Non so come stremata tu resisti | in questo lago | d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse | ti salva un amuleto che tu tieni | vicino alla matita delle labbra, | al piumino, alla lima: un topo bianco, | d'avorio; e così esisti!
Eugenio Montale, Dora Markus, Le occasioni.
(Una storia proprio così)
Dora si era trasferita da
poche settimane nello stesso palazzo dove Lucas abitava ancora coi
suoi, studente fuori fuori corso e lavoratore nel periodo estivo,
quando ancora le amministrazioni statali non si affidavano alle
cooperative per mandare in ferie il personale a tempo indeterminato.
Ed era estate, appunto, quando una sera Lucas, mentre stava
rientrando a casa dopo una birra cogli amici, nella prima rampa breve
delle scale, si vide piombare addosso Dora che scendeva a precipizio,
il volto pieno di lacrime e di urla soffocate. Lucas d'istinto si
tenne alla ringhiera e riuscì ad evitare la caduta rovinosa di
entrambi. Dora sbiancò, si premurò in scuse, si disse che era scema
e che non avrebbe mai pensato. E intanto le lacrime si erano
asciugate sulla camicia scura di Lucas che non dette troppo peso a
quello strano umido, anzi, tentò persino di camuffarlo con un
braccio pensando che del fosse sudore.
– Oh,
non si preoccupi, non è successo niente. È andata bene che non ho
bevuto troppo e ho l'occhio della mente ancora sveglio.
Occhio
della mente? Chissà
cosa pensò Dora esattamente, ma il suo, di occhio, fu colpito da
quella strana espressione abbastanza fuori luogo. Si salutarono con
cortesia e ognuno riprese la sua strada.
Dora
era sposata, aveva tre figli piccoli (due alle elementari e uno
all'asilo) e un marito che era partito e non era tornato più. Aveva
mandato una lettera e una fotografia dalla Patagonia, così, dopo
aver lasciato tutto, famiglia, lavoro per seguire come un folle la
sua idea chatwiniana della vita.
Dora
si era ritrovata d'improvviso sola, un lavoro da precaria come
personale tecnico della scuola, la famiglia interamente a suo carico,
una madre che l'aveva ripudiata perché gliel'aveva detto che non
doveva sposare quel bastardo, si vedeva lontano un miglio che non si
doveva fidare, e che se l'avesse fatto lei non avrebbe più voluto
sapere niente di lei, di lui e degli eventuali nipotini. Dora aveva
sì un fratello, ma era un tipo semialcolizzato che viveva di piccoli
espedienti e non avrebbe certo potuto dargli alcun aiuto né conforto.
I suoceri, no, non poteva lei, anche se loro si sarebbero volentieri
fatti in quattro sia per lei che per i nipoti. Essi sapevano che figlio
avevano messo al mondo e si sentivano in parte responsabili per non
essere riusciti a evitare il matrimonio; essi avrebbero anche
accolto Dora in casa, per evitarle le spese dell'affitto, ma lei non
ne voleva sapere, non poteva darla vinta a quello stronzo che, se ella si fosse lasciata convincere dalle premure dei suoceri, egli avrebbe
nel suo cuore trovato un alibi per quell'esito famigliare.
Allora
lotta dura, gli assegni familiari che non bastavano nemmeno a
comprare un paio di scarpe a un figliolo, l'arrotondare lo stipendio
offrendosi come le macedoni o le albanesi a pulire le scale del
condominio, ma a qualche euro in meno sennò le coinquiline non
l'avrebbero preferita.
Dora
si risolveva a fare le scale la sera, dopo cena, appena messi i due
più piccoli a letto e lasciato il “grande” davanti alla
televisione. E una sera di queste, era ancora estate, i primi di
settembre forse, Lucas, tornando a casa prima del solito – il bar
era deserto, gli amici soliti in vacanza chissà dove e lui invece
no, non era potuto andare per il lavoro – incontrò Dora sulla
porta dell'ingresso con il secchio in una mano e lo spazzolone
nell'altra.
– Passi,
passi pure, non fa niente se non è asciutto. Ripasserò.
– No,
no si figuri, aspetto un po', non mi dispiace, tanto ancora non è
tardi, e rientrare a casa presto le sere d'estate mette una certa
tristezza.
– Già,
proprio così. Ma tu... mi scusi, ma lei non può essere triste. Lei,
coi suoi occhi della mente.
Lucas
sorrise, azzardò subito un possiamo darci del tu, e così fecero, in
modo che gli occhi della mente fossero di entrambi più vicini.
Qualche
sera dopo, era tardino, quasi mezzanotte, ancora una volta Lucas
trovò Dora con secchio e spazzolone a lei vicini, ma con in mano una
lettera ch'ella leggeva alla debole luce dell'androne. Si sorrisero e, in
quell'attimo, il timer della luce fece clic e fu buio. Cinque secondi
e una mano, non sappiamo di chi, riaccese. Si risorrisero. Lei gli
fece gli occhi dolci. Lucas aveva in bocca di una guinness
l'amaro.
– È
mio marito che mi scrive. Mi dice che non torna, che ha conosciuto
una scozzese e che si è innamorato di lei. Mi dice anche che, appena
può, mi farà avere dei soldi per i bambini. Io non li voglio i suoi
soldi di merda. Scusami. Non volevo dire merda ma ormai l'ho detto.
– La
merda porta bene e va pronunciata sempre due volte, porta meglio.
Lei
rise. Lui la guardò con un certo non so che. La luce si rispense.
Nessuno la riaccese.