martedì 7 febbraio 2012

Silenzio di burro cacao


Mattino ad Arcetri.
Si appannano i vetri
a vederti così –
così subito bella.
Mi mostri una stella
coperta di nubi
che passa tra i tubi
del telescopio, riflessa.
Vorresti te stessa
che uscisse
dal sistema solare.
«Lo puoi fare – ti dico –
se solo la smetti
di girare intorno all'ellisse».
Ti chiamo per nome
e mi sembra che sia
la prima volta che lo faccio.
Mattino ad Arcetri di ghiaccio.
Si entra nel buio
tanti girini-particelle
di raggi cosmici
guizzano nello schermo nero.
Ti leggo il pensiero
se ti guardo negli occhi.
Se mi guardi negli occhi
mi leggi il pensiero.
A girare intorno al sole
a velocità diverse
succede che due anime perse
non si trovino più sole
un giorno, ma allineate.
Dura poco, concordo.
Ma quello che strappi
alla vita diventa ricordo.
Credo che tu lo sappia
questo. Allora vieni
usciamo da questa gabbia,
prendiamo insieme la rincorsa
stringiamoci per allentare
del gelo la morsa –
similitudine grama, concordo,
ma tanto qui nessuno
ci sente o ci chiama
forse solo Nettuno, ma è sordo.
Questo vento ci spiazza:
fatichiamo a parlare
e le labbra si muovono lente.
Silenzio di burro cacao.
Se ora ti bacio mi prendi per pazzo.
Se ora mi baci ti prendo per pazza.
«Vuoi che ti accompagni?»
«No grazie, ho l'auto
parcheggiata là in piazza».

lunedì 6 febbraio 2012

Azzurra libertà

Ha ragione Formamentis: «il liberalismo nasce stronzo» perché è stronzo l'uomo, soprattutto quello che si autoproclama liberale e scende in campo con la determinazione di fare rivoluzioni liberali -  e noi italiani riconosciamo in questo illustri esempi. Scrive Formamentis:
«Il liberalismo non nacque come conquista della ragione illuminata, ma come pretesto per allargare la base imponibile della ricchezza agli ormai vastissimi strati della borghesia mercantile».
E infatti, chi più del precedente presidente del consiglio dei ministri ha allargato la propria base imponibile in questi anni, nonostante l'impoverimento generalizzato della classe media che credé nella sua presunta rivoluzione?

Ma il discorso, qui, è molto più serio di quanto il mio trito riferimento a Berlusconi voglia far apparire. Qui si tratta di uno scontro tra ideologie, e il labile confine tra autentici liberali e autentici marxisti si assottiglia sempre più. Si tratta di liberare l'uomo dalle sue catene... ma quale uomo? L'Altro? No, se stessi, prima di tutto e su tutto. 
Olympe mi obietterà che se non si modificano i meccanismi di produzione e non si smantella il dominio della borghesia non si otterrà nulla. Può essere, non lo escludo, ma ritengo che prima di tutto debba avvenire un'autentica presa coscienza di sé, di chi si è, di che cosa si vuole (o vorrebbe) essere e dopo - solo dopo - una presa di coscienza di classe. 
Facile, io parlo dalla posizione di chi ha un posto fisso... e poca urgenza rivoluzionaria.

domenica 5 febbraio 2012

Una lettera su una lettera a un direttore


Càpita spesso che un direttore di giornale, nella sua rubrica di Lettere al direttore, estragga una missiva che gli consenta di rispondere brevemente, con una sola frase “liquidatoria”, vuoi per accogliere o acconsentire, oppure per replicare o rifiutare il commento del lettore o della lettrice.
È quello che accade oggi a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

