Sono affranto:
come un'oliva
lacrime unte ho pianto
mentre lei partiva.
In quel mentre
sotto le vetrate
passava gente
con fette di pane agliate.
Vedere la mia tristezza
masticata con gusto
mi ha dato allegrezza
e fatto robusto
alle avverse vicende d'amore.
Correte signori e signore
a condire le vostre parvenze
con olio di lacrime dense.
Sentite in fondo al palato
come punge la felicità svanita
nel ricordo che ha trasformato
la vita semplice in doppia vita.
La presente che scorre tra gli atti
da sbrigare di giorni senza storia:
il lavoro, la spesa, i piatti
che lavano via la memoria.
E l'altra che sta sospesa
come un affresco di Masaccio:
del paradiso perduto faccio
spesso autodifesa.
Dico: «Sono stato felice»
senza rossore e vergogna
perché «sono felice» si dice
nel ricordo o quando si sogna.
domenica 31 dicembre 2017
giovedì 28 dicembre 2017
La prova finale
Non so come funziona il concorso per entrare a far parte della Polizia di Stato, quali domande d'ingresso, quali esami scritti, orali e prove pratiche debbano i candidati effettuare per entrare in organico. Nondimeno, nelle restanti settimane in cui ancora sarà in carica, suggerisco al Ministro dell'Interno di provvedere ad aggiungere al concorso per entrare in Polizia, che i candidati, una volta superato gli esami e prestato giuramento di fedeltà alle istituzioni democratiche della Repubblica italiana, debbano espletare, a seconda degli incarichi che andranno a ricoprire, le seguenti funzioni fisiologiche sul testone in bronzo raffigurante il Duce che tanta presa in tante testedicazzo ancora ha:
- Per il ruolo di agenti e assistenti, uno sputo semplice o scelto.
- Per il ruolo di sovrintendenti, uno scaracchio con supplemento di caccola da appiccicare sul naso del soggetto raffigurato.
- Per il ruolo di ispettori, una minzione di una durata minima di quindici secondi.
- Per il ruolo di commissari, sputare e orinare al contempo per un minimo di venti secondi
- Per il ruolo di dirigenti, una defecazione semplice o complessa (strutturata).
Si fa presente che tali verifiche finali di tenuta democratica dovranno essere eseguite in ritirate (non di Russia) attrezzate all'uopo, aventi, al posto del vespasiano o del buco di scarico, il suddetto bronzo raffigurante il mascellone volitivo che tanta presa in tante testedicazzo ancora ha.
mercoledì 27 dicembre 2017
La minaccia dei sottaceti
A fine lettura di questo articolo, di primo acchito, mi è presa la voglia di dare uno schiaffo a chi l'ha scritto. Poi, invece, ho pensato: e se l'avesse scritto in tal modo perché anche un imbecille capisse il contrario di quanto affermato? E cioè: davvero i russi vogliono attaccare i paesi Nato coi sottomarini? Davvero i russi vogliono rompere i cavi sottomarini di fibra ottica coi sommergibili? Davvero i russi sono pronti a scatenare la terza guerra mondiale?
Chi ci può credere?
Gli imbecilli, appunto. O gli interessati: amministrazione USA, comandi militari di vario genere.
E quando gli ufficiali ammerigani della Nato dichiarano che «l'attività dei sottomarini della Russia è tornata ai livelli della guerra fredda» come non capire, se non si è imbecilli, che il comando militare USA sta semplicemente chiedendo ai paesi europei di mandare più soldi ancora alla Nato perché anche loro vogliono andare a fare attività sottomarina?
Quanto costa un viaggetto in sommergibile? E dove li trova i soldi Putin per le sue scorribande ventimila leghe sotto il mar? Col petrolio. Col gas che vende agli europei e alla Cina. E quali altri interessi può avere che continuare a vendere tali mercanzie?
Il segretario Stoltenberg (nomen omen) ha dichiarato che i russi
«Hanno investito massicciamente nelle loro flotta e ora si muovono lungo l’intero Atlantico. Sono una vera minaccia: per l’alleanza è essenziale garantire che le rotte atlantiche siano aperte e sicure»
Sono una vera minaccia? Siamo sicuri che in zona Porto Cervo e altre amene località mediterranee non siano contenti? Arriva la flotta russa: ristoranti aperti anche d'inverno. Accoglienza e via. E chi, se non un imbecille o un interessato può credere che i russi ci vogliono sparare?
Ah, no. Non lo credono neanche i generali inglesi, che tuttavia temono che i russi vogliano bombardare i cavi.
«La vulnerabilità dei cavi marini può mettere a rischio il nostro modo di vivere»
Capisci a me. Mi si inceppa il Google Drive e addio dadi Knorr. Meno male che balene non hanno i denti adatti a mordere i cavi, sennò, povere, rischierebbero con la Nato quanto rischiano con le baleniere dei giapponesi.
Ma andiamo avanti: la suddetta cronista inviata in Ammeriga, che in sostanza fa da portavoce dei militari Usa e Nato sudditi Usa, getta l'amo affinché i lettori si convincano (in un primo momento elettoralmente) della bontà dell'esistenza dell'alleanza atlantica e perciò stesso che gli stati appartenenti vi investano massicciamente risorse perché da soli, poverini, gli ammerigani nun gliela fanno.
