«Dopo Aristotele non ci si è preoccupati a sufficienza in filosofia di indagare che cosa vogliamo esprimere, quando diciamo ‘essere’; piuttosto si è partiti dalla parola ‘essere’ e le si sono dati di volta in volta i più svariati contenuti e significati. In tal modo il linguaggio diventò creatore di filosofia, mentre la sua natura è soltanto quella di un tramite propulsivo che deve conservare, purificare, ordinare e annodare, ma non sarà mai un'arché. La fantasia pre-linguistica è la matrice della filosofia.»
Vorrei prendere spunto da questo notevole paragrafo di Giorgio Colli* per rilevare che, in questi giorni cruciali legati alla vicenda di Eluana, la nobile richiesta di molti di fare silenzio, di portare rispetto nei confronti della famiglia Englaro - massimamente disattesa prima dall'ingerenza vaticana, poi dal vaniloquio berlusconiano, infine dal vociferare dei nuovi inquisitori - implicasse probabilmente la consapevolezza che il linguaggio, la parola, in determinate occasioni, non riesce a esprimere fino in fondo lo stato d'animo di chi si trova a vivere, appunto, certi momenti. E lo scandalo principale è, secondo me, dovuto al fatto che proprio coloro che sono accusati dalla miopia clericale di essere lontani dal rispetto della vita, dalla libertà e dal mistero sotteso alla condizione umana, sono coloro che invece riescono a usare un linguaggio che conserva, che purifica, che ordina e che annoda quel filo minimo di senso che ci caratterizza in quanto esseri umani. Mentre proprio coloro che si sono ostinati e che si ostinano a credersi difensori della vita, coloro che credono che non si possa disporre come si vuole della propria vita, che parlano di "scrigni" da conservare, di "sentenze assassine", eccetera, sono loro che dissipano, che ammorbano, che scombinano e che sciolgono il linguaggio che ci tiene legati, con un tenue filo, ad una possibile verità che ci accomuna in quanto esseri umani.
*Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969
Vorrei prendere spunto da questo notevole paragrafo di Giorgio Colli* per rilevare che, in questi giorni cruciali legati alla vicenda di Eluana, la nobile richiesta di molti di fare silenzio, di portare rispetto nei confronti della famiglia Englaro - massimamente disattesa prima dall'ingerenza vaticana, poi dal vaniloquio berlusconiano, infine dal vociferare dei nuovi inquisitori - implicasse probabilmente la consapevolezza che il linguaggio, la parola, in determinate occasioni, non riesce a esprimere fino in fondo lo stato d'animo di chi si trova a vivere, appunto, certi momenti. E lo scandalo principale è, secondo me, dovuto al fatto che proprio coloro che sono accusati dalla miopia clericale di essere lontani dal rispetto della vita, dalla libertà e dal mistero sotteso alla condizione umana, sono coloro che invece riescono a usare un linguaggio che conserva, che purifica, che ordina e che annoda quel filo minimo di senso che ci caratterizza in quanto esseri umani. Mentre proprio coloro che si sono ostinati e che si ostinano a credersi difensori della vita, coloro che credono che non si possa disporre come si vuole della propria vita, che parlano di "scrigni" da conservare, di "sentenze assassine", eccetera, sono loro che dissipano, che ammorbano, che scombinano e che sciolgono il linguaggio che ci tiene legati, con un tenue filo, ad una possibile verità che ci accomuna in quanto esseri umani.
*Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969
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