sabato 16 luglio 2016

Occupai

La mia vuol essere una domanda più che una constatazione: ma le centinaia di migliaia (o forse milioni) dei dimostranti (#OccupyGezi) anti-Erdogan perché non sono scesi in piazza anche loro? Perché i golpisti non li hanno convocati?

E poi: non capisco perché funzionano soltanto in Europa, in particolare in Italia, ma anche in Grecia, i golpini fatti con lo spread. Forse perché li turchi non spreaddano? Possibile che non abbiano punti debiti pubblici?

venerdì 15 luglio 2016

Colpi allo Stato

Da un notevole post di Sebastiano Isaia, (il suo blog è, per me, una scoperta notevole), riporto la seguente citazione tratta da Fredrich Engels, Per la storia del cristianesimo primitivo:
«Tutti i movimenti di massa del medioevo», scriveva Engels, «portavano necessariamente una maschera religiosa, apparivano come restaurazioni del cristianesimo primitivo degenerato da secoli; ma di regola dietro l’esaltazione religiosa si nascondevano interessi mondani molto forti». In una nota, Engels abbozza un interessante confronto tra la funzione ideologica della religione islamica dopo la sua iniziale ed esplosiva (rivoluzionaria) espansione geografica, e la funzione ideologica della religione cristiana a partire dal dissolvimento della società medievale: «L’islam è una religione fatta per orientali, specialmente per gli arabi; quindi, da una parte, per città che esercitano commercio e industria, e dall’altra per beduini nomadi. Ma qui sta il germe di un urto che si ripete periodicamente. Le città diventano ricche, sfarzose, rilassate nell’osservanza della “legge”. I beduini, poveri e, per povertà, austeri di costumi, guardano con invidia e desiderio a queste ricchezze e a questi piaceri. Allora si raccolgono sotto un profeta per castigare i peccatori, per restaurare il rispetto per la legge e per la vera fede, e per intascare come ricompensa i tesori degli infedeli. Dopo cent’anni essi naturalmente si trovano proprio a quel punto deve stavano quegli infedeli; una nuova purificazione della fede è necessaria, sorge un nuovo profeta, e il gioco ricomincia. […] Sono tutti movimenti scaturiti da cause economiche e che hanno un travestimento religioso; ma, anche se vittoriosi, lasciano sopravvivere intatte le vecchie condizioni economiche. tutto resta quindi come prima e l’urto diventa periodico. Nelle sollevazioni popolari dell’occidente cristiano, al contrario, il travestimento religioso serve solo come bandiera e come maschera per l’assalto a un ordinamento economico antiquato; questo, alla fine, viene rovesciato, ne sorge uno nuovo, il mondo va avanti».
***
In questo momento c'è un colpo di stato in Turchia. Bene. Lo fanno seguendo modalità classiche, esercito nelle strade, nei palazzi del potere, alla tv. A comunicare che? Ed Erdogan? Riusciranno ad arrestarlo? Magari a metterlo in cella con Ocalan.
Io penso che Bruno Vespa darebbe dieci anni di vita per intervistare un capo di stato maggiore golpista che sale tutto impettito negli studi della Rai. Magari anche in differita.
Vedremo. Comunque non è un caso che oggi abbia fatto il pesto (o meglio: una salsa al basilico) usando pinoli della Coop, provenienza Turchia. 

giovedì 14 luglio 2016

Triangolazioni


Non le ho dato credito, nonostante lei abbia fatto di tutto per convincermi che c'era qualcosa che non andava nel nostro amore, perché - mi ha detto, esitante, quasi a confessarmi un segreto che avrebbe dovuto restare tale se non ci fossimo incontrati, casualmente, in un centro commerciale - tu volevi ci fosse sempre lei quando uscivamo insieme, a fare il cero, e solo dopo ho capito che, dati i capelli corvini, a illuminarci era il suo décolleté. Dovresti credermi: anche se sono passati diversi anni, non ho mai tolto lo sguardo dal suo seno, se non di tanto in tanto, quando - per confessarmi tali maldicenze - cercava il contatto diretto coi miei occhi, quando le sembrava di essere abbastanza sincera da poterlo fare, altrimenti, nel momento in cui la sua fantasia menzognera cercava appigli poco credibili, doveva necessariamente volgere lo sguardo altrove, ed era in quei secondi che, con un certo grado di perversione, confesso, affondavo gli occhi dentro la sua scollatura - e sapevo dentro me che questo ti avrebbe eccitato abbastanza nella stessa misura in cui ti accadeva quando eravamo amanti complici che moltiplicavano il piacere alimentando il fuoco del desiderio.

