In Siria da tempo si fanno la guerra, una guerra civile tra siriani. Ora è partita la bambola dell'intervento perché l'esercito lealista di Assad - dicono gli americani e gli inglesi, ma non hanno ancora le prove - avrebbe usato armi chimiche.
A cosa mira l'intervento? A fiaccare l'esercito di Assad e a favorire gli eserciti ribelli, di modo che il dittatore venga finalmente detronizzato.
E poi? Ora, lasciando da parte il fatto che tra queste ultime fazioni vi sono anche i fondamentalisti islamici di Al Qaeda, non è evidente che le bombe non pacificheranno un cazzo e che, anzi, alimenteranno ancor più la guerra e lo scontro? Gli esempi dell'Afghanistan, dell'Iraq, della Libia non dimostrano questo? Ok, se lo scopo principale è l'instabilità perenne delle nazioni del vicino e medio Oriente, allora una logica (di merda imperialista) s'intravede.
In Siria da tempo si fanno la guerra. I morti ammazzati sono quasi centinaia di migliaia. I profughi milioni. I disperati che subiscono senza combattere altrettanti tanti.
Io non sono un pacifista tout court. Se ci sono due contendenti (oppure, come nel caso siriano, Assad e il partito Bath contro tanti, anche se più deboli), se non trovano ragioni per un accordo “pacifico” e vogliono farsi la guerra, che se le diano pure di santa ragione ma senza coinvolgere la popolazione civile.
Sparo allora la mia idea (meno pericolosa e, forse, più intelligente di un Tomahawk): anziché sparare supposte esplosive da milioni di dollari l'una, offrire soggiorno gratuito, a tempo determinato (il tempo di far cessare il conflitto), a tutti i profughi siriani nelle pressoché deserte località egiziane sul mar Rosso (pagherà zio Frank). Tra poco l'estate finirà, più che pensare a seppellire i morti occorre confortare i vivi. Dopo questo mini esodo, operarsi per creare una sorta di cordone umanitario per far uscire tutti i siriani non combattenti, che subiscono la guerra. Una volta svuotata la Siria di civili, lasciare i vari eserciti combattersi fino a che uno dei contendenti prevalga. Fare poi accordi e affari con quest'ultimo per la ricostruzione del paese.
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