sabato 18 febbraio 2017

Coraggio e avanti

Accorato appello di Mario Calabresi («Pd, dove sta il coraggio» senza punto interrogativo è un'affermazione, nevvero?) affinché il Pd non si spacchi, non si scinda, rimanga unito:
«Sarebbe una scelta irresponsabile che la stragrande maggioranza degli elettori del più grande partito della famiglia socialista rimasto in Europa non comprende e non comprenderebbe.»
La famiglia socialista.
Non voglio scomodare troppa storia inutile della politica italiana dell'ultimo quarto di secolo, ma ditemi - se ricordate, dalla Bolognina in poi - una sola cosa socialista che prima l'Ulivo (1996-2001), poi l'Unione (2006-2008) e infine il trio Letta-Renzi-Gentiloni hanno fatto, e io mi metterò a versare copiose lacrime su queste pagine, molte più di quella prefica del direttore di Repubblica nelle sue.
«Viviamo tempi davvero difficili»
Leggere una frase simile ne è prova.
«Tempi che richiedono generosità, pazienza, capacità di alzare lo sguardo e coraggio.»
Dopo aprile, infatti.
Comunque, più dello sguardo, sarebbe meglio essere capaci di alzare qualcos'altro.
«Dividere un partito che governa città, regioni e che guida l’Italia significa soltanto una cosa: consegnare il Paese alla sfida tra una destra che non nasconde le sue pulsioni xenofobe e un Movimento che cavalca qualunque malumore speculando sulla rabbia e sull’esasperazione.»
Non ha proprio più la vocazione d'essere un giornale di (finta) opposizione, Repubblica. Teme proprio di rinunciare al proprio status di organo semi-ufficiale di un partito che minaccia scissioni.
«I danni della loro [di Renzi, Bersani, D'Alema] guerra intestina, della loro incapacità di trovare una sintesi sono sotto gli occhi di tutti.»
Sotto gli occhi di tutti, cadono cispe.
«Farebbero bene a non scambiare il silenzio dei loro elettori per assenso, quel silenzio è invece pieno di preoccupazione, di angoscia, di smarrimento. » 
Siamo d'accordo che se uno tace sta zitto, ma manco per nulla star zitti equivale a essere preoccupati, angosciati, smarriti. Personalmente, io taccio perché mi è difficile trovar parole sull'insignificanza piddina.

Invece Calabresi, paternalmente, prescrive alla dirigenza piddina la seguente terapia sensoriale:
«Lasciate stare le vostre aritmetiche e aprite gli occhi, guardatevi in giro, uscite di casa, alzatevi da quei tavoli su cui fate strategie perdenti e mettetevi in ascolto. Basterebbe una passeggiata di un'ora per capire, basterebbe osservare il piano inclinato su cui sta scivolando il continente per rinsavire»
Occhi da aprire, orecchi per ascoltare, gambe per camminare per osservare la deriva degli incontinenti. 
Non mancano neanche suggerimenti operativi:
«... e non sprecate quest'ultimo anno di governo. Non per fare campagna elettorale ma per dare risposte alla disperazione dei giovani, alla richiesta di sicurezza (mostrando che è possibile coniugare legalità e umanità) e per completare un programma di diritti sociali che rischia di perdere l'ultimo treno.»
Avere il polso di quello che si scrive è cosa fondamentale per un giornalista, figuriamoci per un direttore. Qui è palese che Calabresi, preso da tanto afflato retorico, non si renda conto della manifesta contraddizione tra il «dare risposte alla disperazione dei giovani» e il «completare un programma di diritti sociali che rischia di perdere l'ultimo treno», giacché - da un punto di vista prettamente politico - è evidente che il governo in carica e quelli dimissionari siano altamente responsabili del fatto che i giovani sono disperati, anche per colpa della parte di programma sin qui completata. Per esempio, la riforma chiamata jobs act ha diminuito o aumentato la disperazione giovanile? [ Update: Qui un ottimo esempio di giovane disperato]
«Un compromesso alto è possibile se»
I compromessi alti sono possibili soltanto se a farli ci sono persone di alta levatura, in questo caso politica. La politica italiana (e non solo, ma limitiamo il campo d'indagine) è affetta da anni da nanismo (politico) e i partiti, i movimenti non sono affatto punti di riferimento sociale e culturale, ma mere consorterie per la gestione degli ultimi soldi del disavanzo pubblico.
E «il popolo della sinistra», ammesso e non concesso che esista l'astrazione di popolo di questo o di quello, non guarda né ai vecchi astori, né ai giovani castori di partito. Non li guarda, non li può guardare perché esistono distrazioni migliori per non pensare alla catastrofe.

3 commenti:

quattrocani ha detto...

E se eliminassimo alla radice queste consorterie? Si può fare a meno dei partiti?
"...l'istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi".
(Simone Weil, "Note sur la suppression générale des partis politiques")

Luca Massaro ha detto...

Per parafrasare un noto andante: felice quella società che non ha bisogno dei partiti...

Olympe de Gouges ha detto...

Dopo Marx, aprile. È sempre stato il loro motto.
Che cos'abbiano a che spartire quel fascistello di Renzi e la Furbacchiani e tutti gli altri col socialismo, ma anche solo con la socialdemocrazia solo quel poveretto di Calabresi lo sa.
Alle prossime elezioni prenderanno una randellata storica.