mercoledì 29 giugno 2016

Uscitori dall'Europa

Gran parte degli uscitori dall'Europa[*] sognano un futuro autarchico costituito da una produzione e da un’offerta merceologica massimamente nostrana, a chilometro zero virgola. Essi non vogliono vincoli e dipendenze dall'estero e per questo gridano «padroni a casa nostra». Di più, per dar prova di essere animati da un disinteressato spirito democratico, concedono benevolmente che anche gli altri popoli arrivino a considerarsi fieramente «padroni a casa loro». 
Poi però si offendono se quei padroni là respingono quella parte di produzione destinata a far pendere a proprio favore la bilancia commerciale qua. Allora ricominciano le moine, le telefonatine, gli incontri bilaterali, poi trilaterali e va a finire che i nuovi padroni si ritrovano tali e quali ai vecchi a fare un'ammucchiata (return to gang bang). E ricominciano i problemi, soprattutto perché quello lo vuole così, quell'altro lo preferisce cosà, e fai piano, e ti metto il veto, la sanzione, la quota immigrati, la quota latte, il calibro dei cetrioli. 
Il giorno dopo il festino, i padroni ritornano a casa e raccontano ai servi che loro sì che hanno ottenuto garanzie, finanziamenti, sgravi fiscali, proroghe. E i servi per un po’ ci credono, che altro devono fare sennò, stroncargli il mocio vileda sul groppone? Raparli con il decespugliatore? Usare un proiettore di una lim per una rettoscopia? Così va a finire che i padroni si dicono costretti dall'Europa a fare le riforme, perché l'Europa ce lo chiede, senza dire che Europa è roba loro, fornicatori in traduzione simultanea.
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[*] da Rieducational Channel

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