Eppure, nel leggere la lettera della signora, madre quarantaquattrenne di Alzano Lombardo, mi sono accorto che, ad aver avuto voglia, qualcosina in più ci sarebbe stato da rispondere, fosse stato solo per dare maggiore soddisfazione alla fedele lettrice.
È una lettera toccante. Nel senso che io mi sono toccato, per scaramanzia, per scongiurare di non cadere folgorato sulla via dell'aborto come la signora. Certo non sono una donna e quindi chiedo venia se, forse, parlo a sproposito. Ma il punto non è l'aborto, ma la mentalità che c'è dietro tale conversione, ostinata e pervicace proprio come quella di Saul detto Paolo.
Succede a (quasi) tutti nella vita di cambiare opinione, idea, magari anche fede. Non vedo in questo, necessariamente, una debolezza, ma una forza del genere umano. Chi è che diceva che «la coerenza è la virtù degli imbecilli»? Eugenio Scalfari, mi pare. Ma a parte questo, quello che dà noia, fastidio, irritazione in questi “legittimi” cambiamenti di paradigma, è il fatto che il convertito, dopo, solitamente, va a rompere i coglioni a quelli che non la pensano come lui; di più: diventa un paladino della nuova fede anche più di coloro che tale fede già ce l'avevano, facendo addirittura a gara con essi a chi crede meglio, a chi è più puro e vicino ai principi del credo a cui si è votato.
È quello che succede manifestamente alla signora, la quale non si accontenta di riportare la sua testimonianza di penitente e convertita (sulla via della consultorio); macché, oltre a far il suo mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, lancia i suoi strali verso quelle donne che non sono state visitate dal Signore e che abortiscono – a suo dire – a cuor leggero, come se fosse una prassi simile a un clistere.
«Il mio pensiero va a tante persone "normali" come me, che nella loro normalità sono capaci di compiere un gesto così; quante ragazze, donne, capaci di farsi del male. La mia storia, forse, racconta che il dramma dell’aborto volontario non riguarda soltanto situazioni estreme o di emarginazione. C’è chi rifiuta la vita perché non riesce ad accogliere e condividere la propria. A fidarsi della vita.»
Ripeto: non contesto e non impedisco alla signora di pensare che abortire sia un male e un peccato; trovo però inopportuno che, per sentirsi sollevata dal senso di colpa dovuto al suo nuovo modo di pensare, ella tenda a mettere il dito negli occhi di coloro che la pensano diversamente. A far pesare alle altre donne il loro egoismo, a dir loro, presuntuosamente, che rifiutano la vita in quanto incapaci di accettare la propria. Ma scusi signora, pensi per sé, alla sua di felicità, e lasci in pace gli altri e le altre infelici come sono.

Ecco, il mio - più che altro - era uno sfogo contro la risposta struggente del direttore di Avvenire:
«Le dico grazie per ogni giovane donna e, da padre, per ogni giovane uomo che incontrerà le sue parole.»
Bene, pur non essendo giovane giovane, ma da padre che “ha incontrato” le parole della signora, le posso dire, signor direttore, vaffanculo?

P.S.
C'è un punto in cui la signora scrive:
«Oggi a distanza di anni, tanta sofferenza ha trovato un po’ di pace, anche se le prove della vita ci sono sempre, come per tutti. Dio Padre misericordioso nella sua grande bontà ha saputo guardare il mio cuore, senza abbandonarmi, e ha voluto donarmi la grazia di una famiglia e due meravigliosi figli.»
E mi viene un fondato sospetto sul perché non abbia nominato il marito.

Georgie on my mind

[*]

Attraverso il sistema del debito pubblico



«Presso i popoli uscenti dal Medioevo la proprietà tribale si evolve attraverso diversi stadi – proprietà fondiaria feudale, proprietà mobiliare corporativa, capitale manifatturiero – fino al capitale moderno, condizionato dalla grande industria e dalla concorrenza universale, alla proprietà privata pura, che si è spogliata di ogni parvenza di comunità e che ha escluso ogni influenza dello Stato sullo sviluppo della proprietà. A questa proprietà privata moderna corrisponde lo Stato moderno, che attraverso le imposte è stato a poco a poco comperato dai detentori della proprietà privata, che attraverso il sistema del debito pubblico è caduto interamente nelle loro mani, e la cui esistenza ha finito per dipendere del tutto, nell'ascesa o nella caduta dei titoli di Stato in Borsa, dal credito commerciale che gli assegnano i detentori della proprietà privata».

Karl Marx-Friedrich Engels, La concezione materialistica della storia, 1845-6

Quando Marx ed Engels scrissero questo libello, l'Italia non era ancora uno Stato unitario.
Ora, lasciamo perdere il regime monarchico; ma quando nacque la repubblica, i costituenti – tra i quali c'erano anche persone che avevano presenti le parole su riportate – non potevano prevedere un articolo che rendesse incostituzionale un indebitamento pubblico troppo elevato e che impedisse alla politica di comprare il consenso elettorale con l'aumento dissennato della spesa pubblica?

