lunedì 6 febbraio 2012

Azzurra libertà

Ha ragione Formamentis: «il liberalismo nasce stronzo» perché è stronzo l'uomo, soprattutto quello che si autoproclama liberale e scende in campo con la determinazione di fare rivoluzioni liberali -  e noi italiani riconosciamo in questo illustri esempi. Scrive Formamentis:
«Il liberalismo non nacque come conquista della ragione illuminata, ma come pretesto per allargare la base imponibile della ricchezza agli ormai vastissimi strati della borghesia mercantile».
E infatti, chi più del precedente presidente del consiglio dei ministri ha allargato la propria base imponibile in questi anni, nonostante l'impoverimento generalizzato della classe media che credé nella sua presunta rivoluzione?

Ma il discorso, qui, è molto più serio di quanto il mio trito riferimento a Berlusconi voglia far apparire. Qui si tratta di uno scontro tra ideologie, e il labile confine tra autentici liberali e autentici marxisti si assottiglia sempre più. Si tratta di liberare l'uomo dalle sue catene... ma quale uomo? L'Altro? No, se stessi, prima di tutto e su tutto. 
Olympe mi obietterà che se non si modificano i meccanismi di produzione e non si smantella il dominio della borghesia non si otterrà nulla. Può essere, non lo escludo, ma ritengo che prima di tutto debba avvenire un'autentica presa coscienza di sé, di chi si è, di che cosa si vuole (o vorrebbe) essere e dopo - solo dopo - una presa di coscienza di classe. 
Facile, io parlo dalla posizione di chi ha un posto fisso... e poca urgenza rivoluzionaria.

2 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

Lenin scriveva che colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non è ancora un marxista, e può darsi benissimo che egli non esca dai limiti del pensiero borghese e dalla politica borghese. Ridurre il marxismo alla dottrina della lotta delle classi, vuol dire mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare. Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato.

«Il carattere proprio della socialdemocrazia si riassume nel fatto che vengono richieste istituzioni democratiche repubblicane non come mezzi per eliminare entrambi gli estremi, il capitale e il lavoro salariato, ma come mezzi per attenuare il loro contrasto e trasformarlo in armonia. Ma per quanto diverse siano le misure che possono venir proposte per raggiungere questo scopo, per quanto queste misure si possano adornare di rappresentazioni più o meno rivoluzionarie, il contenuto rimane lo stesso. Questo contenuto è la trasformazione della società per via democratica, ma una trasformazione che non oltrepassa il quadro della piccola borghesia. Non ci si deve rappresentare le cose in modo ristretto, come se la piccola borghesia intendesse difendere per principio un interesse di classe egoistico. Essa crede, il contrario, che le condizioni particolari della sua liberazione siano le condizioni generali, entro alle quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata. Tanto meno si deve credere che i rappresentanti democratici siano tutti shopkeepers [bottegai] o che nutrano per questi un’eccessiva tenerezza. Possono essere lontani dai bottegai, per cultura e situazione personale, tanto quanto il cielo è lontano dalla terra. Ciò che fa di essi i rappresentanti del piccolo borghese è il fatto che la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltrepassa nella sua vita, e perciò essi tendono, nel campo della teoria, agli stessi compiti e alle stesse soluzioni a cui l’interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica. Tale è, in generale, il rapporto che passa tra i rappresentanti politici e letterari di una classe e la classe che essi rappresentano (Il diciotto brumaio, III capitolo)».

Luca Massaro ha detto...

Tu sai, devo ancora "fare strada" nel pensiero marxista.
Comincio, però, a percepire alcune cose. Una: ciò che la "dittatura del proletariato" promette, cozza con la natura stessa dell'uomo, giacché chiunque - anche io o te, caro Olympe - prenda (come prese Lenin) il comando avrà a che fare sia coi suoi limiti, sia con quelli di coloro che lo sostengono.