Poesia tratta da Internazionale, n. 977 |
Mi sa che la prossima volta che tornerò a Berna (c'ho dei parenti acquistati da quelle parti) cercherò sull'elenco telefonico l'indirizzo di tal poeta teologo per andare a dirgli:
«Ehi, Signor Poeta Teologo, io sono risorto, almeno mi sembra, e sa da quando? Da sempre, da quando sono nato, da quando ho avuto la percezione minima del corpo, da quando mi mettevo - oh, come lo ricordo - prono sul divano o sul letto e sentivo la percezione esatta del mio pene bambino e provavo piacere e mi muovevo e intorno sentivo sottovoce i miei dirsi, “guarda come ponza”, per non dire si masturba. Io sono risorto quando vidi la prima goccia di sperma fuoriuscire mentre ero seduto sulla tazza del water di fronte allo specchio oblò di una lavatrice di marca italiana. Io sono risorto quando sui quattordici anni una ragazza di Milano mi mise la lingua in bocca - e sentire quella parte di corpo altrui nella mia di bocca per la prima volta fu una sorpresa risorgente. Io sono risorto pure quella volta che una donna mi accolse dentro sé e mi fece entrare nel suo spazio in cui mi persi e non mi rendevo conto esattamente in quale navicella ero salito, sembravo un naufrago tipo quell'astronauta che si perde dell'Odissea di Kubrik.
Io sono risorto in tante altre occasioni, e anche per altre circostanze, l'elenco sarebbe lungo, ma quello che, Signor Poeta Teologo, vorrei farle notare è che la maggior parte delle mie resurrezioni è legata al sesso e per esteso al corpo e alla sua soddisfazione (esempio di resurrezione: quell'unica volta che, dopo che fui assunto a tempo indeterminato, in un ristorante, con persone care, offrii loro e a me una bottiglia di Sassicaia che ho ancora in punta di lingua, tipo il bacio alla milanese). È il corpo che risorge, non c'è niente da fare, altro che anima, anima un cazzo, toccatemelo e sentite la resurrezione in diretta. La resurrezione è la cosa più porno che ci sia (proverbio). Cristo, da Tommaso, si fece mettere le dita nel costato: io sto zitto ma sapete già dove metterle, magari non lei Signor Poeta Teologo, magari la sua bella moglie che sembra così disponibile ad ascoltare i discorsi sconclusionati di uno che pretende di saperla più lunga di lei (chi ce l'ha più lungo se lo tira).
Insomma: è il corpo che risorge, lo sento, non c'è altra soluzione, non nell'aldilà, chissenefrega, no: qui, tutte le volte che il corpo ci fa sentire vivi e presenti, godimento o patimento (meglio il primo), il corpo, il corpo, il corpo, tre volte detto al posto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È dentro noi che c'è tale sequenza trinitaria, non altrove. Non è questione di egoismo, di edonismo, di narcisismo, no. È questione che la vita passa attraverso il corpo che ci è dato, torto o dritto, biondo o bruno, grasso o secco, corpo sempre, cellule che si affaticano con le loro regole locali a ricomporsi nell'unità che ci rappresenta, mentre il tempo, inesorabile, ci porta via.
Questo corpo che tutti i giorni ha bisogno di noi, della nostra presenza, della nostra attenzione - e anche se non gliele prestiamo attenzione e presenza, il nostro corpo va avanti da solo, preda del suo respiro e della sua trasformazione.
Corpo, nostro Signore: dacci oggi il nostro pane quotidiano.