sabato 4 febbraio 2012

Altri suggerimenti per il governo Monti

Per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica circa i sacrifici ad essa imposti, il modo migliore è aprire un tavolo (aprire un tavolo? È un'espressione che mi richiama i banchetti estivi, quando si aprono tavoli componibili da giardino) di trattativa su temi a carattere bioetico e sui diritti civili. Esempio: se domani Monti tornasse dall'Annunziata ad annunziare («annunciazione, annunciazione»), che il governo proporrà al Parlamento di 
  • modificare la legge sulla fecondazione artificiale;
  • riconoscere anche alle coppie omosessuali il diritto al matrimonio e all'affidamento di figli;
  • rendere più veloce e meno onerosa - da un punto di vista legale - la pratica del divorzio (pur tutelando gli imprescindibili diritti di ciascun coniuge e della eventuale prole); 
  • elaborare una legge sul fine-vita che tenga conto delle istanze della corte di cassazione in seguito alla vicenda di Eluana Englaro (e in memoria di Piergiorgio Welby);
  • liberalizzare le droghe “leggere”;
  • fare una serie riforma della carcerazione preventiva;
  • altro (spazio nei commenti).
Certo, considerando com'è composta l'attuale compagine governativa, non ci si può attendere nemmeno un pensierino su certi argomenti. Eppure basterebbe che il presidente del consiglio e i suoi ministri, visto che quasi tutti si dicono cattolici-liberali, dessero maggior peso al secondo termine del loro orientamento politico. 
Mi rendo altresì conto che, tali riforme, non produrrebbero alcun effettivo abbassamento del debito pubblico - e chi s'è visto allungare i tempi per andare in pensione non si rallegrerà.
Ma sono, di contro, fermamente convinto che queste riforme non aumenterebbero in nessun modo la spesa pubblica: anzi, con certe riforme si avrebbe, senz'altro, un piccolo ritorno finanziario (penso a tutte le coppie che, per avere un figlio, sono ricorse a cliniche di altri paesi europei). E soprattutto si avrebbe la sensazione che, pur essendo questo governo «un comitato d'affari che amministra gli interessi della classe borghese», venga reso alla parola liberale il suo significato più appropriato, ovverosia quello che consente a tutti i cittadini, senza distinzioni di sesso, di razza e di condizione sociale, di poter accedere a dei diritti che finora si possono solo “comprare” o pagandosi un viaggio all'estero o un buon avvocato.

Problemi di coppia


Una coppia di coniugi sorpresa nella noia di un sabato pomeriggio. Se avessero una Coop vicina saprebbero cosa fare, forse; anziché mettersi a tirar frecce al cuore dei turisti.

A parte.
Mi piacerebbe sapere se quella “fascia” che la signora tiene sospesa col ginocchio è una specie di gonna o una pancera. 

Se avessi soltanto un briciolo di pudore


«Quindi non sono rinsavito. Non rinsavirò mai, è questo che mi tormenta. E se per di più apro il pacco davanti a testimoni, come ora sto facendo, se spacchetto queste frasi rozze e brutali, e molto spesso addirittura sentimentali e banali, con una noncuranza che com'è ovvio è maggiore di quella che uso per qualsiasi altra frase, ciò significa che non ho pudore, che non ho un briciolo di pudore. Se avessi anche soltanto un briciolo di pudore, non potrei scrivere affatto, scrive soltanto chi è spudorato, solo chi è spudorato è in grado di impacchettare le frasi e di spacchettarle e di scriverle di getto, l'autenticità appartiene soltanto a chi è massimamente spudorato.»

Thomas Bernhard, Il freddo, Adelphi, Milano 1991, traduzione Anna Ruchat (pag. 53).