Abbiamo parlato abbastanza, quasi tre quarti d'ora, cioè: lei mi ha parlato abbastanza, tanto che - non avendo più te vicino, da anni ormai, visto che te ne andasti per non restare schiava delle nostre perversioni - a un certo punto il desiderio nei suoi confronti stava per vincere la disapprovazione, e stavo quasi per dirglielo, anzi: sussurrarglielo a un orecchio, immagino le sarebbe piaciuto, quando, non so se dire purtroppo o per fortuna, è arrivata sua figlia reclamando che l'aveva persa e che era tardi, ché dei suoi amici l'aspettavano per andare al cinema.

«E con chi vai al cinema?», ha chiesto alla figlia, piuttosto contrariata.
«Beh, con Giulia e il suo ragazzo».

Le ho salutate sorridendo, sai, tuttavia non molto contento che una notevole erezione si sia trasformata in una semplice voglia di orinare.

Un determinato punto di vista

«Forse la smentita più categorica alla nostra affermazione, che cioè nella parola si riflettano opinioni orientate in maniera differente può essere costituita dalla domanda: forse che anche in parole come “tavolo”, “cavallo”, “albero”, “sole” ecc. si riflettono e compaiono dei rapporti di classe? Infatti nelle diverse classi la valutazione di queste parole deve essere identica poiché i concetti della realtà che esse rappresentano rimangono identici in tutte le classi: il tavolo è un tavolo e non un cavallo, il cavallo è un cavallo e non un albero ecc.
A questa osservazione dobbiamo replicare quando segue. Anzitutto una parola stralciata singolarmente dal flusso dell’interazione linguistica non può servire da esempio. Inoltre: nonostante le parole, riflettendo la realtà oggettiva, riflettano insieme ad essa anche una visuale socialmente determinata di questa realtà, tuttavia non si può mettere un segno di completa identità tra il significato oggettivo, oggettuale della parola ed il punto di vista espresso nella parola.
Ciascun uomo nel conoscere la realtà la conosce da un determinato punto di vista.
Il problema consiste nel sapere quanto questo suo punto di vista corrisponda alla realtà oggettiva. Infatti un punto di vista non rappresenta una conquista personale del soggetto conoscente ma è il punto di vista della classe alla quale questo soggetto appartiene. Di conseguenza l’oggettività e la completezza di un punto di vista (la misura della corrispondenza della parola alla realtà) sono condizionate dalla posizione sociale. Classi diverse hanno anche punti di vista diversi: nel linguaggio di ciascuna classe esiste una particolare misura di corrispondenza della parola alla realtà oggettiva.»
Valentin Vološinov (Michail Bachtin), Il linguaggio come pratica sociale, Dedalo libri, Bari 1980

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Il mio punto di vista, per conoscere la realtà, mi impedisce di conoscerla perché la realtà a cui ho accesso è soltanto una menoma parte della totalità.
Posso, dal mio punto di vista, mettermi nei panni di un altro punto di vista?
Mi è difficile pensare di indossare gli stessi panni di un Lapo o di un John Elkann.
Più facile pensare quelli di un operaio bengalese impegnato a lavorare dodici ore al giorno. Anche se io, in realtà, sto in una via di mezzo tra chi sta nella merda e un pezzo di merda (ho invertito i primi e i secondi per depistare).

Comunque sia, il mio punto di vista mi dice di lasciarlo in sospeso, farlo riposare qualche ora, ché gli si annebbia la vista.