«La sfida [appunto] si giocherà sui numeri».
Come a richiamare in pieno il clima della Guerra Fredda in cui il deterrente atomico, e cioè la gara a chi ce l'aveva più lungo e potente, il missile, consentiva lo stallo e impediva la guera (una r di proposito).
Scrive la cronista:
«Sulla sua flotta Mosca ha investito tantissimo fin dal 2011 costruendo sottomarini sempre più veloci, silenziosi e letali: come quei Krasnodar che si dice possano evitare i radar più sofisticati – li chiamano i “sottomarini invisibili” – e sono stati usati quest’estate per lanciare missili verso la Siria. Il conto è 60 sottomarini russi contro 66 americani: una distanza troppo corta per Washington che anche per questo ha deciso di rilanciare la produzione.»
Anvedi, gli ammerigani, come fossero olimpiadi dello stronzo, non a galla, bensì sottomarino, sentono il fiato sul collo dei russi che hanno raggiunto quota 60 sommergibili contro i 66 degli USA. Che si deve fare? Si rilancia la produzione, of course.
Nondimeno, anche alla cronista, retoricamente, viene un dubbio:
«In vista di una guerra? A parlarne è stato perfino il capo dei marines, il generale Robert Neller. È stato proprio lui, la settimana scorsa, durante la visita alla base di Trondheim, in Norvegia, a gelare i trecento militari riuniti per celebrare il Natale: "Spero di sbagliarmi, ma c’è una guerra all’orizzonte e voi ci finirete in mezzo". Con tanti auguri di fine anno.»
Secondo voi, merita di più uno schiaffo l'ironia finale, da sciampista, della cronista o un calcio in culo quello stronzone di generale?
martedì 26 dicembre 2017
In Celebration
You sit in a chair, touched by nothing, feeling
the old self become the older self, imagining
only the patience of water, the boredom of stone.
You think that silence is the extra page,
you think that nothing is good or bad, not even
the darkness that fills the house while you sit watching
it happen. You've seen it happen before. Your friends
move past the window, their faces soiled with regret.
You want to wave but cannot raise your hand.
You sit in a chair. You turn to the nightshade spreading
a poisonous net around the house. You taste
the honey of absence. It is the same wherever
you are, the same if the voice rots before
the body, or the body rots before the voice.
You know that desire leads only to sorrow, that sorrow
leads to achievement which leads to emptiness.
You know that this is different, that this
is the celebration, the only celebration,
that by giving yourself over to nothing,
you shall be healed. You know there is joy in feeling
your lungs prepare themselves for an ashen future,
so you wait, you stare and you wait, and the dust settles
and the miraculous hours of childhood wander in darkness.
Siedi su una sedia, da nulla sfiorato, e senti
l'antico sé farsi un sé più antico, immagini
sola la pazienza dell'acqua, la noia della pietra.
Pensi che il silenzio sia la pagina in più,
pensi che niente sia buono o cattivo, nemmeno
il buio che colma la casa mentre seduto lo guardi
arrivare. L'hai visto altre volte. Gli amici
scorrono davanti alla finestra, i volti sudici di rimpianto.
Vuoi salutarli ma non riesci ad alzare la mano.
Siedi su una sedia. Ti volgi all'ombra-di-notte che getta
una rete velenosa attorno alla casa. Assapori
il miele dell'assenza. È lo stesso ovunque
tu sia, lo stesso, sia che la voce imputridisca prima
del corpo, o il corpo imputridisca prima della voce.
Sai che il desiderio porta solo al dolore, che il dolore
porta al compimento che porta al vuoto.
Sai che adesso è diverso, che questa
è occasione di festa, l'unica festa,
che arrendendoti al nulla
sarai risanato. Sai che c'è gioia nel sentire
i polmoni prepararsi a un futuro di cenere,
così aspetti, guardi fisso e aspetti, e la polvere si posa,
e le ore miracolose dell'infanzia brancolano nel buio.
the old self become the older self, imagining
only the patience of water, the boredom of stone.
You think that silence is the extra page,
you think that nothing is good or bad, not even
the darkness that fills the house while you sit watching
it happen. You've seen it happen before. Your friends
move past the window, their faces soiled with regret.
You want to wave but cannot raise your hand.
You sit in a chair. You turn to the nightshade spreading
a poisonous net around the house. You taste
the honey of absence. It is the same wherever
you are, the same if the voice rots before
the body, or the body rots before the voice.
You know that desire leads only to sorrow, that sorrow
leads to achievement which leads to emptiness.
You know that this is different, that this
is the celebration, the only celebration,
that by giving yourself over to nothing,
you shall be healed. You know there is joy in feeling
your lungs prepare themselves for an ashen future,
so you wait, you stare and you wait, and the dust settles
and the miraculous hours of childhood wander in darkness.
Mark Strand
§§§
PER UN'OCCASIONE DI FESTASiedi su una sedia, da nulla sfiorato, e senti
l'antico sé farsi un sé più antico, immagini
sola la pazienza dell'acqua, la noia della pietra.
Pensi che il silenzio sia la pagina in più,
pensi che niente sia buono o cattivo, nemmeno
il buio che colma la casa mentre seduto lo guardi
arrivare. L'hai visto altre volte. Gli amici
scorrono davanti alla finestra, i volti sudici di rimpianto.
Vuoi salutarli ma non riesci ad alzare la mano.
