero? Lo era, o angelo, -
grande anche di contro a te? Chartres fu grande -, e la musica
giunse ancora più oltre e ci sormontò. Pure anche soltanto
una amante -, oh, sola alla finestra notturna...
non ti giunse al ginocchio-?
Non credere che io ti lusinghi per ottenere.
Angelo, se pur ti chiamassi! Tu non vieni. Poiché il mio chiamare
è un donarsi che tiene lontano; contro tanta 
corrente non riesci ad incedere. Un braccio
proteso è il mio grido. E la mia mano che in alto
si apre per afferrare a te dinanzi
aperta rimane, a monito e scudo,
oh inafferrabile, e aperta.

Rainer Maria Rilke, strofa finale della VII Elegia Duinese. Traduzione di Anna Lucia Giavotto Künkler, Einaudi-Gallimard, Torino 1995

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