Ci pensava anche Lucas, prima, davanti allo specchio mentre si faceva la barba e poi mentre faceva le sua solita scarsa serie di flessioni alla Michelle Obama (arriva anche lui a 25, ma poi le moltiplica per quattro, riprendendo fiato). Lucas pensava a quanto anch'egli si senta spudorato, perché quello che pensa subito lo impacchetta per vederlo scritto, e lo pubblica – considerata la facilità oggi di pubblicare –, giacché se fosse solo per affidare quanto scrive alle pagine di un quaderno non scriverebbe; almeno: non scriverebbe più, lo ha già fatto, non è servito a niente se non a vedere la sua grafia trasformarsi nel tempo e assumere quella degli psicolabili che scrivono a onda, su e giù senza capirci un cazzo poi di quello che c'è scritto, onde cerebrali di un auto-encefalogramma tipico dei viaggiatori da tavolino. Non c'è niente da fare: Lucas cerca un pubblico, poco o tanto, uno o cento, anche solo me che sono suo complice. Vedersi qui pubblicato nello stesso istante in cui ritiene di avere detto tutto di quella cosa lì. Non potrebbe, Lucas, scrivere nell'attesa di essere pubblicato da altri. Di ogni parola sente l'urgenza – e qui sta la sua spudoratezza. Egli impacchetta frasi scritte di getto affinché qualcuno le spacchetti e verifichi se sono autentiche frasi che lo rappresentano. C'è sempre questo io noioso di mezzo che necessità di autostima, di vanagloria, di un certificato di esistenza. Lucas va spesso all'anagrafe, infatti, per richiedere certificati di nascita che attestino che quello che vive è proprio lui e non un altro, nato quel giorno di quel mese di un certo anno. Dentro un cassetto egli colleziona lo stesso numero di certificati di quanti sono i suoi anni. Siccome ha iniziato tardi la collezione, la signora dell'anagrafe – non comprendendo tutta quella serie di richiesta di certificati in un così breve periodo di tempo – tutte le volte che lo vede si mette a ridere dalla disperazione. Gentile, ha avuto un bel daffare nello spiegargli che con le autocertificazioni tutti questi fogli non servono. Ma lui non si fida di se stesso, vuole carta bollata e un timbro sul foglio. Lucas teme le autocertificazioni: potrebbe, con esse, essere tentato di assumere un'altra identità, inventarsi un nome o, addirittura, copiare l'identità di un altro che non ha mai avuto problemi esistenziali, che si alza al mattino e pensa a quale sia il modo migliore per fregare gli altri. Lucas invece no. Lucas al mattino si alza e pensa a quale sia il modo migliore per liberarsi del pudore. «Scrivere», risponde.

venerdì 3 febbraio 2012

Quota bene sennò t'affoghi

Esistono tante cose nel mondo che noi umani diamo per scontate: entrare in borsa, per esempio. Che lo faccia anche Facebook, quindi, sembra un evento naturale. Ora, considerato che Facebook è conosciuto pressoché da tutta la popolazione mondiale giovanile, credo sarebbe opportuno che qualcuno spieghi, a  una parte di essa incuriosita dalla faccenda, le ragioni per cui Marco Zucchenbergo, unico proprietario della suddetta società, si sia risolto a ciò.
Ch'egli lo faccia affinché molti investitori comprino quote di capitale per dare la possibilità a Facebook di espandersi ulteriormente, dimodoché - dipoi - tali azionisti possano passare all'incasso dei divedendi (in caso di “crescita”) oppure no - ecco... secondo me c'è dell'altro.
A me sembra, insomma, che questo modo di procedere del capitalismo sia diventato un atto di fede, e che gli umani possano e debbano trovare (escogitare) altri modi per produrre ricchezza e benessere. Soprattutto: per smetterla di votarsi a Wall Street nella stessa misura in cui, un tempo, i nostri avi si votavano ai vari dèi di vari Templi (anche se molti si recano nei Templi di varie fedi tutt'oggi, senza crederci troppo, beninteso).

Una sensazione chic


Stamani ho provato a uscir di casa vestito così, ma a un certo punto m'è preso freddo ai piedi. Però quanto bello è stato sentire il Buriano passarmi tra le ascelle.

giovedì 2 febbraio 2012

Rutelli e i dardi dell'avversa fortuna

Stasera, a 8½, Rutelli era così livido e accorato, così preso nella parte del dispiaciuto, del mortificato per la nota vicenda del tesoriere boy scout (ipse dixit!), che quasi quasi, avesse lasciato un numero di telefono, gli avrei fatto una donazione di 2 euro via sms.
Di una cosa non ho dubbi: che Corrado Guzzanti visionerà al rallenti centinaia di volte l'interpretazione rutelliana di stasera, per regalarci, poi, un aggiornato monologo del suo straordinario Sor-Ruté

Due occhi in meno


a W.S.
I.
Potresti dirle addio, non ci riesci.
Due occhi in meno che hanno visto
e poi riferito che il mondo è questo
un mondo fatto proprio così,

con le sue storie

inquadrato e poi raccontato
nei dettagli , quelli che davvero
lo mettono a nudo, lo inchiodano
al dato, al fatto che la vita è questa,
non un’altra.

II.
Ti incontrai proprio l’altro altro ieri
eri bella col tuo tailleur a quadretti
di spessa gabardina e quel basco
che ti faceva regina, e lo chignon.
Occhi azzurri

che mi bucavano la pelle più del gelo
e nonostante in teoria tu avessi avuto l’età
di mia madre sarebbe stato bello
pensare a un incesto pomeridiano.
Dicesti: «È tardi, vado».

Avevi una conferenza in sospeso
con un poeta e umanista del Quattrocento.
Volevi chiedergli se a rubare la sua Xandra
per dare il nome a una tua piccola plaquette
avresti fatto peccato.