Siedi su una sedia. Ti volgi all'ombra-di-notte che getta
una rete velenosa attorno alla casa. Assapori
il miele dell'assenza. È lo stesso ovunque
tu sia, lo stesso, sia che la voce imputridisca prima
del corpo, o il corpo imputridisca prima della voce.
Sai che il desiderio porta solo al dolore, che il dolore
porta al compimento che porta al vuoto.
Sai che adesso è diverso, che questa
è occasione di festa, l'unica festa,
che arrendendoti al nulla
sarai risanato. Sai che c'è gioia nel sentire
i polmoni prepararsi a un futuro di cenere,
così aspetti, guardi fisso e aspetti, e la polvere si posa,
e le ore miracolose dell'infanzia brancolano nel buio.
[traduzione di Damiano Abeni, in Mark Strand, L'uomo che cammina un passo avanti al buio, Mondadori, Milano 2011]
Vorrei aggiungere qualche parola a questa poesia, ma l'unica cosa che riesco a fare è ripeterla sottovoce, più in italiano che con il mio scarso, balbettante inglese.
E poi detesto le parafrasi.
Penso che il silenzio sia la pagina in più. Assaporo il miele dell'assenza. So che il desiderio porta solo al dolore, che il dolore porta al compimento che porta al vuoto. Mi arrendo al nulla, non oso sfidarlo. Ma non sarei sincero nel dire di provar gioia a sentire i polmoni prepararsi a un futuro di cenere (sarà che da qualche anno ho smesso di fumare?). Epperò guardo, più o meno fisso, e aspetto. Aspetto cosa? Che il presente lasci spazio alla polvere dei ricordi? No. Ho uno swiffer in mano e, al momento, per non brancolare nel buio, urlo «Ok, Google: torcia». E luce è, bastante tanto da non farsi incantare dalle ore miracolose dell'infanzia.
Penso che il silenzio sia la pagina in più. Assaporo il miele dell'assenza. So che il desiderio porta solo al dolore, che il dolore porta al compimento che porta al vuoto. Mi arrendo al nulla, non oso sfidarlo. Ma non sarei sincero nel dire di provar gioia a sentire i polmoni prepararsi a un futuro di cenere (sarà che da qualche anno ho smesso di fumare?). Epperò guardo, più o meno fisso, e aspetto. Aspetto cosa? Che il presente lasci spazio alla polvere dei ricordi? No. Ho uno swiffer in mano e, al momento, per non brancolare nel buio, urlo «Ok, Google: torcia». E luce è, bastante tanto da non farsi incantare dalle ore miracolose dell'infanzia.
Era bello morire da piccoli
con i peli del culo a batuffolo
che morire da grandi soldati
con i peli del culo bruciati
domenica 24 dicembre 2017
L'Estetica
Mi ricordo di aver fatto un esame di Estetica comparata con Grazia Marchianò, anche se solo vagamente rammento quali erano gli argomenti di studio, mi sembra che il corso fosse incentrato sul diverso concetto di rappresentazione tra Occidente e Oriente, la prof.ssa ci aveva dato un suo libello da studiare (edito da Guerini e Associati, ma non lo ritrovo, al momento), più alcuni capitoli di un filosofo giapponese contemporaneo... Ho tutto pressoché dimenticato se non, appunto, le tracce di studio. Infatti mica sono diventato - e me ne dolgo - un estetista.
***
Chissà come passava le sere di Natale Hegel.
venerdì 22 dicembre 2017
Considerazioni di un disamorato
«Noi abbiamo il dovere, oggi, abbiamo il dovere di fare tutto, tutto per evitare una cosa: cioè un'ulteriore crescita dell'astensionismo; un'ulteriore crescita del disamore dell'elettorato progressista. Per questo sono convinta che la formazione Liberi e Uguali, nel mio caso: Libere e Uguali... [applausi] Ed è bello questo nome, mi piace, perché si può declinare: ci sono i liberi e uguali e ci sono le libere e uguali, ecco, io penso che questa formazione abbia la potenzialità di riuscire in questo obiettivo. E allora che vi dico? Che io concludo a sinistra una legislatura che per me a sinistra era iniziata; e continuerò a sinistra, continuerò nella formazione di Libere e Uguali con la mia agenda e le mie convinzioni.
[Applausi. Laura Bodrini, sorridente, si mette una mano, la destra, sul petto].
Grazie. E guardate: io cercherò di dare un contributo alla lista, capeggiata dal presidente Pietro Grasso, attraverso un contributo che faccia di questa lista, in modo che questa lista possa essere... questo sono sicura che avverrà, grazie al contributo di tutti, una forza aperta, una forza inclusiva e una forza di governo. Aperta, inclusiva e di governo. Una forza che si cimenti anche con le grandi sfide della contemporaneità; una forza che guarda al futuro».
Ho sbobinato il discorso con il quale la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, annuncia la sua candidatura perché
- si dimostra come a fine legislatura i politici si preoccupino molto che gli elettori ritornino a votarli, a esprimere, cioè, la farsa del potere sovrano che esercitano il giorno del voto. Quel giorno e poi basta, ché tanto gli altri (circa: 365 x 5) i politici ci pensano da sé a esercitare il potere.