martedì 12 luglio 2016

Intrinsecamente anti politica

«Dal momento che l'Islam non dispone di una base istituzionale paragonabile al Vaticano, i risultati sono ancora meno coerenti. Le chiamate per l'unità musulmana non sono meno, e non di più, che l'espressione collettiva di un pio desiderio da un assortimento casuale di dignitari. Se premuto o chiesto di prendere tutte le misure effettive a significare l'unità, anche i firmatari di queste dichiarazioni si troverebbero immediatamente in disaccordo su 'unità musulmana'.
Alla radice, tuttavia, il problema non sono i dettagli di queste chiamate per l'unità. È l'essenza, l'ideale stesso di consenso. Come una questione di corso, le chiamate per l'unità musulmana abitualmente violano lo spirito dei loro crediti da anatematizzasse [mitico google traduttore che mi fa il congiuntivo di anatemizzare] loro avversari musulmani. Chiede che l'unità non sono nobili sentimenti, ma, in una parola, in malafede, un pretesto apparentemente nobile per anatematizzasse o demonizzare gli avversari.
Ancora più profondamente, tuttavia, l'ideale dell'unità è intrinsecamente anti-politica. Il religioso deobandi era proprio di identificare la politica come la sfera che offre l'unica vera possibilità di una sistemazione tranquilla delle differenze e delle controversie. Pose su un illusorio 'unità musulmana' tende solo ad allontanare i musulmani del mondo politico degli stati-nazione che governano le loro società. Da questo punto di vista, la militanza musulmana, troppo, è in realtà una conseguenza della de-politicizzazione e non, come comunemente si presume, il contrario.
Sia da parte dei governi occidentali o del Medio Oriente, condanne del terrorismo in linguaggio religioso, in nome dell'Islam, stanno perdendo le cause, i problemi reali non saranno risolti su un terreno teologico. Quando i liberali e sostenitori di tolleranza troppo celebrare o promuovono l'Islam moderato, è un altro passo nel mondo della politica e delle istituzioni, il mondo del progresso e soluzioni. La ricerca di armonia, per l'unità, è  un canto di sirena, e deve essere resistito.»
Faisal Devij, Contro l'unità musulmana, Aeon (traduzione di Google).
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Oltre che essere un prezioso reportage sul pellegrinaggio a La Mecca, l'articolo dello storico pakistano è di notevole interesse per cercare di capire cosa si nasconde dietro l'idea di unità musulmana.

Analogia storica (fallace) in prospettiva: potrebbe un giorno il wahabismo perdere il proprio potere temporale sulla penisola araba conservando soltanto quello legato alle città di culto?

Voce fuori campo: «Devono trovare prima un Papa disposto ad affacciarsi tutte le domeniche. Anzi no: i venerdì.»


Escluso il cane

«Non c'è un avere, solo un essere, solo un essere che desidera l'ultimo respiro, la soffocazione».
Franz Kafka, Aforismi di Zürau, n. 35, Adelphi, Milano 2004

Smettere di respirare, ritornare all'inerte. Che il corpo si consumi è il debito per aver perso, definitivamente, la lotta contro entropia.

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[Non sapevo come salutarti, mia amata Lola.

Forse non è un caso che il medico veterinario, poco dopo che il tuo cuore ha smesso di battere, mentre gli offrivo un bicchier d'acqua fresca e preparavo i soldi della parcella, abbia indugiato lo sguardo sulla modesta biblioteca e abbia chiesto qualcosa dei Ceronetti (quasi tutti presenti) e dei Quinzio (solo un paio), sue recenti letture. 
Ho risposto qualcosa, alcune vaghe impressioni, ma avrei preferito cantare.]




domenica 10 luglio 2016

Innocenti invasioni

Esercitazioni Nato nei paesi baltici. Invio di truppe e armamenti, rafforzamento di contingenti, tattiche, strategie, invasioni simulate del ‘nemico’ russo.
Molte nazioni dell'est europeo hanno paura che la Russia dia sfogo ad un revival imperialista di stampo sovietico, che invii carri armati come a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968 e che imponga alle popolazioni locali un regime fantoccio. Fuori dai denti, sono questi i timori, nevvero? Di cos'altro potrebbero avere paura sennò? 
Ma siamo obiettivi: la Russia, tolto ogni alibi ideologico di stampo falsamente comunista (giacché, contrariamente alla Cina, la Russia è diventata una repubblica democratica dove, seppur v'è una prevalente ingerenza dello Stato, vige l'economia di mercato, a Mosca c'è la borsa eccheccazzo), che tipo di ingerenza auspicherebbe nei confronti delle nazioni un tempo facenti parte del Patto di Varsavia? In altri termini: la Russia ha davvero l'ambizione di ripetere un'esperienza analoga a quella che ha condotto alla disfatta di un impero sovietico in meno di quarant'anni (li conto da Yalta in poi)? 

