sabato 29 agosto 2015

La paternità del pensiero

«Fu rinfacciato al signor K. che in lui il desiderio era troppo spesso padre del pensiero. Il signor K. rispose: – Non ci fu mai un pensiero il cui padre non fosse un desiderio. Solo un punto può essere messo in discussione: quale desiderio? Non occorre sospettare che un bimbo potrebbe non avere un padre, per sospettare che l'accertamento della paternità è difficile.»

Bertolt Brecht, Storie da calendario, “Storielle del signor Keuner”, Einaudi, Torino 1972

Quando penso senza desiderare, di solito, il pensiero si affloscia, un occhio si chiude e l'altro si distrae con le clavicole scoperte della conduttrice del telegiornale. Io trovo, infatti, che l'incavo – più o meno accentuato – che separa tali ossa dalla base del collo sia una delle parti del corpo in cui il tatto più volentieri insiste per ritornare dentro il principio del piacere come fonte del desiderio e quindi del pensiero.
«Leva quella mano che mi dài uggia e poi fa caldo», questa, di prassi, la frase non della conduttrice, ma di colei nella quale uno ripone il desiderio di tuffare dita nel lago di Carezza tra collo e clavicola.
Ma donde sorge in me la “mania” di toccare quel punto? Facile: erano i punti in cui le mie dita bambine maggiormente sostavano nei corpi di entrambi i genitori. I polpastrelli hanno più memoria dell'acqua.

E se toccassi i miei due laghetti, in una sorta di masturbazione aerea poco sconveniente anche in pubblico? Chiudete gli occhi e portate le mani a croce, rispettivamente: la destra sul lato sinistro e viceversa, e fate scivolare i polpastrelli dell'indice e del medio nel punto suddetto. Converrete che sarà più facile addormentarsi che ritrovare la paternità del pensiero.

2 commenti:

lozittito ha detto...

cazzo: funziona! me ne torno a letto

Olympe de Gouges ha detto...

sei un poeta.
quella delle clavicole è una zona erogena antica, non la scopri tu ...