- si parla di un concetto politico, la sinistra, senza dargli alcuna specificazione. Che cosa vuol dire, infatti, aver iniziato a sinistra? Inoltre, che cosa intende Boldrini con aver concluso a sinistra? Il lato di un parcheggio di piazza Monte Citorio? Ma soprattutto: che diamine mai ci sarà scritto nella sua agenda da farle dichiarare, con forza, che lei continuerà a sinistra, senza che ella si ponga il problema che se uno o una, come in una rotatoria, gira sempre a sinistra, non va da nessuna parte e gira a vuoto?
- si evidenza che se uno o una che smania di dare il proprio contributo, ma poi chiede, veloce veloce, il contributo di tutti, ciò significa pensare - e tenere - molto alla propria contribuzione.
- si attesta che il vero obiettivo di una forza (politica) che si vuole aperta, inclusiva e di governo non può essere altro che quello di voler ripetere l'esperienza sinistra di cinque anni di legislatura che tutto è stata fuorché di sinistra.
- ci si domanda: per cimentarsi con le grandi sfide della contemporaneità, serve una betoniera?
giovedì 21 dicembre 2017
Cara, mi si è gonfiato il qualunquismo
Corca.
Mi riferisco, chiaramente, all'abbonamento mensile ai quotidiani online in genere, la Repubblica in particolare. Nondimeno, ringrazio il direttore Calabresi per aver concesso l'accesso gratuito all'incipit del suo editoriale odierno, ove si legge che lui, un anno fa, riguardo alla conferma di Maria Elena Boschi a ministro del governo Gentiloni, scrisse che tale scelta, improvvida, avrebbe gonfiato il qualunquismo. Cioè. Ora che ci penso, soprattutto negli ultimi giorni che ella è sotto attacco, ora che colgo, con un minimo di attenzione, il «retrogusto di furbizia e immaturità» che la caratterizza,
devo confessare che anche a me Maria Elena Boschi, con quello sguardo obliquo e il capello fluente che incornicia la grazia del suo volto, gonfia il qualunquismo.
Purtuttavia, contrariamente a Calabresi, non credo che il sacrificio di Maria Elena in Aulide possa salvare il PD, per ovvie ragioni, prima delle quali è perché il PD è un partito insalvabile, anche se si facesse da parte non solo Maria Elena, bensì tutta la classe dirigente piddìna, che presa nella sua totalità non è stata capace di gonfiare alcunché, men che meno una minima idea di politica realmente di sinistra. E tutto ciò in cinque anni pieni di legislatura e perdipiù avendo la maggioranza assoluta in uno dei rami del parlamento. Ma lasciamo perdere, anzi: lasciamoli perdere, qualunquemente.
Oh, Nespoli!
Dopoguerra subito, le superpotenze d'allora inscenarono una competizione - fruttuosa - per la conquista dello spazio da parte dell'umanità delle superpotenze.
Iniziarono i sovietici a mandare prima un cane poi un uomo. Poi gli statunitensi mandarono uomini e macchine sulla Luna. E Sojuz. E Shuttle. Poi l'URSS crollò e di superpotenza né resto una. L'America non poté più competere, "giocare" allo spazio con un concorrente, bensì da sola. Così, anche per esigenze di budget, la Nasa e altre le agenzie spaziali, l'Esa e quella Russa (più il Giappone e il Canada) iniziarono una collaborazione per la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Lo spazio, dunque, non è al momento un ring per dimostrare chi ce l'ha più grosso, il missile da mandare in orbita, ma è un luogo di studio, di ricerca condivisa. Lo testimoniano tutti gli astronauti che rientrano dal soggiorno nella Stazione Spaziale. Ultimo Paolo Nespoli che, a proposito delle future missioni spaziali, tra l'altro, ha dichiarato:
«Oramai i tempi sono maturi per fare questi passi. Ma dobbiamo imparare a farli come umanità, sganciandoci dalle nostre differenze nazionali. La ISS ci fa vedere che quando vogliamo riusciamo a lavorare tutti assieme nonostante le differenze».
Orbene, se davvero l'ISS riesce a far "lavorare tutti assieme nonostante le differenze" per un obiettivo comune, umano, di conoscenza condivisa, non sarebbe auspicabile costruire una Stazione Terrestre Internazionale nella quale rinchiudere non gli astronauti, bensì i leader di turno delle principali nazioni, al fine di far capire che il concetto di nazione sta alla Terra, tanto quanto il calesse sta a una navicella spaziale?
martedì 19 dicembre 2017
Una famiglia per bere (4)
Sono passati dieci anni da quella volta in cui mia sorella mi disse di lasciarla in pace. Dieci anni. Un tempo smisurato per crescere. Purtroppo, sebbene mi sia misurato, non sono cresciuto, anzi: sono abbassato due centimetri e non parliamo poi dei chili persi. La pancia gonfia non vi inganni e anche le belle guanciotte rubizze sono un falso positivo. Bevo troppo, tutto qui.