A me sembra che la sola cosa che interessa ai russi è poter fare buoni affari con i paesi vicini; questo significa mantenere aperti i canali dei mercati, in primis quelli delle materie prime. Semplice roba da bottegai, c'est tout. Convengo che, probabilmente, per le nazioni che temono l'invasione russa, avere sui fianchi orientali la pressione di un esercito agguerrito non sia cosa simpatica; ma credono davvero che i russi intendano invadere esplicitamente Varsavia, Tallin, Riga, Vilnius?
Per far credere a Stoltenberg che i timori sono fondati, piangono la sorte dell'Ucraina, in particolare la cruenta annessione della Crimea come facente parte delle Federazione Russa. 

Pazza Crimea di far l'amor con lui...

Ora, se per un attimo soltanto fosse evitato di dar credito al mantra occidental-americano, si potrebbe constatare quanto segue: la Crimea è stata invasa coi carri armati? C'è stato spargimento di sangue? Qualche Jan Palack si è immolato? Mi pare di no.
C'è stato un referendum, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ma riconosciuto dagli interessati, i cittadini della Crimea, che votarono, quasi all'unanimità, di aderire alla Federazione russa. Quelli che dissero no, seppur pochi, sono stati incarcerati, torturati, vilipesi, esiliati? Non credo, altrimenti la notizia sarebbe sulle prime pagine di tutti i giornali occidentali.
Mi sembra che il video seguente sia piuttosto corretto.


Che scopo ha, dunque, l'attivismo NATO nei paesi baltici? Innanzitutto è diretto a provocare tensioni "belliche" che costringano i governi delle nazioni facenti parte dell'alleanza ad aumentare (o perlomeno non abbassare) il budget destinato alle spese militari. Ma soprattutto, a difendere, come spaventapasseri, i mercati occupati dai piazzisti occidentali dal crollo dell'URSS.

Se fossero i tempi di von Clausewitz, sarebbe anche simpatico vederli guerreggiare. In diretta streaming.  


sabato 9 luglio 2016

La mente in folle

Mi sono lasciato andare, ho messo la mente in folle e finché la forza d'inerzia me l'ha consentito sono andato, piano, piano, finché ho raggiunto un punto fermo, uno stop e sono sceso, da me stesso, quello che ero l'ho lasciato parcheggiato in divieto di sosta in un'area in cui c'era persino scritto che avrebbero potuto portarmi via col carro attrezzi, comunque non potevo fare diversamente, mi sono avviato così a piedi senza sapere esattamente dove andare, né che fare. 
A un certo punto mi sono imbattuto in un netturbino che stava facendo una pausa appoggiato alla sua Ape, mangiava di gusto pane e formaggio (mi pareva), mi ha sorriso e mi ha chiesto che stavo facendo a piedi da quelle parti con aria cogliona, «Io? Niente», gli ho risposto, e lui mi ha chiesto se potevo dargli una mano, anzi due, ossia se potevo continuare a spazzare per lui la piazza mentre finiva di fare colazione, non mi sono sottratto, ho preso la ramazza e, con ampie volute a semicerchio, ho spazzato il selciato con estrema perizia, sembrava fossi nato per quel mestiere, come infatti mi predisse il professore di meccanica non quantistica mentre, studente vagabondo, giravo tra i torni e le frese senza fare il compito previsto «Massaro, Massaro, tu farai lo spazzino», e infatti, lo stavo facendo, finalmente, ma purtroppo le signore coi passeggini, dai fianchi morbidi e il culo di più, che parlavano amabilmente tra loro delle aggiunte di latte artificiale perché quello delle loro mammelle pareva insufficiente (mi sembrava impossibile, data l'entità delle mammelle), ignoravano le mie volute artistiche, non scorgendo, dunque, che i miei colpi di scopa mimavano egregiamente le pennellate di Tiziano e di Goya. 
Dopo un po’, il vero netturbino mi ha richiamato all'ordine, gli ho reso la ramazza e lui, per ringraziarmi (forse) e congedarmi, mi ha assestato un colpo sulla scapola sinistra, un colpo forte, così forte che mi ha rintronato tutto, per un attimo mi è sembrato che si fosse spostato qualcosa, avrei voluto reagire, rendergli la pariglia, poi mi sono ricordato che ero da solo, non c'era il mio doppio, la mente, colui (o colei?) che avevo parcheggiato in divieto di sosta e che forse i vigili avevano già portato via con il carro attrezzi.

giovedì 7 luglio 2016

Alle cordate

Ma quante manfrine s'inventano per comprare RCS, neanche fosse una società in attivo, produttiva, con prospettive rosee per il futuro. 
Una volta lo dicevamo a Berlusconi, ripetiamolo adesso: a Cairo, chi glieli dà i soldi? Al Sisi? E, invece, a quella personcina dabbene del calzolaio marchigiano dall'eloquio inbenzodiazepinato (sono almeno dieci anni che sta lì col braccino corto per comprare ai saldi), donde derivato plusvalenze per comprare carta straccia?

