sabato 6 novembre 2010

La distribuzione dei tramonti



Lucas «è patologicamente sensibile all'imposizione di ciò che lo attornia, del mondo in cui vive, di ciò che gli è toccato in sorte, per dirla gentilmente. In una parola, gli fa schifo la circostanza, il mondo gli fa male»¹. E allora? Collezionare tramonti, riflessi di cielo suggestivo, orizzonti imprevedibili, scarti semantici, acquisizione delle gioie minime riservate a chi tiene desti i sensi, senza la smania di divenire schiavo della percezione. Si viaggia lo stesso, asfalto o terra battuta: l'importante è cercare riflessi di sole tra le ombre della vacuità.

¹ Julio Cortàzar, Il gioco del mondo, Einaudi, Torino 1969 (traduzione Flaviarosa Nicoletti Rossini).

Ruoli eccelsi

Pregiatissima Del Santo Lory,
Le sarebbe piaciuto, concediamo*... ma seguirlo ai gabinetti mondiali, insomma, una signora come Lei... questo non ce lo aspettavamo.

* Forse se era nata nel 1988 qualche speranza in più ce l'avrebbe avuta.

Dai narcos ai guardia parcos

Leggendo il reportage di Pietro del Re su Repubblica, vengono in mente - come sempre quando si tratta di simili argomenti - due cose: perché accadono questi massacri e cosa fare per impedirlo. Il perché accadono lo dimostra il reportage stesso: la quantità di soldi e di interessi legata al flusso della droga transitante dal Messico per giungere al florido mercato degli Stati Uniti.
Per impedirlo, o meglio, per cercare di porre fine a tale tipo di stragi occorrerebbe provare con la completa liberalizzazione commerciale degli stupefacenti.
Non voglio infrenarmi con i soliti discorsi dei pro e dei contro. Dico solo: che sia fatto un esperimento a livello internazionale di completa liberalizzazione e regolamentazione (come avviene in fondo per l'alcol, lo zucchero, il petrolio, le armi, il latte eccetera); un esperimento di qualche anno, poniamo un quinquennio, dopo il quale si trarranno le debite conclusioni. Avremo una società di drogati e tossici che si aggireranno nelle nostre metropoli occidentali molto più di ora e in peggior modo? Le varie mafie del mondo saranno costrette ad aprire una partita Iva e dovranno emettere fattura? Aumenterà il Pil? Proviamo, sperimentiamo: sono convinto che, in breve tempo, la carneficina per il controllo del traffico della droga avrà fine.

venerdì 5 novembre 2010

Per una diversa drammaturgia

«Quando ero ancora a Heřmanice [carcere di detenzione preventiva] è accaduto un fatto in apparenza non degno di nota, ma per me molto importante interiormente: avevo il turno pomeridiano, era una meravigliosa giornata estiva e stavo seduto su una pila di ferro, riposavo e pensavo alle mie cose mentre in lontananza, dietro la recinzione, osservavo la cime di un albero solitario. Il cielo era di un azzurro intenso, senza nuvole, faceva caldo e non soffiava un alito di vento, le foglie dell'albero brillavano e tremavano debolmente. E lentamente, ma tangibilmente, mi trovai in una disposizione mentale molto strana: mi immaginai di essere sdraiato sull'erba sotto un albero a non far niente, non attendere nulla, non preoccuparmi di nulla, lasciandomi soltanto stordire dal caldo giorno estivo. D'un tratto mi è sembrato che in quell'attimo fossero presenti tutti i bei giorni d'estate trascorsi e quelli ancora da trascorrere […] Nella mia mente mi sembrava di vivere un momento di suprema felicità, di gioia infinita (era come se tutte le altre gioie importanti come, ad esempio, la presenza di coloro che amo, si tenessero in quel momento insieme in maniera profonda), che s'impossessava di me fisicamente e non si limitava a questo: era un momento supremo, di assoluta consapevolezza di me stesso, uno stato immensamente elevato dello spirito, una fusione totale e armonica dell'esistenza con se stessa e con il mondo intero.
Fino a lì niente di particolarmente straordinario. La cosa importante è che tale esperienza, che contrastava così evidentemente con la mia realtà della prigione e del lavoro con il ferro, era più improvvisa e urgente del solito, e mi ha reso consapevole più chiaramente di qualcosa che prima di quei momenti ho provato solo in maniera confusa, cioè che quello stato di suprema felicità conteneva fatalmente in sé un filo d'ansia vagamente opprimente, una leggera eco di malinconia infinita, uno strano sottotono di senso di inutilità profondo e ineluttabile. Si è storditi, si ha proprio tutto quanto si possa immaginare, non si ha bisogno di nulla e non si vuole più nulla e, contemporaneamente, è come se si avesse la sensazione di non avere proprio niente, che la felicità è solo un tragico preludio, che niente ha uno scopo e non porta a nulla. In breve, quanto più bello è il momento, tanto più chiaramente si innalza ancora davanti a noi la chimerica domanda: e che cosa poi? Che cosa in più? Che cosa ancora? Che cosa in seguito? Che cosa bisogna fare dopo e che cosa ne verrà fuori? Si tratta, direi, della percezione dei limiti del finito; ci si è avvicinati ai più remoti confini del significato che l'esistenza finita e terrena può offrire (il significato “spontaneo” e “non metafisico”) e proprio per tale ragione si apre d'un tratto la vista nell'abisso dell'infinito, dell'incertezza, del mistero. Non c'è davvero nessun altro luogo dove andare, salvo nel vuoto, nell'abisso stesso».