Appena me ne andai dalla sua vista, feci domanda alle poste, cercavano un portalettere a tempo determinato per i mesi estivi. Mi presero e, nel volgere di pochi mesi, la mia vita ebbe una svolta: uno dei colleghi più anziani che sostituivo morì facendo parapendio sulle Dolomiti, cosicché il direttore, che in quel momento era a corto di altre raccomandazioni, fece in maniera di farmi avere il suo posto. Io non solo ne approfittai, ma divenni confidente dell'impiegata postale, vedova del postino deceduto, con la quale presi a vedermi, anche fuori del luogo di lavoro, generalmente a casa sua. Vi abitava con il figlio dodicenne, un ragazzo irrequieto, che dopo la scomparsa del padre aveva iniziato a manifestare segni di aggressività nei confronti della madre e dei suoi pari. Forse fu anche per questo che lei mi concedette di trasferirmi in casa loro, non tanto per rappresentare nei confronti del figlio una nuova figura paterna, quanto per darle un senso di (relativa) protezione riguardo agli scatti d'ira e alle frequenti aggressioni che ella da lui subiva. In effetti, quando c'ero io il ragazzo era calmo, taciturno e non reagiva neanche quando la madre lo spronava a fare i compiti (cosa che, in passato, le era costata il sussidiario di tecnologia sul costato, lanciatole contro come un frisbee). Perché mi rispettasse mi sfuggiva, forse perché non volevo fare il padre e neanche diventargli amico. Semplicemente mi rivolgevo a lui soltanto per comunicare qualcosa e mai per dialogare. Già detestavo con sua madre il dialogo, figuriamoci con lui.
lunedì 18 dicembre 2017
Obblighi poetici
Le
poesie devono essere corte
ché
se si allungano troppo
diventano
un brodo
certamente non primordiale.
Le
poesie devono essere morte
come
foglie che intoppano
forre
e canali di scolo
nel
tardo periodo autunnale.
Le
poesie devono essere storte
come
il legno che ci compone
per
seguire Kant, il suo cielo
stellato
e la legge morale.
Le poesie devo essere accorte
non fidarsi di nessuno neppure
di chi le scrive: il foglio
nasconde sovente una cambiale.
Le
poesie devono essere assolte
in
via definitiva da ogni peccato
perché un verso basta da solo
a farci cambiare canale.
Le poesie devono essere sciolte
pronte a cantare di notte
come il chiù dell'assiuolo
che ci ricorda che tutto è mortale.
Le poesie devono essere porte
senza chiavi alle toppe:
chiunque può entrare, spiccare il volo,
battere ali, precipitare.
Le poesie devono essere chiuse.
Basta avere un account, un user
name e una password e il gioco
è fatto: non resta che pubblicare.
a farci cambiare canale.
Le poesie devono essere sciolte
pronte a cantare di notte
come il chiù dell'assiuolo
che ci ricorda che tutto è mortale.
Le poesie devono essere porte
senza chiavi alle toppe:
chiunque può entrare, spiccare il volo,
battere ali, precipitare.
Le poesie devono essere chiuse.
Basta avere un account, un user
name e una password e il gioco
è fatto: non resta che pubblicare.
sabato 16 dicembre 2017
Ameno
Repetita: non voglio essere scambiato per un sostenitore dei Cinquestelle, benché meno di Di Maio, il quale mi sta sul cazzo sin dalla prima sillaba, ma è chiaro che se uno dice una cosa giusta sulla quale si predica inutilmente da decenni, come tagliare le pensioni d'oro e i diritti acquisiti per esempio, se i Cinquestelle arrabbiati ci riusciranno tanto di cappello, risparmio o meno, non è questo il punto, è il principio, e per principio non esiste esistano umani che con una, o due o tre (ma non muoiono mai?) tre legislature vadano a percepire pensioni il cui aggettivo qualificativo più giusto è: vergognoso (e mi ricordo del primo caso che mi venne agli occhi: Lamberto Dini, ed è più di trent'anni che costui, con quella faccia, percepisce uno sproposito) - ma comunque, la cosa che mi ha infastidito è che a seguito di una dichiarazione elettorale in cui Di Maio ha promesso il taglio delle pensioni d'oro, Renzi, per bacchettarlo e/o coglierlo in fallo (coglili il fallo, coglione), ha replicato con un tweet, il seguente:
con ciò credendo di confutare la pretesa populista del candidato del Movimento grillino.
Orbene, neanch'io penso che duemilatrecento euro al mese siano una pensione d'oro. Purtuttavia, duemilatrecento euro al mese, se confrontate con una pensione (o uno stipendio) da mille euro al mese, fanno un certo effetto, che nelle vite ordinarie d'occidente può essere tradotto come segue: duemilatrecento euro al mese è un emolumento da benestante, mentre mille euro al mese sono una paga da morto di fame. Tanto che, se fossi un despota - più o meno illuminato - con pieni poteri esecutivi e di controllo del bilancio statale, io livellerei lo stipendio universale a duemilatrecento euro al mese per tutti, da quelle testine di cazzo di calciatori (e manager annessi), ai pulitori dei cessi delle stazioni centrali, per finire con i nostri tanto vituperati parlamentari. Invece, mille euro, li riserverei soltanto a quei citrulli che hanno fatto il presidente del consiglio e che conoscono i numeri del Bilancio dello Stato e non hanno percezione della differenza che passa tra la miseria e qualcosa che non lo è.
Ho visto un re
La salute della Terra si vede anche da queste notizie.
Comunque, quando si parla di spoglie monarchiche, io vedo il lato positivo. E concordo pure col nipote Vittorio Emanuele: «Giustizia fatta solo quando sepolti al Pantheon». Però anche lui. Vivo.
venerdì 15 dicembre 2017
Dicevamo?