Domani, pare, ci sarà l'ultimo atto della della battaglia. Le due cordate apriranno le buste al buio. Shibari.

Invito alla lettura

Segnalo due testi di alto valore teorico.

Li segnalo in ordine cronologico, il primo essendo un saggio composto nel 1994 e l'altro un post (un semplice post!) pubblicato oggi.
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Robert Kurz , La non autonomia dello Stato e i limiti della politica (traduzione di Samuele Cerea).
È un saggio che offre un'interpretazione illuminante sulla falsa dicotomia Stato-Mercato; dà, inoltre, una spiegazione assai convincente del perché il socialismo reale (i cosiddetti regimi comunisti) non fu affatto una vera alternativa agli stati in cui vigeva l'economia di mercato.
Ma in particolare spiega nel dettaglio perché i due poli contraddittori, Stato e Mercato, siano necessari l'uno all'altro.
«nella misura in cui l’economia di mercato si espandeva strutturalmente, assorbendo la riproduzione sociale nella sua interezza e convertendosi in un modo di vita universale, anche lo Stato doveva a sua volta allargare il suo raggio di azione. Si tratta di un’inevitabile relazione vicendevole.»
***
Olympe de Gouges, Oscuro sarà lei, stronzo!
Lo stronzo - interpreto - più che Vilfredo Pareto, sarebbe un fondamentalista del liberismo economico che, dalle pagine de Il Giornale, ha richiamato dei pensieriucoli a cazzo di cane del noto sociologo ed economista italiano.
A parte ciò, quello che più mi piace sottolineare del post suddetto, è una rinnovata esposizione di come interpretare correttamente il pensiero di Marx riguardo al ‘possibile’ superamento del capitalismo, sgombrando il campo dai pregiudizi di natura borghese.
«la teoria marxista della crisi è, soprattutto, la teoria della necessità del superamento del capitalismo, ovvero l’impossibilità della sua continuazione (che non significa – sia ben chiaro – la necessità assoluta del comunismo, ma solo la sua possibilità)».

mercoledì 6 luglio 2016

Giudicare i vincitori

L’invasione dell’Iraq è stato un errore, secondo il rapporto Chilcot. L’inchiesta ufficiale del governo britannico sull’intervento armato britannico del 2003 è stata diretta da Sir John Chilcot, uno dei consiglieri privati della regina, ed è stata commissionata nel 2009 dall’allora premier Gordon Brown. Il Regno Unito, secondo il rapporto, è andato in guerra prima che si fossero esaurite tutte le opzioni pacifiche. Inoltre la minaccia delle armi di distruzione di massa nelle mani del regime di Saddam Hussein, considerata la principale motivazione per l’entrata in guerra, è stata “presentata con una convinzione non giustificata”.
E ora che accade? Il Regno Unito avrà la forza politica di incriminare Tony Blair, il governo di allora e i parlamentari che approvarono l'attacco all'Iraq? No, vero? E allora, è sufficiente uno scapaccione storico e tutti pari? Non sarebbe opportuno che qualcuno denunciasse i responsabili del conflitto armato che ha devastato lo stato iracheno, provocando una irrisolvibile conflittualità regionale che è stata un limo eccellente per concimare i semi del fanatismo religioso? 
Insomma, non sarebbe bene che la Corte penale internazionale giudicasse Blair e Bush (e in parte anche Berlusconi che si fece trascinare dai foglianti guerrafondai), sì come è stato giudicato Milošević?

- Eh, ma Milošević ha perso la guerra.