Václav Havel, Lettere a Olga, Santi Quaranta, Treviso 2010 (pag 255-6, traduzione dal ceco di Chiara Baratella).

Chissà se un giorno, dopo la fine della dittatura berlusconiana, riusciremo, noi italiani, ad avere un presidente del consiglio dei ministri drammaturgo, e non uno – come l'attuale – che, ogni volta che parla, occorre per la mente uno spurgo.

Non chiederci la pezzola

Ad Aisha e a Sakineh


Stimolato da Giulio, ricevo e pubblico questa versione montatiana del celebre componimento montaliano.




Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Eugenio Montale, Ossi di seppia.
Non chiederci la pezzola che squadri da ogni lato
il nostro volto informe, marchiato dal raschio
de' tuoi artigli di religioso, crudele maschio
che anche il nostro respiro vuole soffocato.

Ah, l'occidentale che se ne va sicura
agli altri e a se stessa amica,
e l'ombra sua non teme la fanatica
frusta o mannaia che ci stampa al muro.

Non domandateci formule, ma dateci una mano
sempre gridando allo scandalo vergognoso
al quale siamo condannate nel mondo talebano
dove il nostro essere donna non ha mai riposo.


Edoardo Montato, Fossi di melma.

L'estate dei pipistrelli




In questo caldo di metà ottobre
la notte cala prima il suo sipario.
Tutto ciò è secondario
all'inutile tuo andare
in bilico come Joseph prima
di partire sulla strada del peggio
(o del meglio, dipende).

Non puoi conciliare,
ti piaccia o non ti piaccia,
la vita indecisa e la faccia
sospesa nel fango
della passeggiata dei Templi
ove ripassi, del vivere, gli esercizi -
e il vento ti riporta tutti i vizi
che avevi gettato nel tempo.

La vedi davanti la scelta che frena
l'ultima scorciatoia, la piena
che romba lontana del fiume,
lo sguardo che cerca l'ultimo lume.
Meno male, non sei solo:
un formidabile pino silvestre
allarga più d'una gru le braccia
e lancia i suoi aghi a capofitto,
nel dirupo.

Arriva una folata e corri
la dove è acceso il fuoco. Bruci ceppi
di cerro; con l'attizzatoio pungi
le ruvide mattonelle. Avvampi,
togli il pullover, ti scompigli, aduggi
la parete, mimesi d'Oriente?
Col cencio umido avvolgi
i castrati marroni, seduto
li strizzi, li stringi, li abbracci, (ti bruci),
li sbucci uno ad uno, uno e trino
(uno su tre anche le castagne)
nel silenzio d'oro novembrino.

