martedì 19 febbraio 2013

Supina


Non ho mai amato la tua incapacità di essere amata, il tuo rifiuto di essere oggetto di un desiderio che non ti appartiene. Ti vedi, con gli occhi della mente e dello specchio, e ti domandi, non tanto come si possa amare qualcuna come te, ma perché amarla se quell'io, tu stessa, non lo ami abbastanza. A volte, certo, presti ascolto alle lusinghe e alle dolci parole che ti si rivolgono, alle carezze, anche. Ma in te, che solitamente sei una generosa scambiatrice di sentimenti, improvvisamente reciprocità si blocca e senti che lo scambio non è possibile, avverti il peso della ricezione e non gonfi: soffi fuori. Così avviene che le carezze ti facciano diventare rigida, le lusinghe ti infastidiscano e le dolci parole ti provochino irritazione. E resti lì, in balia di una presunta autonomia, che sai benissimo fasulla e che tenti in tutti i modi di comunicare per non manifestare la tua debolezza – che sarebbe interpretata come richiesta di aiuto – e il sarcasmo lo tieni ben nascosto, perché in te fa ancora breccia la necessità di non essere adirata con il prossimo.
Molti nemici molto onore è una formula che ti ha sempre spaventata: preferisci, molti indifferenti meno dolore e rimani dentro il cerchio di una vita che non riesci ad aprire nella prospettiva della linea retta.
Il modo migliore per soccombere alla malattia dell'individualismo è credere che si è soli a provare certe cose, che la vera comunione con gli altri sia impossibile da praticare e che la cifra sia scommettere sulla superficie dell'io, non nella sua interiorità. Ma ti senti ogni giorno inadeguata a questa sfida assurda, che t'impone l'idea di avere sempre davanti una telecamera interessata ai tuoi gesti e alle tue emozioni. Non è così, tu sei la stessa che

«se ti metti supina
diventa, calmandosi, solo dolcezza
il peso del tuo seno. Di colpo non c'è
bisogno di nasconderlo, non si può più giocare perché è tenero e spento
e innocente e basta.»*

Il cruccio è che questo «e basta» non ti basti, perché pensi di rimpiangere tutta la lista dei possibili che l'immaginazione non tiene a freno. È così che ti condanni all'inquietudine.

*I versi sono del breve poemetto di Giovanni Raboni, L'intoppo, in Cadenza d'inganno (1970), preso dalla raccolta di Tutte le poesie, Garzanti, Milano 2000

4 commenti:

melusina ha detto...

Mi hai messo addosso un po' - solo un po', per fortuna - di inquietudine. Sì, proprio quella che citi in chiusura :-)

Anonimo ha detto...

Quel che sarebbe interessante sapere, e' chi è questa supina per te.

Luca Massaro ha detto...

cara Pellona, premesso che si tratta di un mero artifizio letterario - la "supina" in oggetto, quindi, è un personaggio inventato - confesso che, alle prime battute, il "tu" al quale mi rivolgevo era maschile e molto personale - ma poi ha vinto, banalmente, il tentativo d'imitare la lezione flaubertiana.

Anonimo ha detto...

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