mercoledì 3 novembre 2010

L'onore dei Mozzi

Abbiamo fatto un Va & Vieni,
sono andato,
non sono venuto:
avevo voglia di conservarmi.
Mi sono anche insaccato.
Ma poi lei mi ha spalmato
la parte di salse e di aromi
con mani sapienti, divine.
E portandosi più vicina
ha sparsa un po’ di saliva,
e ha ingoiato due etti di me.
Ho sempre sognato
di diventare würstel
carne gonfia senz’osso.
Frankfurter e maionese:
la prego signora mi assaggi
(non coi denti!), mi dica
se ho sapore di vita.
Sono stato a un Sali & Tabacchi,
ho comprato solo sale
non tabacco:
avevo voglia di conservarmi.
Mi sono fatto insaccato,
mi sono spalmato
la pelle di sale e di aromi
con mani sapienti, norcine.
Se qualcuno mi passa vicino
gli comincia la salivazione
e chiede due etti di me.
Ho sempre sognato
di diventare affettato
carne vicina all'osso.
Jamón Massaro e melone:
la prego signora mi assaggi
mi addenti, mi dica
se ho sapore di vita.



Ormai non mi è rimasto nient’altro
Che un BigMac con cui pranzare;
per pranzare con me stesso come un altro –
e ingrassare.

Rimastico cento volte lo stesso boccone
Privandolo così d’ogni sapore,
riducendolo a materia che via colon
al mondo tornerà, tra poche ore.

E mi turba l’eterno digerire:
mi rintano così nelle diete
dove tutto è fame e sete
e si sta immobili per non morire.

Orrore, vuotezza, miseria…
Bestemmio contro il mio intestino inquieto.
La buona tavola è l’unica cosa seria
E a tutto il resto – prott! – un peto.
Ormai non mi è rimasto nient'altro
che uno specchio con cui parlare;
per parlare a me stesso come a un altro –
e fornicare.

Ripeto cento volte la stessa parola
privandola così di significato,
riducendola a mero suono che vola
nell'aere leggero, sì, ma inquinato.

E mi turba l'eterno presente:
mi rintano così nel possibile
dov'ogni decisione è assente
e lo stare fermi plausibile.

Orrore, vuotezza, miseria...
bestemmio contro il divenire inquieto.
L'età dell'oro è l'unica cosa seria
da contemplare come un decreto.


Giulio Mozzi, sulle colonne di sinistra, mi ha onorato con una riscrittura parodistica di due mie poesie. Il risultato (suo) mi sembra talmente apprezzabile che i miei versi, se qualche minimo valore avevano, adesso l'hanno centuplicato. Lo ringrazio pubblicamente. 

2 commenti:

giuliomozzi ha detto...

Tema di riflessione. Se ci leggiamo il canzoniere di Petrarca tutto di fila, non possiamo non avere l'impressione di aver davanti una sorta di sistema combinatorio: in ogni singola poesia ogni verso sembra scambiabile con un altro, ogni singola parola scambiabile con un'altra. Ovviamente - per non mancare di rispetto al Poeta - sempre all'interno di un ristretto elenco di possibilità. La parodia consiste nell'espansione del ristetto elenco, così che facilmente, che so, "Solo e pensoso i più deserti campi" diventa facilmente "Sozzo e rugoso quel pisello stanco", eccetera.
Ora, se c'è stato un "progresso" in poesia (come nella prosa, peraltro), questo è consistito appunto nell'estensione dell'elenco di possibilità. Le cose nominabili in poesia sono diventate, nei secoli, sempre di più. Eppure mi sembra ancora, leggendo certe poesie, di ritrovare la pratica petrarchesca (nelle mie, soprattutto): dove, seppure l'elenco di possibilità è più vasto, comunque il metodo è sempre quello, ossia combinatorio.
E forse le poesie di questa specie sono quelle che piacciono a Luca; visto che a lui la parodia interessa (è un metodo d'analisi testuale come un altro, più divertente di altri) e che i testi che lui propone suscita in me il bisogno irresistibile di scriverne...

giuliomozzi ha detto...

Dimenticavo: "Sozzo e rugoso quel pisello stanco" è ovviamente un possibile inizio per una poesia in lode di Gregor Mendel.