- Già, perché Bush e Blair l'hanno vinta.


lunedì 4 luglio 2016

Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham

Ieri, Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore, ha scritto un editoriale sulle pagine del Domenicale, nel quale si può leggere la seguente esortazione (attenzione: controllare l'indice glicemico prima della lettura):
«Dobbiamo [...] esigere da noi stessi classe dirigente passione e determinazione per capire in profondità che cosa ci ha condotti fin qui [Brexit, crisi dell'Europa] e combattere [...] il disagio sociale e le disuguaglianze così diffusi ma anche le mille, ripetute, troppe, stupidità euroburocratiche che rischiano di togliere anima e identità al progetto europeo. [respiriamo] Dobbiamo pretendere che la politica e l'impresa recuperino leadership, visione, capacità di azione e che lo facciano senza mai rinunciare al “sogno” e “all'utopia” che sono la molla delle coscienze e della vita, ma a patto che diventino realtà, si misurino con le cose difficili di questi tempi, si traducano in una base di valori condivisi e di comportamenti coerenti. Il senso profondo di un capitalismo dove l'Uomo con il suo talento costruisce il profitto e lo pone come alimento del benessere comune, costituisce la ragione di vita, appartiene al valore più alto della democrazia e dell'economia, rappresenta la base etica e fattuale, allo stesso tempo, di un capitalismo moderno e di un disegno politico di sviluppo e di civiltà che sono l'unica soluzione possibile per un mondo lacerato da una crisi globale senza precedenti e senza fine».
«Il senso profondo del capitalismo» è uno solo, sintetizzato icasticamente ieri da Olympe de Gouges: 
«Nella dinamica capitalistica ciò che conta è il profitto, e il lavoro umano, quale fonte del profitto, merce esso stesso, deve essere razionalizzato ed economizzato al massimo grado.»
Soltanto chi, reoconfesso, si sente parte a pieno titolo della classe dirigente (perché da essa lautamente remunerato), può identificare l'Uomo (U maiuscola, beninteso) con il capitalista e illudersi che questi ponga il profitto ad «alimento del benessere comune». 
Come se questa idea non fosse manifestamente smentita nei fatti a ogni ora del giorno, con sempre maggiore evidenza da quando il meccanismo della valorizzazione si è inceppato (la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto agisce a dispetto della logica economica borghese).

I cantori del capitalismo dal volto umano sono, a mio avviso, paragonabili a tutti quegli scienziati tolemaici che volevano emendare il sistema geocentrico.

Mi chiedo: perché non prendono spunto da Marx?

«La sfera della circolazione, ossia dello scambio di merci, entro i cui limiti si muovono la compera e la vendita della forza-lavoro, era in realtà un vero Eden dei diritti innati dell'uomo. Quivi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham.
Libertà! Poiché compratore e venditore d'una merce, per esempio della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro contratto come libere persone, giuridicamente pari. Il contratto è il risultato finale nel quale le loro volontà si danno una espressione giuridica comune.
Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e scambiano equivalente per equivalente.
Proprietà!  Poiché ognuno dispone soltanto del proprio.
Bentham!  Poiché ognuno dei due ha a che fare solo con se stesso. L'unico potere che li mette l'uno accanto all'altro e che li mette in rapporto è quello del proprio utile, del loro vantaggio particolare, dei loro interessi privati. E appunto perché così ognuno si muove solo per sé e nessuno si muove per l'altro, tutti portano a compimento, per una armonia prestabilita delle cose, o sotto gli auspici d'una provvidenza onniscaltra, solo l'opera del loro reciproco vantaggio, dell’utile comune, dell'interesse generale.»

Almeno, in un sussulto di onestà intellettuale, potrebbero iniziare a prendersi a schiaffi da soli.