È l'estate dei pipistrelli,
li vedete abbracciare l'aria notturna
ghiotti d'insetti e di brezza.
La tua fame di carezze
è un'altra: muovi i polpastrelli,
incomincia la caccia.


mercoledì 3 novembre 2010

Lucas, la sua politica

Lucas sta subendo una scomparsa. Luca ta ubendo una compara. Ha perso la S, la esse di silenzio.
E allora parla, ricorda, rituffa lo sguardo nel vecchio quaderno di versi, dove insieme a tanta letizia ritrova mestizia. La propone con riso su labbra cosparse di olio di mandorla. Se gli passate accanto, rischiate di ungervi il mento. Prediligere il mento, lo sposo della mente. Leggiamo. In questo momento tremendamente impolitico, fare piazza in se stessi. Mano, mano piazza ci passò una Clizia pazza. Lucas la vide, la prese, la sollevò - non la cucinò, figuriamoci se la mangiò - chissà se la fece volare.

Com'è terribile sentire dentro
l'essere sciogliere duro ghiaccio
resistente – aver immaginato
la sua fissità, immobilità.
Com'è terribile sentire dentro
l'essere sciogliere un sentimento –
neve perenne sulla cima del cuore –
aver creduto nell'immota sua apparenza.
Ma i rivoli scorrono senza
fermarsi, il clima è mutato.
Com'è terribile sentire dentro
l'essere un amore che si scioglie
ineluttabilmente: come le foglie
cadono inermi a nutrire il terreno.
Possibile... possibile... Eppure
prendono forma nuove figure
si stabilisce una nuova apparenza.
Ma come possibile è la conoscenza
prima di un più e ora di un meno 
attaccarvisi, afferrarla...
Sta' zitto, sta' zitto sennò lei non parla.

L'onore dei Mozzi

Abbiamo fatto un Va & Vieni,
sono andato,
non sono venuto:
avevo voglia di conservarmi.
Mi sono anche insaccato.
Ma poi lei mi ha spalmato
la parte di salse e di aromi
con mani sapienti, divine.
E portandosi più vicina
ha sparsa un po’ di saliva,
e ha ingoiato due etti di me.
Ho sempre sognato
di diventare würstel
carne gonfia senz’osso.
Frankfurter e maionese:
la prego signora mi assaggi
(non coi denti!), mi dica
se ho sapore di vita.
Sono stato a un Sali & Tabacchi,
ho comprato solo sale
non tabacco:
avevo voglia di conservarmi.
Mi sono fatto insaccato,
mi sono spalmato
la pelle di sale e di aromi
con mani sapienti, norcine.
Se qualcuno mi passa vicino
gli comincia la salivazione
e chiede due etti di me.
Ho sempre sognato
di diventare affettato
carne vicina all'osso.
Jamón Massaro e melone:
la prego signora mi assaggi
mi addenti, mi dica
se ho sapore di vita.



Ormai non mi è rimasto nient’altro
Che un BigMac con cui pranzare;
per pranzare con me stesso come un altro –
e ingrassare.

Rimastico cento volte lo stesso boccone
Privandolo così d’ogni sapore,
riducendolo a materia che via colon
al mondo tornerà, tra poche ore.

E mi turba l’eterno digerire:
mi rintano così nelle diete
dove tutto è fame e sete
e si sta immobili per non morire.

Orrore, vuotezza, miseria…
Bestemmio contro il mio intestino inquieto.
La buona tavola è l’unica cosa seria
E a tutto il resto – prott! – un peto.
Ormai non mi è rimasto nient'altro
che uno specchio con cui parlare;
per parlare a me stesso come a un altro –
e fornicare.

Ripeto cento volte la stessa parola
privandola così di significato,
riducendola a mero suono che vola
nell'aere leggero, sì, ma inquinato.

E mi turba l'eterno presente:
mi rintano così nel possibile
dov'ogni decisione è assente
e lo stare fermi plausibile.

Orrore, vuotezza, miseria...
bestemmio contro il divenire inquieto.
L'età dell'oro è l'unica cosa seria
da contemplare come un decreto.


Giulio Mozzi, sulle colonne di sinistra, mi ha onorato con una riscrittura parodistica di due mie poesie. Il risultato (suo) mi sembra talmente apprezzabile che i miei versi, se qualche minimo valore avevano, adesso l'hanno centuplicato. Lo ringrazio pubblicamente. 

martedì 2 novembre 2010

Lucas, partita n. 2




Ormai non mi è rimasto nient'altro
che uno specchio con cui parlare;
per parlare a me stesso come a un altro –
e fornicare.