Approfitto della non voglia per non essere me, per allontanarmi dal posto in cui verso conti senza corrente, cioè quella parte di me stabile, stabilita dal flusso organico di pensieri che si facevano o venivano fatti, provocati, ricercati: ecco: li cercavo, mentre adesso non riesco a fargli subire lo stesso trattamento - processo di doppia concentrazione - ed essi evaporano, si disperdono e rarefanno. È un bene, giacché quando non si ha niente da dire e si tenta di accordare la scrittura a questo niente, il vaniloquio prende forma, la faccia si contrae in una smorfia, la stessa di chi credendosi valente, si accorge, in un tratto pen, che la sua moneta, il suo conio, il suo coin in bit non è Eldorado, inadatto allo scambio e quindi goffamente inutile, pigramente sovversivo, lievemente patetico.
Dicevamo?
mercoledì 13 dicembre 2017
Il nipote di Superciuk
via |
lunedì 11 dicembre 2017
Se le bombe fossero davvero intelligenti
Dopo la fortunata cilecca del bengalese che ha tentato di farsi esplodere in una stazione di New York, il Presidente Trump ha dichiarato: «Distruggere le ideologie del male».
Panico a Wall Street.
domenica 10 dicembre 2017
Social vulnus
Amati dai social.
In effetti, l'odio e la violenza online preferiscono, come bersaglio, i rappresentanti politici democraticamente eletti. Non che non ci siano buone ragioni, per carità. Ciò nonostante, da un punto di vista sacrificale, niente è paragonabile allo spennamento - previa immersione in un pentolone d'acqua bollente - dei rampolli.
Intestini in fuga
a M.V.
Lui sa perché
Periodicamente, i giornali nazionali, molto provinciali, trovano per strada, preferibilmente all'estero, un cervello in fuga e neanche lo intervistano, no: lo lasciano dichiarare, ché i cervelli, quando parlano, non vanno interrotti, benché meno con domande inopportune, con rilievi minimi, banalità. Sicché, una volta datogli spago, se lo arrotolano su se stessi (cervelli insaccati), e raccontano l'edificante storia che li ha visti prima incompresi ed esiliati, poi gratificati e insigniti di onori, incarichi di prestigio e novelle cittadinanze.
Bravi cervelli, ce l'avete fatta e tutto per merito vostro, del vostro impegno e sacrificio, della forza d'animo che vi contraddistingue.
Volete una medaglia? Un gagliardetto? Una spillina col tricolore italiano da appuntare sul petto in memoria della vostra ex patria? Ecco qua. Ma per favore, risparmiateci, cari cervelli, prediche, invettive, commiserazioni. Soprattutto: non abboccate a quello che i supposti giornalisti nazionali (provinciali) vogliono farvi dire, per dare conforto a uno stereotipo vieto e metaforicamente intollerabile. Già. Mai una volta che si parli - a giusto titolo - di intestini in fuga.
Infine, notazione a una dichiarazione cervellotica, questa:
«“È triste dirlo ma scappate da una classe politica che sta uccidendo tre generazioni di giovani [grassetto non mio] – che mai nessuno ridonerà al nostro paese – e andate all’estero a realizzare i vostri sogni. Andare a lavorare fuori dall’Italia è ormai l’unica strada percorribile”»
In quanto facente parte di una delle tre generazioni citate dall'illustre cervello in fuga, io, in quanto intestino rimasto (e dajè), ritengo quanto segue: siamo sicuri sicuri che la colpa, tutta colpa dello sfacelo italiano sia dei politici? Di più: che la classe politica sia colpevole di genocidio? E Maria Elena Boschi e Luca Lotti ammazzano senza ammazzarsi? Ma soprattutto: prima di sparare una cazzata dichiarare una cosa del genere, un cervello (sia esso in fuga oppure no) ha, quantomeno, il dovere di chiedersi se in Italia i giovani, dato che da tre generazioni non hanno futuro, quattro, cinque, sei generazioni fa, lo avevano? E, se sì, era merito della classe politica, ça va sans dire. E com'è che i politici di una volta riuscivano a dare futuro e prospettiva di sviluppo ai giovani di un tempo?
Rispondete voi al cervello in fuga.
venerdì 8 dicembre 2017
In Fake News We Trust
Quando c'era la Guerra Fredda, anziché dichiarare, con buone ragioni, che l'Unione Sovietica finanziava il Partito Comunista italiano, i vicepresidenti e gli ex vicepresidenti degli Stati Uniti d'America mandavano soldi - in cambio di ben noti accordi e basi americane a iosa sul suolo patrio - direttamente al Governo italiano.
Oggi, invece, che il classico imperialismo post-bellico ha esaurito la propria onda propulsiva, il gioco del dominio geopolitico si gioca con altri mezzi, non ultimo quello delle cazzate che hanno un costo assai minore di quello della stampa di nuovi bigliettoni con su scritto: In God We Trust.
giovedì 7 dicembre 2017
Svuotare le carceri, riempire i teatri
Liberate il concorrente in associazione mafiosa, ex onorevole, Marcello Dell'Utri, mandatelo a casa, dategli i domiciliari, mettetegli il braccialetto elettronico e tutte le attrezzature necessarie per controllarlo similmente che in carcere. E fate così con tutti gli altri detenuti incarcerati per reati equipollenti o di minor grado, trattenendo in carcere soltanto chi si è macchiato di crimini di sangue in modo premeditato e violento. Sfollate gli istituti di pena, riformate tutto il sistema carcerario italiano, abolite il 41 bis, che è, di fatto, un regime di prigionia ai limiti della tortura.