domenica 3 luglio 2016

Colti molti

Dall'editoriale odierno di Alberto Negri, uno dei migliori analisti delle vicende mediorientali, estraggo:
«Adesso bisognerà vedere come questa strage inciderà sul boom bengalese. In pochi anni il giro d’affari del tessile bengalese è passato da 4,8 a 20 miliardi di dollari, un settore che impegna cinque milioni di persone e rappresenta l’80% delle esportazioni. Dopo la Cina, dicono le statistiche, il Bangladesh è il maggiore produttore di abiti pronti del mondo.
Ma questo campione del prêt-à-porter da almeno un triennio ha cominciato una lenta deriva verso l’islamismo, un’avanzata del radicalismo favorita dall'estrema povertà di una grande parte della popolazione che sopravvive con salari irrisori e un reddito medio pro capite annuo inferiore ai duemila dollari.
Eppure la moda a bassissimo prezzo era diventata il motore di uno sviluppo nazionale che marcia oltre il 6-7% l’anno di aumento del Pil. Il denaro facile del tessile da esportazione ha fatto nascere una nuova élite occidentalizzata che viaggia in Suv, gioca a golf e manda i suoi figli a studiare negli Stati Uniti o a Londra, dove vive una parte della dinastia al potere e un brillante deputato del Labour Tulip Sidiqi nipote del primo ministro, la signora Sheikh Hasina, una sorta di Benazir Buttho alla bengalese: il padre fu assassinato nel 1975 e le tra tante vicende alterne, alcune per corruzione, è andata al governo tre volte, l’ultima sette anni fa. In Parlamento siedono 300 deputati, ufficialmente una trentina possiedono fabbriche tessili ma sono in realtà sono molti di più perché diversi politici si servono di un prestanome. A diventare floridi non sono stati soltanto i produttori ma anche gli intermediari delle centinaia di “Case d’acquisto” che combinano gli affari tra i locali e gli stranieri.»
Leggendo ciò, avrei scommesso che i terroristi islamici, responsabili dell'eccidio di Dacca, provenissero da quella parte di popolazione più povera e disagiata, alla classe del proletariato per intenderci e, invece, come ha dichiarato il viceministro degli esteri bengalese,
«Gli autori non vengono dall'Iraq o dalla Siria, sono giovani bengalesi, molti dei quali colti, con buone prospettive ed appartenenti alla classe media del Paese».
Ora, per aggiungere un ulteriore elemento di analisi fenomenologica del terrorismo di matrice islamista, sarebbe bene fosse specificato quanti dei molti componenti del commando (erano sette, sei uccisi dalla polizia e uno catturato) erano davvero appartenenti a famiglie facoltose, perché si potrebbero azzardare delle analogie tra i figli di papà di un tempo che diventavano, soi-disant, marxisti-leninisti-maoisti-castristi e quelli di oggi che, agendo in un contesto sociale non secolarizzato dove si conosce (e forse si legge) un unico libro, inneggiano alla jihad. 

sabato 2 luglio 2016

Lei partita


Sto guardando lei partita. Io sono rimasto. Basito. Ho messo Bach in cuffia e sono partito anch'io, non muovendomi affatto. Mi sono concentrato molto per evitare ogni ulteriore telecronaca. Le trombette da stadio. I ragionieri di stato. Mi sono fatto tappeto. Ho apparecchiato la sedia dove lei stava seduta, quel drappo nero conveniva mangiarci tanto sapeva. Voce del verbo sapore. Non dovevano portare al cinema Odeon di Firenze un bambino di sette anni, i miei zii. Mi colpì molto il lampadario. Mi colpì l'Agostina. Ricordo che uscii ch'ero tutto rosso, a pressione. Svaporai l'indomani pensando al calcio, alla figurine, alle prime tre lettere equivoche. Fecero bene a riportarmi in campagna, al paese, non mi conveniva diventare cittadino prima del tempo. Avrebbero dovuto portarmi a bottega, se ci fossero state botteghe per diventare artista capace di disegnare, modellare, scolpire l'idea stessa di bellezza. Da solo cos'altro sarei potuto diventare se non un contemplatore? La creazione artistica è imitazione di qualcosa che è stato visto in segreto. Un giorno casomai capirò anch'io quello che ho scritto per evitare la di-partita.

Vi sono cose che l'intelligenza

«Vi sono cose che l'intelligenza sola è capace di cercare, ma che, da sé, non troverà mai; l'istinto solo potrebbe trovare queste cose: ma non le cercherà mai». 
Henri Bergson, L'evoluzione creatrice.

Istintivamente sono portato a pensare che certe cose potrei anche trovarle, se le cercassi. Ma io non cerco niente, o quasi niente, giacché non ho esatta contezza su che cosa valga la pena di essere cercato e in seguito trovato, un dio per esempio. 

«Ho trovato Dio!, ho trovato Dio!». 
«Lo cercavi?».
«Sì».
«Allora è per questo che l'hai trovato».
«No, è lui che ha trovato me... e mi ha chiamato».
«Ma chi cercava chi, allora?».
«Ci cercavamo».
«Tu e Dio?»
«Sì».
«E ti ha trovato prima lui o l'hai trovato prima tu?».
«Ci siamo trovati insieme».
«Flic e Floc».
«Veramente mi chiamo Mario».
«E Dio?».
«Maria».