Scrivere qui, d'estate, fa un certo effetto, come se fosse inutile più del solito, come se il farlo mostrasse ancor più la sua vacuità, il vuoto dentro, tipo quello che sta sostituendo l'essere che, illuso, credevo d'avere, il mio essere nel mio tempo, Sein und Zeit, Heidegger, ma vaffanculo.
Così si scrive come se si fosse soli, come se non si avesse da rendere conto a nessuno, come si parlasse a vanvera per spremere fuori un po' di coscienza che, in questi caldi pomeriggi di sole, se ne sta buona buona rintanata, all'ombra del proprio Sé. Poi viene la sera, i contorni del cielo magrittiani, e la coscienza bussa, vuole il fresco, vuole vedere se intorno ci sono pipistrelli che svolazzano nell'aere per catturare falene e altre amenità - anche se preferirebbe i vampiri, per succhiarle il sangue e sputare fuori il rimosso, il rintanato dentro la caverna dell'essere (e dài con questo essere quanto tu sei uggioso!).
Io di solito, dato che i telegiornali d'estate sono deleteri come il pianto, a proposito: Berlusconi!
(che canzone meravigliosa).
Ma dicevo, i telegiornali sono deleteri come il pianto, e io piango perché la mia coscienza più di questo non riesce a buttare fuori, nonostante essa abbia ottenuto, da alcuni anni, il brevetto di speleologia applicata all'essere. Però l'inconscio è parecchio sotterra: occorre la trivella.
Nessun commento:
Posta un commento