lunedì 6 novembre 2017

Una volta a Venezia

Una volta, quando ero innamorato, mi veniva spesso in mente Venezia, soprattutto fuori stagione, fuori catalogo, anche se non c'è più stagione e non ci sono più momenti senza catalogo, a Venezia.
Una volta, quando ero innamorato – e fortuna voleva che innamorati fossimo in due – una gita a Venezia, anche solo per tre giorni, ce la facevo sempre, perché Venezia, per chi non ci abita, è una città da camminare da innamorati, altrimenti andarci da solo ti fai due palle, l'ipocondria t'assale, t'incupisci e pensi che morire potrebbe essere una soluzione, mangiando fragole.
Una volta, quando ero innamorato, e innamorati eravamo in due, io e lei andammo a Venezia e il caso volle pioggia e vento ad attenderci. Nel quarto d'ora a piedi che congiungeva la stazione all'albergo, le nostre facce infreddolite non sapevano se reclamare quiete alle intemperie o se, al contrario, queste si fossero trasformate in una tempesta tale da costringerci a stare chiusi in camera più di quanto sapevamo ci saremmo stati chiusi già.
Quella volta, quando ero innamorato, a Venezia avevo portato il Borsalino nero che lei mi aveva regalato per il mio compleanno. Nero, a tesa larga, mi riparava egregiamente dalla pioggia, ma un colpo di vento me lo tolse e lo fece precipitare nel canale. Dal parapetto del ponte dov'eravamo, ci incantammo a osservarlo gondolare via, lento e lontano, come quell'amore che da tanto tempo non esiste più.
Una volta, quando ero innamorato, pensavo Venezia fosse la città migliore per fare l'amore: per il suo essere città d'Oriente; per il fascino che incanala i passanti nelle calli come fossero collant colorati da sfilare; per il vento funambolico che fa camminare gli innamorati come acrobati su un filo; per la pioggia che sa di sale, come lacrime di felicità; per la sua capacità di sospendere il tempo, di far andare fuori sincrono le persone, anche quelle innamorate, per non illuderle con i “sarà per sempre perché il sempre a Venezia non è una verità.


3 commenti:

Marino Voglio ha detto...

(venezia, oggesùggesù)

(se magna male come a bruxelles - e secondo come capiti, peggio)

Olympe de Gouges ha detto...

cosa non avrei pagato per vedere la scena del cappello :)
a venezia, prima del turismo di massa, da novembre non c'era quasi più nessuno, gli alberghi chiudevano per "restauro" fino a febbraio. non c'erano giapponesi (men che meno cinesi, ovvio) e solo qualche americano ubriaco. e non c'era nemmeno strambelli nicoletta, che abitava alla bissuola di mestre (suo fratello andava a scuola al Berna), e i suoi incontri con ezra pound sono una fiaba. pound sedeva da solo al bar alle zattere, vicino all'imbarcadero per la giudecca. non voleva tra i piedi nessuno, tantomeno una come la strambelli nicoletta, a cui piacevano invece le giostre con gli autoscontri ... ... ... ... ...

Anonimo ha detto...

Vorrei dirti che ho trovato struggentemente poetico questo tuo post, Luca.
robxyz