venerdì 17 aprile 2020

Il potere di far niente


Oggi, dopo un mese di fermo e brevi camminate con il cane nei dintorni, ho fatto una corsetta, duecento metri sotto casa, lungo il perimetro di un campo di grano recintato da un filo elettrico anti-cinghiali. Cinque giri, due chilometri e mezzo, un passo lento, tra sterrato ed erba, tra pietre scartate e cacca di un gregge che passa di qua. E tutto questo verde intorno, questo privilegio di abitare la campagna - come se uno schiaffo di benessere mi avesse colpito e rinfrancato. 
Non va tutto bene - non sto a dire perché - ma va tutto bene ed ho detto perché. 
Perché ho fatto qualcosa che facevo anche prima e fanculo a chi ripete in coro che niente sarà come prima. Perché l'ansia fottuta è ritornata sotto le ali di una pacata rassegnazione e il pessimismo esistenziale si è sciolto nel brodo di quello cosmico, molto più rassicurante, giacché dissolve l'io nella polvere prima che la polvere si posi, come su un soprammobile, su di lui.
Il peso del participio passato (‘stato’ anche con l'esse maiuscola) si è trasformato in una sostenibile leggerezza del participio presente (‘essente’). Finalmente, ho potuto far niente. 
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La vita
dovresti poterla
ricordare
come un viaggio all'estero

e con gli amici o le amiche
parlarne poi
e dire

è stata una bella cosa,
la vita,
e vedere frammenti di donne, segreti
e paesaggi

e appoggiarti contento allo schienale
ma i morti non si appoggiano agli schienali.

Non possono fare proprio niente.

Cees Nooteboom, Niente, dalla raccolta Luce ovunque, Einaudi, 2016 (traduzione di Fulvio Ferrari) 



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