Ci salutammo sotto freddi portici di febbraio
Ti dissi di alzare gli occhi per vedere i nidi
delle rondini che presto torneranno
per cinguettare la tua vita all’istante.
Sorridesti.

mercoledì 1 febbraio 2012

Menare gli occhi al cielo


«Viviamo a una svolta della storia tra due formazioni economico-sociali. È una cosa che nessun lucido osservatore della vita sociale, accetti o meno il socialismo e la sua prospettiva come soluzione, potrebbe negare. Questa svolta si accompagna, come sempre nella storia, a diversi “terremoti” dei quali il più importante è la crisi dei valori tradizionalmente ammessi. Fino a quando i rapporti sociali si costituiscono tra gli uomini sulla base di un sistema di produzione che funziona normalmente, l'individuo accetta le forme tradizionali della società, e il suo posto entro questa società come cose normali, in quanto stabili e conformi ai lavori socialmente ammessi; e il sistema di valori dominante nella società gli appare “naturale”, giacché è conforme ai rapporti stabiliti e ai bisogni degli uomini quali vengono socialmente avvertiti. Così, il sistema di valori accettato dalla società è il prodotto di rapporti sociali definiti e ne costituisce in pari tempo la base che ne garantisce la stabilità. Basta dunque che il modo di produzione venga sconvolto perché ne conseguano ripercussioni nell'accettazione sociale del sistema di valori che gli è connesso, e – inversamente – lo sconvolgimento del sistema di valori si ripercuote immediatamente nel sistema della vita sociale. Come l'individuo malato prende coscienza dell'esistenza e del funzionamento di organi ai quali chi è sano non presta alcuna attenzione, così l'individuo che vive in una società “malata” nella quale vi sia discrepanza tra i rapporti di produzione realmente esistenti e quelli realmente necessari nella situazione data, comincia a prendere coscienza delle sue relazioni con gli altri uomini, con la società, e ad avvertirle come negative. L'epoca più critica è la fase di transizione, il momento in cui l'antico sistema di valori volge al suo declino – e gli uomini se ne rendono più o meno conto – e il nuovo non si è ancora definitivamente cristallizzato, o, in tutti i casi, non è ancora accettato dalla società, né avvertito come “naturale”. È quanto è avvenuto nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo, e che oggi viene provocato dalla transizione del capitalismo al socialismo, che è incontestabile, anche se le sue forme, e perciò stesso le sue denominazioni, possono essere diversissime.»

Adam Schaff, Marx e l'umanismo contemporaneo, in AA.VV. Marx vivo (tit. or. Colloque Marx), Mondadori, Milano 1969

Al di là dell'ottimismo eccessivo e mal riposto (il socialismo reale che Schaff contrappone al capitalismo dell'epoca è stato tragicamente, e giustamente, sconfitto dalla storia), questo brano contiene alcuni passaggi interessanti, in quanto aderenti alla situazione storica attuale.
Vanno modificate:
a) la prima frase: «viviamo a una svolta della storia tra due formazioni economico-sociali» con «viviamo a una svolta della storia di una formazione economico-sociale: il capitalismo», giacché il pianeta è dominato soltanto dal capitalismo;
b) e un'asserzione dell'ultima frase, ove si dichiara che la «transizione del capitalismo al socialismo […] è incontestabile». Non lo è.
Per il resto mi sembra una bella lettura che ci riguarda.
Cosa penso di queste mie prime letture marxiste? Che esse descrivono uno “splendido” inferno. È il paradiso ch'è difficile da raccontare.

E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera già ridir com'ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava ïo li occhi per li gradi,
mo sù, mo giù e mo recirculando.
(Par. XXXI, 43-48)

Trois derrières visibles et trois cachés

Franz von Stuck, Das verlorene paradies (the best photos of day)

A capo chino i due nostri progenitori escono dal paradiso, belli, tristi, pieni di ricordi. E sono loro il primo piano assoluto della scena, le loro schiene stupende - come stupenda è la restauratrice che, seduta in cima alla scala, copre l'arcangelo severo. Si noti il cellulare nella tasca destra e lo stivale di lei che scende e che la fa sembrare parte integrante del quadro. E poi le mani che “strofinano”  per pulire il paradiso dalla presenza umana.

Venti settentrionali

E se Buriano fosse venuto semplicemente a trovare la sorella?
E se insieme spazzassero via tutti i burini?
E se della neve facessero burro rinchiusi dentro una burraia?
E se giocassero a burraco?
E se andassero a portare un po' di fresco in Burundi?