mercoledì 19 ottobre 2011

Il ricordo interrotto

«Il ricordo si interrompe là dove il mio pensiero comincia improvvisamente a occuparsi di me».
Thomas Bernhard, Ungenach, Einaudi, Torino 1993 (traduzione di Eugenio Bernardi).

Per questo è così difficile ricordare, così faticoso risalire alle sorgenti del proprio io perduto là negli anni dell'infanzia, rapito dai sogni incerti della giovinezza, obliterato dalle delusioni della maturità. Il ricordo impedito dal quotidiano bisogno di vivere, dalle esigenze del corpo che non sa, che non capisce che, vivendo, sta producendo ricordi che poi, un giorno, potrebbero anche essergli utili per vivere. 
Non conosco nessuno che abbia fatto questo esperimento: annotarsi dettagliatamente tutto quello che accade, minuto dopo minuto, in un giorno della sua vita. Persino i giorni migliori, quelli facili da ricordare - o peggiori, e per ragioni inverse ricordati - sono sempre mancanti di dati, di particolari, per esempio quante volte hai pisciato in quel determinato giorno e in quali gabinetti, o anche semplicemente il sapore esatto del cibo più gradito della giornata.
Me lo ricordo com'erano quei bicchieri di Sassicaia, l'unica volta che l'ho bevuto? Me lo ricordo il sapore della prima volta che ho messo la lingua là dove un giorno uscii (di un'altra donna, certo, non mi chiamo Edipo)? Me li ricordo, me li ricordo, ma non mi sono eterni, e se scavo nella mente li ritrovo contraffatti, perché li moltiplico o li divido, li seziono o li ricucio a seconda dell'umore di quel giorno in cui qualcosa li riporta alla superficie della mente.
Spero che in futuro la scienza e la tecnologia offrano agli umani uno strumento per decifrare tutte le impronte di vita che hanno calpestato la corteccia cerebrale, per poi poter leggere su schermo tali dati e verificare se ci riconosciamo. Poiché è questa la ragione principale per cui non facciamo che gettare ricordi nell'indifferenziato: per la paura di ricordarsi chi eravamo veramente - e non vogliamo certo correre il rischio di trovarci senza alibi; in fondo, siamo noi, allo stesso tempo, imputati e giudici, avvocati dell'accusa e della difesa. E se il processo che, continuamente, ci facciamo ha tempi molto lunghi, indeterminati, che al cospetto, quelli della giustizia italiana, sono rapidi come il frecciarossa, è perché non abbiamo nessuna fretta di trovare il colpevole, dato che molte volte, se lo troviamo, corriamo il rischio di essere più severi dei giudici del Texas.

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