Non ho idee precise, m'è venuto in mente tutto questo pensando all'ennesima prima della Scala. Pensavo, cioè, che è tempo di escogitare qualche soluzione diversa per far scontare le varie condanne, che non sia la classica privazione della libertà individuale. Un abbonamento al loggione, per esempio.
mercoledì 6 dicembre 2017
Forza uova (d'oro)
Uno squillo al telefono, saranno state le sette stasera, rispondo. Pronto? Pronto? Solo un fruscio. E poi, d'un tratto, sottofondo, nel fruscio persistente, una voce...
... dico, c'ho quarche migliardo fatto in un modo o in un altro, parecchio sottobosco e sottotraccia, tutta roba poco produttiva, ma raccattata non necessariamente nell'illecito, piuttosto nel torbido, avvisi di garanzia, condanne, qualche esproprio, una clinica privata, ma tutto sommato un bel gruzzolo da parte, che a finirlo non bastano una ex moglie che non si decide a morì e i figli e nipoti, i nipoti dei nipoti forse se proprio sono sciagurati o viene, anvedi un po', la dittatura der proletariato.
E io che ce faccio de una parte minima dei soldi? Il mio cuore nun se scioje e li salotti buoni non lo vonno perché c'ho la scabbia? Embè, finanzio du ragazzotti anima e core, coi gagliardetti e forza lazio e forza roma e forza stocazzo, tutta brava gente fascista dentro e stupida sempre, je le finanzio io le magliette cor simbolo, e le mascherine, non sia mai che si divertano anche per fare cose politiche, tipo blitz fascisti, qualche fumogeno, du' cazzate rimbrodolate di Evola e di come cazzo si chiama quel blogger giornalista che scriveva su Avvenire, in fondo, oltre ai soldi cache, qualche soldino investito per bene ce ll'ho, per esempio: gliel'ho fatte comprà a un prestanome le azioni del Gruppo De Benedetti che stanno andando mica bene nonostante il rinnovamento e il nuovo carattere Eugenio Euchessino, sai che, diamo una scossa alla redazione, sti giovinotti scavezzacollo che non hanno da fare un cazzo da mane a sera, che domani forse si respira, così quelle azioni fanno il rally, le rivendo e dopodomani mi compro i bitcoin e le azioni di facebook...
martedì 5 dicembre 2017
Nella pancia del disertore
non grattatevi |
Ditemi voi se quel coraggioso disertore avesse avuto la tenia: data la lunghezza del verme solitario (dai 2-3 metri della Taenia solium, ai 10 metri della Taenia saginata), c'è caso che i chirurghi sudcoreani («Era come un vaso rotto» ipse dixit) e i giornalisti americani (e italiani al seguito) l'avrebbero probabilmente scambiato per uno dei missili di Kim Jong-un, missile che, durante uno dei vari test, anziché sorvolare il mar del Giappone, guarda caso dove si è infilato.
Una volta, durante la vera guerra fredda, c'era molto più rispetto per le viscere dei disertori della ex cortina di ferro. Come minimo, grazie alle loro confessioni, quasi tutti trovavano un editore e pubblicavano un libro. Adesso, questo poveretto, che cosa potrà raccontare di diverso da quello che aveva nella pancia?
domenica 3 dicembre 2017
Una famiglia per bere (3)
Ebbe appena il tempo di festeggiare il primo anniversario di matrimonio che mia sorella restò vedova: suo marito fu colpito alla testa dal gancio di una gru, mentre visitava, cascomunito, un cantiere per la costruzione di un ipermercato. Un incidente sul lavoro, insomma, ogni tanto capita, sebbene raramente, che la vittima sia l'imprenditore, anziché un dipendente...
Avrei potuto iniziare così un nuovo capitolo di un ennesimo romanzo interrotto, poi ci ho ripensato, troppo comodo per mia sorella liberarsi di un marito che non amava e che aveva sposato soltanto per interesse. Certo che anche lui, mio cognato, altrettanto aveva sposato mia sorella per interesse, giacché lei era, è una donna molto interessante, sotto altri aspetti, nient'affatto trascurabili. Forse per questo il matrimonio funzionava, ero io che invece non funzionavo, perché invidiavo sia lei che lui, il diverso potere che ognuno di loro emanava, la ricchezza e la bellezza, cose che stavano debitamente alla larga da me. E vivevo come un risentito, uno che avanzava pretese, in un primo momento indirette e poi, via via, sempre più disdicevoli e pressanti. Per esempio, mi presentavo a casa di mia sorella quando suo marito non c'era e, in pratica, la ricattavo minacciandola che avrei rivelato tutto a mio cognato; anche se, in pratica, non avevo niente da rivelare. E, infatti, al mio assalto, lei replicava: «Che cosa? Non ho niente da nascondere»; ma io, caparbiamente, le rispondevo: «Io so più cose di te di quanto tu stessa non ne sappia. Quindi attenta». Lei si limitava ad alzare le spalle, apriva la sua borsetta, mi dava cinquantamila lire con la stessa disinvoltura con la quale si lancia un osso al cane e io correvo fuori, al momento contento di aver ottenuto almeno un paio di giorni di autonomia.
