martedì 13 dicembre 2016

Il messo (8)

Isabella era una ragazza alta, bella, bella veramente. Portava spesso i capelli raccolti, trascurata eleganza di chi sapeva che, al momento di scioglierli, ben pochi si sarebbero distratti per perdersi tale spettacolo.
Figlia di un industriale della carta, aveva quindi sempre vissuto negli agi del capitale: buona famiglia, buoni amici, buone scuole, buono tutto, quasi a sfiorare l'optimus se non fosse stato per il suo animo inquieto, l'irragionevole passione per Camus e la costante voglia di contraddire quello che i suoi speravano un giorno sarebbe diventata.

Dopo il liceo, si era iscritta a lettere, più che altro per approfondire una passione, lei veramente sì senza intenzione di diventare un giorno insegnante per ripiego. Un semestre seguì il corso di Storia del teatro che prevedeva un seminario con un affermato autore e regista italiano, comprensivo di una tre giorni full immersion in un piccolo teatro di provincia per le prove e un agriturismo per il resto.
Ancora ricordava con piacere quella sera in cui lei, insieme ai suoi compagni del corso, si ritrovò allo stesso tavolo degli attori e del regista. Dato che provavano a mettere in scena gli Atti senza parole di Beckett, mangiarono tutti all'insegna del silenzio. Interrotto soltanto dal sibilo di un peto che qualcuno improvvidamente non seppe trattenere (e soltanto quando il regista rise, tutti gli altri, compreso il professore ordinario, risero). Così come ricordava la prima sera nell'unica camerata riservata agli studenti. A lei, che si era attardata a entrare in camera, toccò dividere l'unico letto matrimoniale, enorme, con un compagno di corso più giovane, impacciato e taciturno, sicuramente più soddisfatto di lei della prospettiva. Quando si infilarono dentro le lenzuola fredde e umide, il giovane timidamente le disse che era la prima volta dai tempi in cui andava a letto da piccolo con la madre, che non dormiva con una donna.
Isabella più che lusingata cominciò leggermente a preoccuparsi e come mossa di difesa, si distanziò nell'angolo del letto. Ma questo non bastò a farle prendere sonno; e come lei, neanche il giovane dormiva. Dopo una mezzoretta, forse per l'agitazione che entrambi giustamente percepivano nell'altro (oltre che in se stessi), il giovane ebbe l'ardire di chiederle: «Posso tenerti un gomito per addormentarmi?». Isabella, forse presa dalla pena per il giovane compagno, ma forse più perché le era preso freddo, rispose di sì e la prima ad addormentarsi fu lei.

[continua presentazione Isabella]

1 commento:

Rachel ha detto...

Il gomito, che tenerezza.