Ripeto cento volte la stessa parola
privandola così di significato,
riducendola a mero suono che vola
nell'aere leggero, sì, ma inquinato.

E mi turba l'eterno presente:
mi rintano così nel possibile
dov'ogni decisione è assente
e lo stare fermi plausibile.

Orrore, vuotezza, miseria...
bestemmio contro il divenire inquieto.
L'età dell'oro è l'unica cosa seria
da contemplare come un decreto.

Fastidioso ripetere

«Vogliamo ripeterlo? Vogliamo ripetere che questo paese è condannato a tenersi un personaggio che ha inequivocabilmente fallito nella sua avventura politica degli ultimi diciassette anni (e che sta affondando nel discredito internazionale) ma che continua a galleggiare e periodicamente a tornare solo ed esclusivamente grazie al fatto di avere uno schieramento avversario come questa sinistra? Diciamolo, al risveglio e prima di addormentarci. Perché è la motivazione prima ed ultima del fallimento di un intero paese».

Può darsi, Phastidio, può darsi. Tuttavia, io credo che, se si considera che dal 1994 ci sono state 5 elezioni politiche (dalle quali Berlusconi è uscito vincitore tre volte), io credo che le motivazioni seconda, terza, quarta, quinta eccetera fino a un numero X illimitato, «del fallimento di un intero paese» siano da addebitare non tanto alla sinistra, quanto a chi per una, due, tre, quattro, cinque volte a Berlusconi (e ai suoi alleati) ha dato il voto veramente.

Ma tu guarda

«Lucas nel salone del lustrascarpe vicino alla Plaza de Mayo, mi metta il lucido nero sulla sinistra e giallo sulla destra. Che cosa? Nero qui e giallo qui. Ma signore. Qui mi metti nero, amico, e basta che devo concentrarmi sulle corse di cavalli.
Cose simili non sono mai semplici, sembra una sciocchezza ma è quasi come Copernico o Galileo, quegli scrolloni al fico che lasciano tutti a guardarti di stucco. Questa volta, per esempio, c'è il furbo di turno che dal fondo del salone dice al suo vicino che questi finocchi non sanno più cosa inventare, diamine, allora Lucas si distrae dalla possibile vincente nella quarta (fantino Paladino) e quasi con dolcezza consulta il lustrascarpe: cosa dici, il calcio nel culo glielo stampo col giallo o col nero?»

Julio Cortázar, Un tal Lucas, “Lucas, le sue lustrate di scarpe” 1940

Lucas, le sue inquietudini

La speranza di pure rivederti
m'abbandonava;
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d'immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:




(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).

Eugenio Montale, Mottetti

Lucas, inquieto, semiangosciato, camminava tra portici non di Modena (piccola città, bastardo posto), osservando se qualche foglia potesse regalargli un tocco di rosso al suo cuore spento, quando con la punta della sua scarpa sinistra pesta, non due sciacalli, ma la di loro merda fresca. Lucas vorrebbe maledire i cani, ma opta subito per il padrone degli stessi, servo suo malgrado, anche se al momento riveste i panni della quarta carica dello Stato.
- Pare porti bene, sorride una signora sugli ottanta di ritorno dalla spesa quotidiana.
- Può darsi, signora, può darsi, dice Lucas, aggiungendo che si accontenterebbe di un bene, uno solo, un piccolo barbaglio di presenza.

lunedì 1 novembre 2010

Storici, siate diligenti

«143. Parmi che tutti gli istorici abbino, non eccettuando alcuno, errato in questo, che hanno lasciato di scrivere molte cose che a tempo loro erano note, presupponendole come note; donde nasce che nelle istorie de' Romani, de' Greci e di tutti gli altri, si desidera oggi la notizia in molti capi; verbigrazia, delle autoritá e diversitá de' magistrati, degli ordini del governo, de' modi della milizia, della grandezza delle cittá e molte cose simili, che a' tempi di chi scrisse erano notissime, e però pretermesse da loro. Ma se avessino considerato che con la lunghezza del tempo si spengono le cittá, e si perdono le memorie delle cose, e che non per altro sono scritte le istorie che per conservarle in perpetuo, sarebbono stati piú diligenti a scriverle in modo che cosí avessi tutte le cose innanzi agli occhi chi nasce in una etá lontana, come coloro che sono stati presenti, che è proprio el fine della istoria».