Lei ci teneva a me, come si tiene a un cane, ed è già tanto per un fratello rompicoglioni. In fondo, eravamo rimasti soltanto io e lei, della famiglia: i nostri erano morti di itterizia, alle Galapagos. Dico di itterizia perché furono scambiati per iguane da cacciatori di frodo delle stesse, mentre facevano snorkeling. Essi si erano regalati il viaggio dopo essere andati entrambi in pensione, piuttosto giovani: cinquantacinque mio padre (ex dirigente Telecom) e cinquantatré mia madre (funzionaria delle Ferrovie). Partirono tutti contenti, tanto noi eravamo grandi per badare a noi stessi. E da allora ci badiamo, senza essere ricambiati. Veramente mia sorella sì, si è sposata apposta, perché voleva tirare il fiato e recuperare la possibilità di una vita facile. Il punto è che io credevo che lei la volesse anche per me, una vita facile, e che si sentisse responsabile e per questo incaricata di provvedere a ciò. «Invece manco per niente: ti devi arrangiare. Devi sbrogliartela da solo. Non puoi continuare a pretendere che io sostenga il tuo infantilismo. Devi crescere. Non trovi lavoro? Lascia che te lo trovi io. Non ce la fai a mantenere casa dei nostri? Vendila: di quello che ricaverai io non pretenderò niente. Ma, ti prego, smettila di venire a battere cassa. Non ce la faccio più a inventare scuse per spese non fatte a mio marito. Quindi, ecco, queste sono gli ultimi soldi: d'ora in poi, arrangiati da solo».
Lei ci teneva a me, come si tiene a un cane, ed è già tanto per un fratello rompicoglioni. In fondo, eravamo rimasti soltanto io e lei, della famiglia: i nostri erano morti di itterizia, alle Galapagos. Dico di itterizia perché furono scambiati per iguane da cacciatori di frodo delle stesse, mentre facevano snorkeling. Essi si erano regalati il viaggio dopo essere andati entrambi in pensione, piuttosto giovani: cinquantacinque mio padre (ex dirigente Telecom) e cinquantatré mia madre (funzionaria delle Ferrovie). Partirono tutti contenti, tanto noi eravamo grandi per badare a noi stessi. E da allora ci badiamo, senza essere ricambiati. Veramente mia sorella sì, si è sposata apposta, perché voleva tirare il fiato e recuperare la possibilità di una vita facile. Il punto è che io credevo che lei la volesse anche per me, una vita facile, e che si sentisse responsabile e per questo incaricata di provvedere a ciò. «Invece manco per niente: ti devi arrangiare. Devi sbrogliartela da solo. Non puoi continuare a pretendere che io sostenga il tuo infantilismo. Devi crescere. Non trovi lavoro? Lascia che te lo trovi io. Non ce la fai a mantenere casa dei nostri? Vendila: di quello che ricaverai io non pretenderò niente. Ma, ti prego, smettila di venire a battere cassa. Non ce la faccio più a inventare scuse per spese non fatte a mio marito. Quindi, ecco, queste sono gli ultimi soldi: d'ora in poi, arrangiati da solo».
venerdì 1 dicembre 2017
La percezione quotidiana della media
«Il valore magico sarebbe 22 gradi centigradi. Non uno di più, non uno di meno. Bisogna ancora capire se da soli bastano a evitare i conflitti internazionali. Ma intanto quella viene considerata la temperatura atmosferica ideale per vivere bene. Con noi stessi e con chi ci sta intorno»
Io preferirei 23, ma comunque, convengo che 22 si avvicina a essere la temperatura atmosferica ideale. E con ciò sembra sottinteso intendere che, tali gradi, siano da considerare costanti nel doppio movimento che la Terra compie, uno intorno al proprio asse, l'altro intorno al Sole; e cioè a dire: 22 gradi a mane, a sera e a notte; 22 gradi quale che sia il mese o la stagione.
E quali località del globo terracqueo si avvicinano a questo ideale? Ce le dice, senza esitazioni, il redattore del Corsera:
«Insomma tutti a Siviglia e ad Atene. Oppure, per stare entro i nostri confini, nel sud della Sardegna, tra Sciacca e Siracusa, a Reggio Calabria o a Bari, tutte aree che secondo l’ultimo dossier dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale hanno avuto nel 2016 una temperatura media di 21 gradi. »
Temperatura media, la stessa che mediamente percepisco anche durante i 45 gradi estivi e i 3 di domani mattina all'alba, se avessi la fortuna di abitare nel capoluogo dell'Andalusia.
In margine a un aforisma
«I politici, in democrazia, sono i condensatori dell’imbecillità»
Nicolás Gómes Dávila, In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 2001
Vero.
Ma, per contro, in dittatura, i politici sono i condensatori di che
cosa? Della saggezza? dell’integrità morale?
Insomma, quale che sia la forma di governo, non è la politica
stessa a essere deficiente in quanto professione?
E
quindi, soprattutto in Italia, visto lo spettacolo offerto: non sono
gli elettori, in democrazia, a essere condensatori dell’imbecillità, quale che sia il segno sul quale appongono la loro “democratica”
scelta con ciò credendo che qualcosa possa cambiare?
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