sabato 11 febbraio 2017

Il messo (23)

«Non credo di voler essere felice», lesse Marcello. «Confesso di non aver molta esperienza con la felicità, eppure ho come la vaga sensazione che non sia fatta per me, o io per lei. La felicità dura un attimo, il tempo di rendersene conto ed è già finita, non sta, non è qualcosa che permane appena la si ha o ci si è; essere felici è come raggiungere la cima di una montagna: si pianta la bandierina e poi, per forza, tocca scendere, si deve scendere, non si può rimanere in cima vita natural durante, a fare che, l'unico modo sarebbe morirci su in cima, morire felici, sigillare (d'oro, come la Bocchino) l'attimo di felicità e buonanotte.
Dunque, per quel che mi riguarda, non credo proprio di voler essere felice: piuttosto vorrei essere predisposto alla felicità, scalarla e basta, arrampicarmi sulla sua parete, starci appeso, vederla da sotto in su, faticare per raggiungerla, ma mai, e dico mai, conquistarla.
Finora, nella mia vita, sono stato bene soltanto a salire, ad arrampicarmi, a stare sospeso, non dopo, con la sospirata conquista della vetta e poi, a seguire, l'inevitabile scendere. Anzi, appena fatto un passo in discesa, subito sono stato assalito dalla malinconia, dalla tristezza, da un malessere profondo, dalla depressione. Appunto. Non vedevo l'ora di toccare il fondo per rivedere la felicità dal basso, per capire che l'unico modo è salire, salire - e io salirò salirò fino a quando a sarò, eccetera.

In questo momento sono sereno, appeso a mezza costa, sospeso, forse soddisfatto, come le anime del Purgatorio che patiscono felicemente l'attesa. Ogni tanto passa una teleferica alla quale potrei chiedere un passaggio per far prima a raggiungere l'obiettivo; ma io rinuncio, non serve a niente, inutile avere fretta, meglio vivere nell'attesa di essere felice, che rimpiangere una felicità che non c'è, non ci sarà mai più».

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