mercoledì 19 aprile 2017

Logiche da esposizione

La conferenza (2)

In questa vita di trattenimento, la scrittura ha una logica da esposizione. Non solo resoconto, cronaca degli accadimenti, pensieri sugli stessi, ma aggiunta che impone il suo valore, a percentuali alterne, in modo assolutamente indiretto, mediato ovviamente dalla riflessione, da una messa in scena nei cui titoli di coda compare un solo nome: me. A riempire i vuoti. A svuotare i pieni (i pesi sulla coscienza). A spingere le possibilità, o a trattenerle sull'orlo di precipizi imminenti. A volare (rasoterra). A sprofondare (in superficie). 
Ecco l'artefice del suo destino. Potrebbe urlare un lettore ingenuo, non sapendo – o facendo finta di non sapere – che è già tanto, in queste latitudini e in quest'epoca stupefatta, aver la grazia di regolare il proprio intestino. 
Ho capito che cosa ho scritto? O devo diventare esegeta di me stesso?

***
Il pubblico fece una piega strana alle domande. Alcuni si addormentarono di botto sulla spalla sinistra della persona seduta accanto e, se per qualcuno fu piacevole sentire il morbido di una guancia esausta, ad altri, questo contatto umano, provocò fastidio e l'urgenza di esserne sollevato.

Quattro timide mani tentarono un applauso che venne subito rintuzzato da una bordata di sbadigli. Qualcuno tossì, ma stranamente non contagiò nessuno.
Lei si alzò prudentemente dal suo posto, per non disturbare gli addormentati della fila o non per far diventar tale l'amica. Lui la vide e il timore che lasciasse la sala e la sua conferenza a metà fu subito fugato da un suo sorriso sospeso che pareva la seguisse, come un aquilone.

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