lunedì 27 novembre 2017

Una famiglia per bere

Il mio bisnonno era un viticoltore e faceva un vino con un tasso di acidità così alto da resistere bene alle latitudini tropicali, tanto che il viceré d'Etiopia volle insignirlo di una medaglia al merito e con un invito a passare una vacanza con la famiglia presso la residenza vicereale di Addis Abeba. L'invito fu accolto e, nel marzo 1937, mio bisnonno e consorte, più le famiglie dei figli al seguito (nipoti di primo grado compresi) si prepararono per il viaggio. Tutti, tranne mia nonna, perché aveva avuto il torto di sposare un umile macchinista ferroviere, di simpatie socialiste per giunta, sicché la faccetta nera per mio padre, restò soltanto quella delle sorelle più  piccole alle quali dipingeva, per celia, la faccia, di notte, con il lucido da scarpe testa di moro.

Mia nonna fu una donna preveggente. Quando eravamo piccoli ci raccontava che lei si era sposata per amore, mica come i suoi fratelli e sorelle che, invece, avevano ceduto al calcolo. «Voi, cari nipoti, non siete discendenti di un compromesso. Vedrete quando sarete grandi quanto questo potrà essere per voi un motivo di orgoglio».

E infatti. Io sono orgoglioso di non avere alcuno scheletro imperialista nell'armadio. Anche mia sorella, seppure lei preferisca portarseli a letto, gli scheletri imperialisti. Già. Bella donna, mia sorella. Tanto bella che, se non fosse stata sorella, ma che dico, meno male che lo è, giacché l'averla mi ha facilitato molto nel rapporto con le donne, attenuando, innanzi tempo, l'influenza edipica, in quanto io, da piccolo, più che andare a letto con mia madre, sognavo di andare a letto con lei.

Sono dieci anni che oramai ci vediamo soltanto per Natale, con le rispettive famiglie. Il suo compagno attuale è un trombone dell'aeronautica che si appunta le bandierine col tricolore sulla giacca, sulla camicia e, probabilmente, sul prepuzio. Solo a vederlo gli vorrei sputare addosso, sicché non lo guardo. Così, da due anni, per Santo Stefano mi viene il torcicollo. 

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