Francesco Guicciardini, Ricordi

Lucas, le sue preghiere

Lucas cammina sotto la pioggia, cappello di feltro a tesa larga, niente ombrello, costeggia un viale di cipressi (ma non è un cimitero). Pensa a quante preghiere ancora ricordi: non molte, qualcuna, le classiche, più un paio di Salmi nella versione ceronettiana. Ne prova uno, il 16, preghiera notturna di David.

Dio guardami tu
Tutto mi stringo a te
Al tuo Nome io dico
Il mio Signore sei tu
Il mio bene non è che in te
Santità false inondano la terra
Potenze che tutti venerano
E innumerevoli siano pure
I loro idoli di stortura
E con tanti a corrergli appresso!
Io trincate di sangue non gli verso
Né le bocca mi infetto coi loro nomi.
Il mio colpo di dadi
Tra le delizie mi ha collocato
Bello è ai miei occhi quel che possiedo
Io benedico il Signore e il suo sussurro
Il suo notturno dai reni darmi barlumi
Davanti a me in perpetuo sta il Signore
Come barcollerei con Lui a lato?
Ne ha il mio cuore frescura
E si gonfia il mio fegato di gioia
Vi si agglutina nella calma
La carne
Tu la mia anima non la getti tra i morti
Vedere la distruzione
Neghi a chi è tuo fedele
Tu mi hai svelato la via che dà la vita
La gioia è al colmo là dov'è il tuo Volto
Accanto a te il bene è senza fine.

Lucas, sillabando questo Tu, pensa a qualcun'altro che non a un Ente ultraterreno; tuttavia, la memoria gli riporta a una sua preghiera, improvvisa, rivolta a nessun dio. Ascoltiamo

Lìberati da ogni frenesia, pensiero. Sii inquieto e scalzo e privo di impiastri, di legamenti e vai tra la perduta gente, vivo. Presentati, fa' sagge le loro mani, soprattutto il movimento del pollice e dell'indice, presa ideale dell'intero universo, di un pinolo, di una pera, di un lembo di pelle innamorata (quella del collo, preferibilmente). Vai, pensiero, senza musica, non importa. Liberaci dalla nostra indigestione, dalla prigione di grassi industriali, dalla polvere. Sali più alto del fumo che annebbia la mente e la respirazione. Respira tu al posto nostro, oltre le nubi e la pioggia e poi ridiscendi, a lavarci la fronte in questa giornata umida.

Lucas si ferma, tace, cerca riparo sotto una stretta tettoia, estrae un libello, legge Il picchio di Williams nella traduzione sublime della Cristina Campo.

Innocenza, innocenza, condizione del cielo!
Solo nell'ignoto saremo
festeggiati, nutriti. Ritualmente. L'ignoto,
rifugio a cui ci scagliano. Perché
seppure, privi di paracadute, saremo
piatti contro la terra, non sarà più la stessa terra
che lasciammo pel volo. Cercando che? Non c'era nulla
lassù. Né più l'ignoto, ora. Eppure mai
conoscemmo la terra come abbattuti, rotti
contro di lei. Dall'alto noi cadiamo, innocenti,
verso le nostre morti.

Mi andrebbe, di Novembre,
essere un picchio dei boschi. Un grido, un moto,
rosso tocco tra i rami nudi. Un lampo,
una destinazione tra le eterne – e lo scarabeo
fine del volo. Nutrito; e la cerimonia
senz'altro testimone che le rocce muschiate,
le foglie secche, i dritti corpi degli alberi.
È l'innocenza: scaglia il corpo nero e bianco
nell'aria, e innocenza lo guida. Volo è solo
brama e brama è la fine del volo: ti pugnala
laggiù, con qualche lingua di ferro che trionfa!

Lucas si sdilinquisce, riosserva la pioggia che non cessa, ascolta il rumore della piena, discende giuso in Arno. Domani, il mare.

Strade aperte

Good Luck (bon courage)
Mister Craig Le Sauvage.